Relazione
Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge (che riproduce, in linea generale, l’atto Senato n. 1188, presentato in questa legislatura [il 6 novembre 2008] dai senatori Bianconi ed altri) intende dare, attraverso l’”alleanza terapeutica”, piena attuazione al principio del “consenso informato” alle cure mediche, in armonia con una precisa scelta a sostegno del valore della vita, anche nella sua fase terminale (articoli 1 e 2) e, in conformità a tale scelta, provvede, al capo III, a rendere effettivo il diritto del paziente alle cure palliative.
Il tema del “consenso informato” alle cure mediche, e quindi del possibile “informato dissenso” riguardo ad alcune di esse, viene abitualmente affrontato nell’ambito del dibattito relativo alla fase terminale della vita umana, con riferimento a decisioni che, per il rilievo che hanno sulle questioni della vita e della morte, suscitano in tutti viva emozione.
Perciò nella presente proposta di legge, che pure dedica il capo III alla tutela della qualità della vita nella fase terminale, si è ritenuto di affrontare preliminarmente e organicamente i nodi del consenso e del dissenso “informati”, che riguardano tutto il sistema di cura dei malati, e che invece incidono solo per una parte numericamente modesta (ma di fondamentale rilievo etico e sociale) sulla problematica della “vita nella fase terminale”.
Il principio del “consenso informato” (codificato negli articoli dal 5 al 9 della Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997 e resa esecutiva dalla legge n. 145 del 2001) costituisce una innovativa modalità di gestione delle cure sanitarie attraverso la cosciente partecipazione del malato, visto non più come il mero oggetto dell’attività medica, bensì come un elemento attivo, cui spettano le scelte determinanti, attraverso una partecipazione umana che costituisce esercizio di libertà e ausilio psicologico all’accettazione delle cure e alla guarigione.
Perciò si è prevista (articolo 4) la redazione di appositi piani di cura che prevedono l’”alleanza terapeutica” tra il paziente e il soggetto curante, con la descrizione di un iter, modificabile in ogni momento, di cui il paziente è partecipe. Il piano di cura costituisce parte integrante della cartella clinica (ove essa vi sia), in forza del comma 2 del medesimo articolo 4.
Il piano di cura deve — almeno nella normalità dei casi — contenere qualcosa di più di un mero “consenso”, pur informato, alla proposta terapeutica. E tuttavia è parso opportuno stabilire che il piano rimanga valido quando contenga anche solo l’espressione di un consenso informato a una cura (articolo 5, comma 5). Si è altresì previsto (articolo 13) che nel piano di cura il paziente possa operare scelte ed indicazioni (ad esempio in tema di consenso o dissenso al trapianto di organi post mortem), che non attengono propriamente alla cura.
Si è previsto, inoltre, che il medico sia interlocutore del paziente nelle differenti ipotesi di intervento sanitario, nell’ambito di strutture ospedaliere, pubbliche o private, ma anche nel rapporto diretto, talvolta meramente occasionale. In questo rapporto il medico assume ruoli pubblicistici allorché attesta la sottoscrizione del paziente, la manifestazione della di lui volontà, o talora l’incapacità di sottoscrivere, e l’avvenuta manifestazione di istanze e desideri. È chiaro che in questo ruolo il medico è sottoposto alle norme di carattere generale che puniscono la redazione di atti non conformi al vero da parte di soggetti che esercitano, come i sanitari, un servizio di pubblica necessità.
Solo una parte ridotta delle scelte terapeutiche, inserite nei piani, è resa drammatica da una loro incidenza su un’immediata prospettiva di morte; nella normalità dei casi il paziente (o i suoi familiari) sono di fronte a opzioni meno incisive, che si riflettono sulla qualità della vita e non sulla sua durata. I valori in base ai quali si decide la più limitata casistica attinente alla vita costituiscono però — come già sottolineato — lo snodo più complesso e difficile della tematica del consenso informato, e al tempo stesso la premessa del sistema di assistenza attraverso cure palliative.
Occorre cioè, in primo luogo, domandarsi se la vita abbia, come è nell’avviso dei presentatori di questa proposta di legge, sempre un medesimo identico valore. Ovvero se non si debba configurare — come altri sostengono — una forma di vita “meramente biologica”, per natura sua non libera e quindi non (o meno) dignitosa, di guisa che, in taluni casi, sia consentito al tutore del malato incapace interrompere la vita “meramente biologica” (vengono alla mente i “casi” Englaro e Schiavo). Ancora, occorre domandarsi se la scelta compiuta dal paziente che desideri una “morte dignitosa”, che cancelli una vita pur cosciente e non meramente biologica, divenuta per