GIOVANNI CANTONI, Cristianità n. 235 (1994)
Il 30 ottobre 1993 si è svolto a Roma un convegno internazionale inteso a presentare l’edizione italiana dell’opera Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nella allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, di Plinio Corrêa de Oliveira, edita da Marzorati, a Milano, nello stesso anno (cfr. Cristianità, anno XXI, n. 224, dicembre 1993). Fra i relatori — in sessione presieduta da S.A.I.R. l’arciduca Martino d’Austria il reggente nazionale di Alleanza Cattolica, Giovanni Cantoni. Pubblichiamo il testo del suo intervento, ampiamente riveduto e annotato dall’autore.
Il 2 marzo 1956 cadeva l’ottantesimo genetliaco di Papa Pio XII. In tale ricorrenza, il docente universitario brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira — poi fondatore, nel 1960, della Sociedade Brasileira de Defesa da Tradição, Família e Propriedade, la TFP brasiliana, quindi, dal 1980, presidente a vita del suo Consiglio Nazionale — rendeva omaggio al Vicario di Cristo raccogliendo e commentando in tre ampi articoli — Um hino de amor sobe ao trono do Pontifice imortal, Missão hodierna das elites tradicionais e A importancia das elites tradicionais na solução da crise hodierna — i passi principali delle allocuzioni rivolte dal Santo Padre al Patriziato e alla Nobiltà romana dal 1940 al 1952, nel corso di tredici udienze per la presentazione degli auguri per il nuovo anno (1).
Dal marzo del 1953 Papa Pio XII riceveva ancora una volta il Patriziato e la Nobiltà romana, precisamente nel 1958, sì che — all’interno del Magistero del Pontefice — si era venuto costituendo un cospicuo corpus di ben quattordici interventi, resi unitari materialmente dai destinatari e sostanzialmente dalla tematica affrontata.
Soddisfacendo una richiesta della Sociedad Cultural Reconquista-TFP Lusa — la Società di Difesa di Tradizione Famiglia Proprietà portoghese —, Plinio Corrêa de Oliveira ha non solo commentato anche l’intervento pontificio del 1958, ma ha riveduto i commenti precedenti, ampliandoli e aggiornandoli sulla base della mutata situazione.
Ne è nata l’opera Nobreza e elites tradicionais análogas nas alocuções de Pio XII ao Patriciado e à Nobreza romana, pubblicata nella lingua dell’autore, a Oporto, in Portogallo, nel 1993 (2). Quindi, nello stesso 1993, il testo ha visto la luce in italiano, con il titolo Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana (3).
Non intendo presentare l’autore nei multiformi aspetti della sua personalità e della sua attività — cioè almeno, contenendomi in una prima segmentazione, come pensatore e come uomo d’azione —, né l’opera all’interno della sua ormai cospicua produzione (4). Mi limito a enunciare una tesi e a sostenerla, adducendo le prove che mi sembrano strettamente necessarie. La tesi suona così: Plinio Corrêa de Oliveira, in genere, è esponente, nel secolo XX, della scuola di pensiero cattolica contro-rivoluzionaria; quindi, in specie, è teologo morale; e Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana costituisce opera di teologia morale.
1. Nella pienezza dei tempi, il Signore Gesù è venuto a mostrare agli uomini l’“immagine del Dio invisibile” (5), ad annunciare a essi la Buona Novella e a sollecitare la loro conversione; e tali annuncio e sollecitazione non solo non comportano l’abolizione della legge naturale, ma abbisognano piuttosto della sua memoria, resa necessaria post peccatum, e — di nuovo — non soltanto per quanto riguarda i singoli, ma anche per quanto riguarda le comunità: infatti il decalogo, sintesi rivelata della legge naturale, ha come destinatari sia il singolo che la comunità, ed è presentato da Mosè con la formula: “Ascolta, Israele, le leggi e le norme che oggi io proclamo dinanzi a voi; imparatele e custoditele e mettetele in pratica” (6); e la medesima formula è ripresa dal Signore Gesù quando richiama le stesse “dieci parole” enunciando “il primo di tutti i comandamenti” (7).
2. Quando il Signore Gesù si incarna, gli uomini che incontra vivono delle più diverse culture: “Genus humanum arte et ratione vivit” (8), e “[…] la cultura non riguarda solo gli uomini di scienza, così come non deve rinchiudersi nei musei. Essa è, direi quasi — afferma Papa Giovanni Paolo II —, la dimora abituale dell’uomo, ciò che caratterizza tutto il suo comportamento e il suo modo di vivere, persino di abitare e di vestirsi, ciò che egli trova bello, il suo modo di concepire la vita e la morte, l’amore, la famiglia e l’impegno, la natura, la sua stessa esistenza, la vita associata degli uomini, nonché Dio” (9).
3. Dall’incontro fra la fede e la cultura ha immediatamente inizio l’opera cosiddetta di “inculturazione della fede”; e gli aspetti dell’inculturazione sono fondamentalmente due.
a. Il primo aspetto dice relazione al rapporto fra la fede e la cultura inteso — per così dire — come integrazione e come collaborazione: la cultura è segnata dal peccato originale e ha quindi bisogno di essere restaurata dalla fede, e la fede — per parte sua — si vuole bisognosa di un veicolo umano, in analogia con l’incarnazione. Perciò — secondo Papa Paolo VI — “[…] occorre evangelizzare — non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici — la cultura e le culture dell’uomo, nel senso ricco ed esteso che questi termini hanno nella Costituzione Gaudium et Spes [n. 53], partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio.
“Il Vangelo, quindi l’evangelizzazione, non si identificano certo con la cultura, e sono indipendenti rispetto a tutte le culture. Tuttavia il Regno, che il Vangelo annunzia, è vissuto da uomini profondamente legati a una cultura, e la costruzione del Regno non può non avvalersi degli elementi della cultura e delle culture umane. Indipendenti di fronte alle culture, il Vangelo e l’evangelizzazione non sono necessariamente incompatibili con esse, ma capaci di impregnarle tutte, senza asservirsi ad alcuna” (10).
b. Il secondo aspetto riguarda il rapporto fra la fede e la cultura come confronto e come giudizio: la Chiesa, che continua l’opera del Signore Gesù nella storia, nella storia incontra culture, a contatto con le quali viene producendo, nei secoli e nei fatti, un’inculturazione, cioè viene a costituire anche “misura”, quindi realizza un’opera di “giudizio” del Vangelo sulle diverse culture degli uomini. I termini sono illustrati esemplarmente da Papa Giovanni Paolo II, in quello che si può a giusto titolo considerare il “manifesto della “nuova evangelizzazione””, e che quindi è il manifesto dell’evangelizzazione simpliciter, dal momento che “la nuova evangelizzazione non consiste in un “nuovo Vangelo”, che nascerebbe sempre da noi stessi, dalla nostra cultura o dalla nostra analisi delle necessità dell’uomo. Perché questo non sarebbe “Vangelo”, ma pura invenzione umana e non vi sarebbe in esso salvezza. Non consiste neppure nel togliere dal Vangelo tutto quanto sembra difficilmente assimilabile. Non è la cultura la misura del Vangelo, ma è Gesù Cristo la misura di ogni cultura e di ogni opera umana. No, la nuova evangelizzazione non nasce dal desiderio di “piacere agli uomini”, o di “guadagnare il loro favore”, (cf. Gal 1, 10), ma dalla responsabilità del dono che Dio ci ha fatto in Cristo, per cui abbiamo accesso alla verità su Dio e sull’uomo, e alla possibilità della vita vera” (11).
4. Dunque, la Chiesa “[…] non s’identifica con nessuna cultura, nemmeno con la cultura occidentale, alla quale tuttavia la sua storia è strettamente legata” (12). Ma, se “una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta” (13), quando — per contro — la fede è pienamente accolta, interamente pensata e fedelmente vissuta, diventa cultura, e dall’unione fra fede e vita nasce una civiltà cristiana.
Dall’inculturazione della fede in Occidente è nata — sotto la guida della Provvidenza — una civiltà cristiana, quella civiltà cristiana romano-germanica con cui la Chiesa ha avuto — e ha a tutt’oggi con quanto ne rimane — la maggiore e più duratura convivenza.
“Spesso — nota Papa Pio XII — si sente identificare Medioevo e civiltà cattolica. L’assimilazione non è perfettamente esatta. La vita di un popolo, di una nazione, si muove in un terreno molto vario, che va oltre quello dell’attività specificamente religiosa. Quando, in tutta l’estensione di questo vasto terreno, una società rispettosa dei diritti di Dio si vieta di oltrepassare i limiti segnati dalla dottrina e dalla morale della Chiesa, può legittimamente dirsi cristiana e cattolica. Nessuna cultura potrebbe spacciarsi in blocco come specificamente tale; neanche la cultura medioevale […].
“Fatta questa riserva — prosegue il Sommo Pontefice —, è giusto riconoscere al Medioevo e alla sua mentalità una nota di autentica cattolicità: la certezza indiscutibile che la religione e la vita formano, nell’unità, un tutto indissolubile. Senza abbandonare il mondo, senza perdere il senso vero della vita, ordina tutta l’esistenza umana verso un unico obiettivo: l’“adherere Deo”, il “prope Deum esse” […], verso la presa di contatto con Dio, verso l’amicizia di Dio, convinto che non si sarebbe potuta dare fuori di qui nessuna pace consistente, né per il cuore dell’uomo, né per la società, né per la comunità dei popoli” (14).
5. Ma il rapporto corretto e fecondo fra fede e cultura, fra fede e vita, e l’accettazione del giudizio della fede sulla vita e sulla cultura, cioè la restaurazione della vita e della cultura, non sono nella storia mai definitive, cioè definitivamente acquisite, ma sono continuamente esposte al rischio di una rottura, di un riattualizzarsi nel tempo del peccato originale, cioè della rottura fra l’uomo e Dio (15).
“La rottura tra Vangelo e cultura — osserva Papa Paolo VI — è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse devono essere rigenerate mediante l’incontro con la Buona Novella. Ma questo incontro non si produrrà, se la Buona Novella non è proclamata” (16).
Se il rapporto corretto e fecondo fra fede e vita produce una civiltà cristiana, la civiltà occidentale ha conosciuto un rapporto fecondo, è stata una civiltà cristiana, ma questa civiltà cristiana ha patito un degrado, descrivibile come un processo con ritmi sostanzialmente “logici”, cioè — oltre il cumularsi a prima vista confuso degli accadimenti storici — connotato da una razionalità che deriva e dall’intelligenza del motore del processo di secolarizzazione — il processo “[…] di estromissione della motivazione e della finalità religiosa da ogni atto della vita umana” (17) —, e dalla struttura della realtà che degrada (18).
6. Questo processo di degrado ha suscitato interventi magisteriali, che, prima occasionali ed episodici, sono via via divenuti organizzati e organici: in questo modo la Chiesa è venuta elaborando ed esplicitando la sua dottrina sociale, cioè una teologia morale circa la società, a partire dagli eventi relativi a una determinata società storica (19), “soprattutto negli ultimi due secoli” (20).
Prima nel tempo — secondo il modo di elaborazione dottrinale intraecclesiale, che parte dal basso e non coincide con l’espressione autoritativa del giudizio, che scende dall’alto —, il processo di degrado ha suscitato anche la reazione del mondo cattolico e, nel mondo cattolico, chierici lato sensu definiti come tali, “intellettuali”, membri dell’”intellighenzia”, sono venuti producendo analisi del degrado, giudizi su di esso e proposte per farvi fronte e in qualche modo rimontarlo; quindi, hanno manifestato apprezzamento per la realtà sottoposta al degrado, secondo un atteggiamento — più o meno accentuato, ma ampiamente diffuso —, che induce ad apprezzare un bene soprattutto quando è stato perduto o sta per esserlo.
Ne è nata una scuola di pensiero che indica con il termine “Rivoluzione” sia il motore del degrado che il processo stesso, viene qualificata come contro-rivoluzionaria e che, quando trova nel Magistero della Chiesa le categorie di giudizio per la valutazione di quanto sottopone alle sue analisi e per le indicazioni operative, meglio si definisce come scuola cattolica contro-rivoluzionaria.
Inoltre, la minore o maggiore attenzione esplicita e tematica al Magistero della Chiesa permette di distinguere — con il passare degli anni e non solo orientativamente — fra cultori di “dottrina sociale cristiana”, cioè “cristiani o non cristiani cultori di dottrina sociale”, e cultori di “dottrina sociale della Chiesa”; quindi di considerare questi ultimi come teologi moralisti, anche se non mai, o almeno raramente, considerati e definiti come tali, in genere, sulla base di un senso tecnico o “stretto” del termine “teologo”, che però è soltanto uno dei suoi possibili sensi, non certamente l’unico; in specie, perché “morale” correntemente sembra dire relazione solo all’individuo.
7. Nello svolgimento della denuncia e dell’opposizione culturali alla Rivoluzione, si possono distinguere — in analogia con lo svolgimento del pensiero cristiano lato sensu considerato —, dopo la breve fase costituita dai polemisti anti-rivoluzionari della prima ora, una “patristica” e una “scolastica”, quindi espressioni articolate intese a contrastare questo o quel “peccato sociale” — mortale o veniale che sia —, al riguardo in analogia con l’articolazione della letteratura spirituale. Ricavo una prima periodizzazione da Rafael Gambra Ciudad, secondo cui “il processo si deve far risalire […] all’ultimo decennio del secolo XVIII, a quanto è stata chiamata la prima reazione contro la rivoluzione, ma che costituisce anche la prima autocoscienza dell’antico regime, fino ad allora non messo in discussione nei suoi fondamenti politici e spirituali.
“La prima testimonianza critica sulla Rivoluzione francese si deve all’irlandese Edmund Burke” (21), sostiene lo stesso pensatore e studioso spagnolo, che quindi rubrica fra i “padri apostolici” del pensiero contro-rivoluzionario Joseph de Maistre e Louis de Bonald. E proprio a partire da Louis de Bonald — sempre secondo il medesimo autore — “[…] il pensiero tradizionalista subisce una netta biforcazione” (22): da una parte si svolge un “tradizionalismo di sinistra“, una scuola contro-rivoluzionaria naturalistica, pragmatistica, caratterizzata da “[…] una visione “da fuori”, estranea allo spirito o principio interno che creò la società medioevale, molto capace di penetrare in una vasta zona di opinione con la forza apodittica che nel mondo moderno ha quanto è sperimentale e scientifico […], ma incapace di creare gl’impulsi e i sentimenti che potrebbero produrre una restaurazione” (23); dall’altra, si sviluppa una visione “da dentro” (24), un “tradizionalismo di destra“, una scuola contro-rivoluzionaria cattolica, di cui è esponente di rilievo Juan Donoso Cortés, consulente per la stesura del Sillabo e a partire dal quale la corrente di pensiero è destinata a interagire con le sempre più frequenti espressioni del Magistero ecclesiastico (25).
Dunque, i termini cronologici della “patristica” contro-rivoluzionaria vanno dalla Rivoluzione francese — precisamente dal 1790, data di pubblicazione delle Riflessioni sulla Rivoluzione francese, di Edmund Burke (26) — al Pontificato del servo di Dio Papa Pio IX. Dal Pontificato di Papa Leone XIII, il cui corpus magisteriale segna il passaggio dalla episodicità degli interventi della suprema autorità della Chiesa a una prima organizzazione di tali interventi con un orizzonte tendenzialmente globale, si può datare la “scolastica” contro-rivoluzionaria, che — in sostanziale ed emblematica coincidenza con il passaggio del Magistero sociale della Chiesa dalla “”terapia” sociale all’educazione sociale integrale” (27), avvenuto nel 1961 con la pubblicazione dell’enciclica Mater et magistra, di Papa Giovanni XXIII — nel 1959 produce, con Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, di Plinio Corrêa de Oliveira (28), un testo di “ascetica sociale” (29), l’analogo sub specie societatis degli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio di Loyola. E in Rivoluzione e Contro-Rivoluzione l’autore rimanda esplicitamente alla triade Joseph de Maistre, Louis de Bonald e Juan Donoso Cortés (30) e afferma programmaticamente che, “in questo duro lavoro intellettuale, le dottrine di verità e di ordine esistenti nel deposito sacro del Magistero della Chiesa sono, per il contro-rivoluzionario, il tesoro da cui continua a trarre cose nuove e cose antiche [Cfr. Mt. 13, 52] per confutare la Rivoluzione, a misura che va vedendo sempre più a fondo nei suoi abissi tenebrosi” (31).
8. Tutto quanto premesso — nulla più di un quadro di fondo — permette di comprendere con quanta puntualità e in quale accezione dei termini si può qualificare Plinio Corrêa de Oliveira anzitutto, in genere, come esponente della scuola cattolica contro-rivoluzionaria; quindi, in specie, come teologo morale; e lo studio Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana come opera di teologia morale.
Se Rivoluzione e Contro-Rivoluzione è testo di ascetica sociale, Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana è scritto espositivo di morale sociale. Infatti — per esplicita dichiarazione dell’autore che, fino a prova contraria, è sempre l’interprete di sé stesso almeno preliminarmente più degno di attenzione — intende anzitutto ri-presentare, cioè “presentare di nuovo”, ri-proporre documenti del Magistero sociale della Chiesa (32), quindi esporli, commentarli e sostenerli con argomenti e con supporti documentali: in questo modo fa per certo della corretta teologia morale, dal momento che — come insegna Papa Giovanni Paolo II — “spetta ai teologi moralisti esporre la dottrina della Chiesa”, “approfondire le ragioni dei suoi insegnamenti”, “illustrare la fondatezza dei suoi precetti e la loro obbligatorietà, mostrandone la mutua connessione e il rapporto con il fine ultimo dell’uomo” (33).
L’opera non ha certamente intenzioni sistematiche, cioè non è un manuale di dottrina sociale della Chiesa, né è un’introduzione a questa dottrina, ma affronta in modo specifico una consistente massa documentale, costituita soprattutto dalle quattordici allocuzioni che Papa Pio XII è venuto tenendo periodicamente, con una cadenza annuale non sempre rispettata, al Patriziato e alla Nobiltà romana, dal 1940 al 1958 (34), cui se ne aggiunge una di Papa Benedetto XV, del 1920 (35).
L’elemento occasionale degli interventi pontifici è quindi costituito dall’incontro appunto del Sommo Pontefice con questa particolare categoria di fedeli — un’aristocrazia politico-militare un tempo giuridicamente riconosciuta —, ma l’occasionalità è ampiamente trascesa dall’esposizione dottrinale, che fa della serie di interventi di Papa Eugenio Pacelli — come ho già notato — un corpus reso unitario non solo dai destinatari, ma anche dalla tematica affrontata. Considerazioni analoghe — quindi fondanti l’esegesi formale che ho proposto — si potrebbero fare accostando documenti — scritti e orali — indirizzati da uno o da più Sommi Pontefici, per esempio al corpo diplomatico, ai medici, e così via.
Come dicevo, dal contesto — patrizi e nobili romani in visita periodica al Sommo Pontefice — emerge il testo — le allocuzioni —; e nelle allocuzioni al Patriziato e alla Nobiltà romana prende corpo il Magistero di Papa Pio XII, il cui esame permette di qualificarlo come “commento alla parabola dei talenti”. La ragione della qualifica è anzitutto e certamente intrinseca, cioè riguarda la materia trattata, dal momento che la diversa distribuzione dei “talenti” e il loro “traffico” genera aristocrazie, di cui la nobiltà costituisce un caso giuridicamente rilevato e riconosciuto; ma tale qualifica ha anche, significativamente, una ragione estrinseca: infatti, il rimando alla parabola dei talenti, come esposta in Matteo 25, 14-30, se non è per certo l’unico riferimento scritturale del corpus in esame — benché i rimandi scritturali diretti siano in esso esigui —, è però l’unico non tangente, anzi l’unico inerente al tema generale reiteratamente esposto e trattato (36).
9. Il tema generale è una valorizzazione delle disuguaglianze fra gli uomini, una valorizzazione che si accompagna alla loro articolazione sull’uguaglianza fondamentale degli uomini stessi e alla problematica della loro trasmissibilità.
Già in Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Plinio Corrêa de Oliveira aveva sintetizzato l’argomento in una tesi: “Gli uomini sono tutti uguali per natura, e diversi soltanto nei loro elementi accidentali. I diritti che a loro provengono dal semplice fatto di essere uomini, sono uguali per tutti: diritto alla vita, all’onore, a condizioni di esistenza sufficienti, dunque, al lavoro e alla proprietà, alla costituzione di una famiglia, e soprattutto alla conoscenza e alla pratica della vera religione. E le disuguaglianze che attentano a questi diritti sono contrarie all’ordine della Provvidenza. Però, entro questi limiti, le disuguaglianze derivanti da elementi accidentali come la virtù, il talento, la bellezza, la forza, la famiglia, la tradizione, ecc., sono giuste e conformi all’ordine dell’universo” (37); e il riferimento era al Magistero di Papa Pio XII espresso nel radiomessaggio natalizio del 1944 (38).
In Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana la tesi viene svolta con ampiezza sulla base del Magistero dello stesso Papa Pio XII; quindi viene inserita in un quadro maggiore, in due appendici dedicate rispettivamente al trinomio rivoluzionario Liberté Égalité Fraternité (39) e alle forme di governo (40), sempre nel Magistero della Chiesa. Una terza appendice — trascuro la struttura delle edizioni diverse da quella italiana — fornisce elementi pastorali e ascetici (41). Finalmente, alla trascrizione delle allocuzioni di Papa Pio XII e di Papa Benedetto XV seguono altre dieci sezioni di documenti (42).
Dunque, “Tutti gli uomini sono uguali”, ma anche: “Tutti gli uomini sono diversi”. L’uguaglianza fonda la comune dignità umana, la differenza l’onore. Lo Stato, cioè l’organizzazione della società, di cui esprime parzialmente — nel senso che non esaurisce — e garantisce politicamente la soggettività (43), ha il dovere non solo di riconoscere l’uguaglianza fondamentale fra gli uomini, ma anche le loro differenze, e trae vantaggio non piccolo dal riconoscimento di esse.
- Ho parlato di dottrina sociale della Chiesa e ho creduto di poter definire Plinio Corrêa de Oliveira teologo moralista.
Sul “versante del pensiero cristiano che riguarda direttamente la società, e che pertanto va sotto il nome di “dottrina sociale”” (44), cioè sul versante sociale della morale cattolica, esposta nel Catechismo della Chiesa Cattolica, si legge: “L’uomo, venendo al mondo, non dispone di tutto ciò che è necessario allo sviluppo della propria vita, corporale e spirituale. Ha bisogno degli altri. Si notano differenze legate all’età, alle capacità fisiche, alle attitudini intellettuali e morali, agli scambi di cui ciascuno ha potuto beneficiare, alla distribuzione delle ricchezze. I “talenti” non sono distribuiti in misura uguale” (45); e il rimando è anzitutto a Matteo 25, 14-30, quindi a Luca 19, 11-27.
Nel paragrafo seguente dello stesso Catechismo della Chiesa Cattolica, la considerazione prosegue: “Tali differenze rientrano nel piano di Dio, il quale vuole che ciascuno riceva dagli altri ciò di cui ha bisogno, e che coloro che hanno talenti particolari ne comunichino i benefici a coloro che ne hanno bisogno. Le differenze incoraggiano e spesso obbligano le persone alla magnanimità, alla benevolenza e alla condivisione; spingono le culture a mutui arricchimenti” (46); quindi ha posto una citazione di santa Caterina da Siena, tratta dal Dialogo, ricco, come le Lettere, di “massime di reggimento civile” (47).
Rispetto agli articoli del Catechismo della Chiesa Cattolica, le allocuzioni di Papa Pio XII costituiscono trattazione preveniente della tematica delle differenze fra gli uomini che “[…] rientrano nel piano di Dio”; e l’opera Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana ne è felice esposizione, proposta proprio nel momento in cui il fallimento dell’ugualitarismo assoluto obbliga — rectius, “obbligherebbe” — a ricollegare alla dottrina dell’uguaglianza quella delle differenze, e la tentazione cui è esposto l’“uomo, questo “squilibrato”” (48) sta nell’abbandonarsi alla pendolarità e all’orizzontalità dialettica della contrapposizione “uguaglianza-disuguaglianza” piuttosto che nel ricercare continuamente l’equilibrio fra i due termini attraverso il riferimento dialogico a un terzo elemento, cioè attraverso il riferimento verticale a Dio e alla sua Legge.
“Ai nostri giorni — ha affermato Papa Giovanni Paolo II a Santo Domingo, il 12 ottobre 1992 — si percepisce una crisi culturale di proporzioni insospettate. Certamente il sostrato culturale di oggi presenta un buon numero di valori positivi, molti di essi frutto dell’evangelizzazione; ma, nello stesso tempo, ha eliminato valori religiosi fondamentali e ha introdotto concezioni ingannevoli, che non sono accettabili dal punto di vista cristiano.
“L’assenza di questi valori cristiani fondamentali nella cultura della modernità non ha solamente offuscato la dimensione del trascendente, portando molte persone all’indifferentismo religioso — anche in America Latina —, ma è nello stesso tempo causa determinante della disillusione sociale in cui è maturata la crisi di questa cultura. Dopo l’autonomia introdotta dal razionalismo, oggi si tende a basare i valori soprattutto su consensi sociali soggettivi che, non di rado, portano a posizioni contrarie anche alla stessa etica naturale. Si pensi al dramma dell’aborto, agli abusi dell’ingegneria genetica, agli attentati alla vita e alla dignità della persona.
“Di fronte alla pluralità di opzioni che oggi si offrono, si richiede un profondo rinnovamento pastorale attraverso il discernimento evangelico sui valori dominanti, sugli atteggiamenti, sui comportamenti collettivi, che spesso rappresentano un fattore decisivo per optare tanto per il bene come per il male. Ai nostri giorni si rendono necessari uno sforzo e un tatto speciale per inculturare il messaggio di Gesù, in modo tale che i valori cristiani possano trasformare i diversi nuclei culturali, purificandoli, se necessario, e rendendo possibile il consolidarsi di una cultura cristiana che rinnovi, dilati e unifichi i valori storici passati e presenti, per rispondere così in modo adeguato alle sfide del nostro tempo (cf. Redemptoris missio, 52). […]
“La Chiesa guarda con preoccupazione la frattura esistente fra i valori evangelici e le culture moderne, perché queste corrono il rischio di chiudersi in sé stesse in una sorta di involuzione agnostica e senza riferimento alla dimensione morale (cf. Discorso al Pont. Consiglio per la Cultura, 18 gennaio 1983). […]
“La Chiesa, che considera l’uomo come sua “via” (cf. Redemptor hominis, 14), deve saper dare una risposta adeguata alla crisi della cultura. Di fronte al complesso fenomeno della modernità, è necessario dar vita a un’alternativa culturale pienamente cristiana. Se l’autentica cultura è quella che esprime i valori universali della persona, chi può proiettare luce maggiore sulla realtà dell’uomo, sulla sua dignità e sulla sua ragion d’essere, sulla sua libertà e sul suo destino del Vangelo di Cristo?” (49).
Con Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, Plinio Corrêa de Oliveira porta un contributo importante e degno alla costruzione dell’“alternativa culturale” auspicata dal regnante Pontefice per far fronte “al complesso fenomeno della modernità”, favorendo il risveglio del tatto e dello sforzo speciali, necessari all’indispensabile “discernimento evangelico sui valori dominanti”. E a chi, non avendo letto l’opera e non avendo neppur brevemente meditato sull’espressione “élites tradizionali analoghe”, pensasse di poterla “liquidare” come manifestazione di “archeologismo” (50), si può ricordare che la prospettiva di tale “alternativa culturale” comporta “il consolidarsi di una cultura cristiana che rinnovi, dilati e unifichi i valori storici passati e presenti”, e richiamare di nuovo — e finalmente — Papa Pio XII: “Un ritorno al Medioevo? Non vi pensa nessuno! Piuttosto un ritorno a questa sintesi della religione e della vita. Non è un monopolio del Medioevo: supera infinitamente tutte le contingenze dei tempi, è sempre attuale, perché è la chiave di volta indispensabile di ogni civiltà, l’anima di cui ogni cultura deve vivere, pena il distruggersi con le sue stesse mani, di precipitare nell’abisso della malizia umana, che si apre sotto i suoi passi dal momento in cui comincia, con l’apostasia, a volgere le spalle a Dio” (51).
Descrivendo la funzione dei teologi moralisti secondo l’insegnamento di Papa Giovanni Paolo II, ho richiamato — come espressioni basilari e qualificate del suo esercizio — l’esposizione della dottrina della Chiesa, l’approfondimento delle ragioni dei suoi insegnamenti, l’illustrazione della fondatezza dei suoi precetti e della loro obbligatorietà, mostrandone la mutua connessione e il rapporto con il fine ultimo dell’uomo; si tratta di elementi tutti riscontrabili senza difficoltà nelle opere di Plinio Corrêa de Oliveira e come tali riscontrati in puntuali e autorevoli riconoscimenti (52). Ma, a conclusione, si rende necessario e opportuno ricordare anche un ultimo carattere del teologo cattolico, indicato dal Santo Padre — e da me precedentemente omesso — e cioè il fatto di “dare […] l’esempio di un assenso leale, interno ed esterno, all’insegnamento del Magistero sia nel campo del dogma che in quello della morale” (53).
Vent’anni or sono, il 2 ottobre 1974, Papa Paolo VI, nel corso di un’udienza generale cui partecipavano i membri del Consilium de Laicis, osservava — fra l’altro — che “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri, è perché sono testimoni” (54).
Ebbene, l’esempio di un assenso leale, interno ed esterno, all’insegnamento del Magistero sia nel campo del dogma che in quello della morale, fornito da Plinio Corrêa de Oliveira negli anni felicemente numerosi e fecondi del suo apostolato, e confermato da Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, costituisce per certo quella testimonianza che, per l’uomo contemporaneo, è caparra per l’ascolto di un maestro.
Giovanni Cantoni
***
(1) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Um hino de amor sobe ao trono do Pontifice imortal, in Catolicismo, anno VI, n. 63, marzo 1956; Idem, Missão hodierna das elites tradicionais, ibid., anno VI, n. 64, aprile 1956; e Idem, A importancia das elites tradicionais na solução da crise hodierna, ibid., anno VI, n. 65, maggio 1956 (trad. it. integrale, a mia cura, con il titolo comune redazionale Sulla funzione e sulla responsabilità delle “élite” tradizionali, in Cristianità, anno IX, n. 77, settembre 1981, pp. 5-17).
(2) Cfr. Idem, Nobreza e elites tradicionais análogas nas alocuções de Pio XII ao Patriciado e à Nobreza romana, Livraria Civilização-Editora, Oporto 1993.
(3) Cfr. Idem, Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, con una Prefazione di S.A.I.R. il principe Luiz di Orleans e Braganza, Marzorati, Milano 1993. L’opera è stata edita anche in spagnolo (Nobleza y élites tradicionales análogas en las alocuciones de Pio XII al Patriciado y a la Nobleza romana, Editorial Fernando III, el Santo, Madrid 1993), in inglese (Nobility and Analogous Traditional Elites in the Allocutions of Pius XII. A Theme Illuminating American Social History, Hamilton Press, Lanham [Maryland] 1993), e in francese (Noblesse et élites traditionnelles dans les allocutions de Pie XII au Patriciat et à la Noblesse romaine, Éditions Albatros, Parigi 1993), ed è prevista un’edizione in tedesco.
(4) Cfr. abbondanti elementi biografici e parziali indicazioni bibliografiche, in Meio século de epopéia anticomunista, Editora Vera Cruz, San Paolo 1980; Sociedade Brasileira de Defesa da Tradição, Família e Propriedade, Um homem, uma obra, uma gesta. Homenagem das TFPs a Plinio Corrêa de Oliveira, Edições Brasil de Amanhã, San Paolo s.d. [ma 1989]; e Comisión de Estudios de las TFPs, Tradición Familia Propiedad. Un ideal, un lema, una gesta: La Cruzada del Siglo XX, Artpress, San Paolo 1990; cfr. un primo inquadramento dottrinale, in Lizanias de Souza Lima, Plinio Corrêa de Oliveira. Um Cruzado do Século XX, Dissertação de Maestrado apresentada ao Departemento de História da Facultade de Filosofia, Letras e Ciências Humanas da Universidade de São Paulo, San Paolo 1984, relatore il professor Augustin Wernet.
(5) Col. 1, 15.
(6) Dt. 5, 1.
(7) Cfr. Mc. 12, 28-29.
(8) San Tommaso d’Aquino, In Aristotelis “Post Analyt.”, 1, cit. in Giovanni Paolo II, Allocuzione all’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, del 2-6-1980, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. III, 1, p. 1639, che commenta: “Queste parole di uno dei più grandi geni del cristianesimo, che fu nello stesso tempo un continuatore fecondo del pensiero antico, portano oltre il cerchio e il significato contemporaneo della cultura occidentale, mediterranea o atlantica che sia. Il loro significato si applica all’umanità nel suo insieme, in cui si incontrano le diverse tradizioni che costituiscono la sua eredità spirituale e le diverse epoche della sua cultura. Il significato essenziale della cultura consiste, secondo queste parole di san Tommaso d’Aquino, nel fatto che costituisce una caratteristica della vita umana come tale. L’uomo vive una vita veramente umana grazie alla cultura. La vita umana è cultura anche nel senso che l’uomo si distingue e si differenzia attraverso di essa da tutto quanto esiste altrove nel mondo visibile: l’uomo non può fare a meno della cultura”.
(9) Giovanni Paolo II, Discorso alla Comunità Universitaria di Lovanio, del 20-5-1985, n. 1, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VIII, 1, p. 1590.
(10) Paolo VI, Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi circa l’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, dell’8-12-1975, n. 20.
(11) Giovanni Paolo II, Discorso Nueva Evangelización, Promoción humana, Cultura cristiana. “Jesucristo ayer, hoy y siempre”, del 12-10-1992, II, 6, in supplemento a L’Osservatore Romano, n. 238, 14-10-1992.
(12) Giovanni XXIII, Discorso ai partecipanti al II Congresso Mondiale degli Scrittori e Artisti Neri, del 1°-4-1959, in Discorsi Messaggi Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, vol. I, p. 224.
(13) Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Congresso nazionale del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale, del 16-1-1982, n. 2, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. V, 1, p. 131.
(14) Pio XII, Discorso ai pellegrini svizzeri convenuti a Roma per la Canonizzazione di San Nicolao della Flüe, del 16-5-1947, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. IX, p. 77.
(15) Cfr. il mio La Contro-Rivoluzione e le libertà, in Cristianità, anno XIX, n. 199, novembre 1991, pp. 6-12 (n. 7, pp. 9-10).
(16) Paolo VI, Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi circa l’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, cit., ibidem.
(17) Giovanni Paolo II, Annunciare il valore religioso della vita umana. Discorso “Sono lieto” ai Vescovi dell’Emilia-Romagna in visita “ad limina Apostolorum”, del 1°-3-1991, 2a ed. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1993, n. 1, p. 11.
(18) Cfr. il mio Dopo Marx, i maghi? La riscoperta del pensiero magico in una cultura postmarxista, in CESNUR. Centro Studi sulle Nuove Religioni, Il ritorno della magia. Una sfida per la società e per la Chiesa, a cura di Massimo Introvigne, Effedieffe, Milano 1992, pp. 35-70 (n. 3, pp. 47-54).
(19) Cfr. Giovanni Paolo II, Enciclica Centesimus annus nel centenario della Rerum novarum, del 1°-5-1991, n. 53.
(20) Idem, Enciclica Veritatis splendor circa alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa, del 6-8-1993, n. 4.
(21) Rafael Gambra Ciudad, La monarquía social y representativa en el pensamiento tradicional, 2a ed., Organización Sala Editorial, Madrid 1973, p. 16. L’opera, nella quale compaiono la periodizzazione e l’articolazione di cui mi servo, è uno studio inteso a esporre il pensiero di Juan Vázquez de Mella y Fanjul (1861-1928); l’acuta periodizzazione e l’illuminante articolazione sono contenute nell’introduzione (pp. 9-22, soprattutto pp. 16-22). Per una collocazione più specifica di Plinio Corrêa de Oliveira e per un suo inquadramento più articolato sarebbe necessario illustrare anche il rapporto fra Medioevo nel Vecchio Continente ed Età Coloniale nel Nuovo Continente, per cui rimando — di nuovo per un primo approccio — a José Pedro Galvão de Sousa, Brasilianità lusitana e ispanica, in Cristianità, anno XXI, n. 222, ottobre 1993, pp. 19-22; più ampiamente, cfr. Idem, Introdução à História do Direito Político Brasileiro, 2a ed., Edição Saraiva, San Paolo 1962, passim ma soprattutto pp. 111-128; quindi, cfr. Alberto Caturelli, Il Nuovo Mondo riscoperto. La scoperta, la conquista, l’evangelizzazione dell’America e la cultura occidentale, trad. it., a cura di Pier Paolo Ottonello, Ares, Milano 1992, passim, ma soprattutto pp. 288-301; e lo stesso P. Corrêa de Oliveira, No Brasil Colónia, no Brasil Império e no Brasil República: génese, desenvolvimento e ocaso da “Nobreza da terra”, in Idem, Nobreza e elites tradicionais análogas nas alocuções de Pio XII ao Patriciado e à Nobreza romana, cit., pp. 159-201, soprattutto pp. 187-188 (trad. it., La formazione delle “élite” in Brasile nell’epoca coloniale, in Cristianità, anno XXII, n. 227-228, marzo-aprile 1994, pp. 13-20; Le “élite” brasiliane nei cicli socio-economici del legno brasile, della canna da zucchero e dell’oro e delle pietre preziose, ibid., n. 229, maggio 1994, pp. 15-21; e Le “élite” brasiliane nel ciclo socio-economico del caffè, ibid., n. 230-231, giugno-luglio 1994, pp. 15-21, soprattutto p. 15).
(22) R. Gambra Ciudad, op. cit., p. 17.
(23) Ibid., p. 20.
(24) Cfr. ibidem.
(25) Come ho scritto altrove, “[…] espressione evidente e altamente significativa della sinergia evocata è per certo costituita dal rapporto ideale — lascio sub iudice il problema del rapporto reale — fra la lettera scritta nel 1852 al card. Raffaele Fornari, allora prefetto della Sacra Congregazione degli Studi, da Juan Donoso Cortés e il Sillabo di Papa Pio IX: cfr. Juan Donoso Cortés, marchese di Valdegamás, Carta al cardenal Fornari, del 19-6-1852, in Idem, Obras completas, ed., introduzione e note di padre Carlos Valverde S.J., vol. II, Biblioteca de Autores Cristianos, Madrid 1970, pp. 744-762; sull’occasione dello scritto, quindi sul suo rapporto con il Sillabo, cfr. padre C. Valverde S.J., Introducción general, ibid., vol. I, pp. 73-74; trad. it. della lettera in Sillabo ovvero sommario dei principali errori dell’età nostra che sono notati nelle allocuzioni concistoriali, encicliche ed altre lettere apostoliche del SS. Signor Nostro Pio Papa IX, nuova ed. it. con testo a fronte e appendice documentaria a cura di Gianni Vannoni, Cantagalli, Siena 1977, pp. 111-135″ (Dopo Marx, i maghi? La riscoperta del pensiero magico in una cultura postmarxista, cit., p. 53, nota 37).
(26) Cfr. Edmund Burke, Riflessioni sulla Rivoluzione francese, con prefazione di Domenico Fisichella, trad. it., Ciarrapico, Roma 1984; e la recensione di Paolo Mazzeranghi, in Cristianità, anno XIV, n. 132, aprile 1986, pp. 11-12.
(27) Cfr. la periodizzazione e la formula, in Jean-Yves Calvez S.J. e Jacques Perrin S.J., Chiesa e società economica. L’insegnamento sociale dei Papi da Leone XIII a Giovanni XXIII (1878-1963), trad. it., Centro Studi Sociali, Milano 1965, pp. 24-30.
(28) Cfr. P. Corrêa de Oliveira, Revolução e Contra-Revolução, 3a ed., Chevalerie, San Paolo 1993 (1a pubblicazione in Catolicismo, anno IX, n. 100, aprile 1959; trad. it. a mia cura, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione vent’anni dopo in prima edizione mondiale, Cristianità, Piacenza 1977, da cui cito). Della prima ed. it., pure da me curata (Rivoluzione e Contro-rivoluzione, Edizioni dell’Albero, Torino 1964), cfr. la mia recensione in Il Secolo d’Italia, 26-7-1964.
(29) Cfr. il mio La Contro-Rivoluzione e le libertà, cit., n. 8, pp. 10-11.
(30) Cfr. P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., parte I, cap. VIII, p. 107.
(31) Ibid., parte II, cap. VII, 2, C, p. 142.
(32) Cfr. Idem, Pio XII: grandi mete ed enormi mezzi per la restaurazione dell’ordine sociale cristiano, intervento del 15-10-1993, in occasione della presentazione a Milano di Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, trad. it., in Cristianità, anno XXI, n. 222, ottobre 1993, pp. 15-18; e Idem, Apologia delle disuguaglianze armoniche, intervento del 28-9-1993, in occasione della presentazione a Washington dell’edizione in inglese della stessa opera, trad. it., ibid., anno XXII, n. 225-226, gennaio-febbraio 1994, pp. 13-21.
(33) Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis splendor circa alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa, cit., n. 110.
(34) Cfr. Allocuzioni di Pio XII al Patriziato e alla Nobiltà Romana, in P. Corrêa de Oliveira, Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, cit., pp. 189-212.
(35) Cfr. Allocuzione di Benedetto XV al Patriziato e alla Nobiltà Romana, del 5 gennaio 1920, ibid., pp. 213-215.
(36) Cfr. Pio XII, Allocuzione del 15 gennaio 1949, ibid., p. 206.
(37) P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., parte I, cap. VII, 3, A, n, p. 102; cfr. anche il collegamento della tesi con la definizione dei termini “destra” e “sinistra”, in Idem, A justiça está na desigualdade cristã, in Jornal da Tarde, 9-6-1979 (trad. it., Giustizia e disuguaglianza cristiana, in Cristianità, anno VII, n. 54, ottobre 1979, pp. 11-12), cui corrisponde sostanzialmente Norberto Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Donzelli, Roma 1994, passim ma soprattutto pp. 71-90.
(38) Cfr. Pio XII, I sommi postulati morali di un retto e sano ordinamento democratico. Radiomessaggio natalizio “Benignitas et humanitas”, del 24-12-1944, I, 2, Cristianità, Piacenza 1991, p. 11.
(39) Cfr. P. Corrêa de Oliveira, Il trinomio rivoluzionario “Libertà, Uguaglianza, Fratellanza”: la parola dei diversi Papi, in appendice a Idem, Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, cit., pp. 143-150.
(40) Cfr. Idem, Le forme di governo alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa: in tesi — in concreto, ibid., pp. 151-174.
(41) Cfr. Idem, L’aristocrazia nel pensiero di un cardinale, controverso ma non sospetto, del secolo XX, ibid., pp. 175-185.
(42) Cfr. ibid., pp. 213-259.
(43) Giovanni Paolo II, Enciclica Redemptor hominis all’inizio del suo ministero pontificale, del 4-3-1979, n. 17.
(44) Idem, Discorso ai rappresentanti del mondo accademico nell’Università di Riga, del 9-9-1993, n. 2, in L’Osservatore Romano, 11-9-1993.
(45) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1936.
(46) Ibid., n. 1937.
(47) Cfr. Anna Maria Balducci, Massime di reggimento civile di Santa Caterina da Siena, Edizioni Cateriniane, Roma 1971.
(48) Cfr. Michele Federico Sciacca, L’uomo, questo “squilibrato”. Saggio sulla condizione umana, 5a ed. riveduta, Marzorati Editore, Milano 1963.
(49) Giovanni Paolo II, Discorso Nueva Evangelización, Promoción humana, Cultura cristiana. “Jesucristo ayer, hoy y siempre”, cit., IV, 21-22.
(50) P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., parte II, cap. III, 1, C, p. 128; la citazione implicita è di Pio XII, Enciclica Mediator Dei sulla sacra liturgia, del 18-12-1947, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. IX, p. 559, dove il Sommo Pontefice mette in guardia dal “nimium restituendae in liturgicis rebus antiquitatis studium”, espressione resa nella traduzione ufficiosa in lingua italiana con “un eccessivo archeologismo in materia liturgica”.
(51) Pio XII, Discorso ai pellegrini svizzeri convenuti a Roma per la Canonizzazione di San Nicolao della Flüe, cit., p. 78.
(52) Cfr. per tutti — ma la scelta non è facile — la lettera gratulatoria, del 26-2-1949, relativa al volume Em defesa da Ação Católica (con una prefazione del Nunzio Apostolico S. E. mons. Benedetto Aloisi Masella, vescovo tit. di Cesarea, Editora Ave Maria, San Paolo 1943), inviata a nome di Papa Pio XII dal Sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Giovanni Battista Montini, poi Papa Paolo VI; quindi, la lettera della Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università, del 2-12-1964, in cui il prefetto del dicastero vaticano preposto all’educazione cattolica, S. Em. il card. Giuseppe Pizzardo, loda lo studio A libertade da Igreja no Estado comunista. A Igreja, o decalogo e o direito de propriedade (1a pubblicazione definitiva, in Catolicismo, anno XIV, n. 161, maggio 1964, trad. it., La libertà della Chiesa nello Stato comunista. La Chiesa, il decalogo e il diritto di proprietà, Cristianità, Piacenza 1978) definendolo “un’eco fedelissima dei Documenti del supremo Magistero della Chiesa”; finalmente, l’opuscolo allegato a Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nella allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, con attestati di apprezzamento delle LL. Emm. il card. Silvio Oddi, prefetto emerito della Congregazione del Clero, il card. Mario Luigi Ciappi O.P, già teologo della Casa Pontificia e attualmente presidente della Pontificia Accademia Romana di San Tommaso d’Aquino e di Religione Cattolica, e il card. Alfons M. Stickler S.D.B., già Bibliotecario e Archivista di Santa Romana Chiesa, e di due teologi domenicani di fama internazionale, l’italiano padre Raimondo Spiazzi e lo spagnolo padre Victorino Rodríguez y Rodríguez.
(53) Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis splendor circa alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa, cit., n. 110.
(54) Paolo VI, Discorso all’udienza generale, del 2-10-1974, in Insegnamenti di Paolo VI, vol. XII, pp. 895-898 (pp. 895-896).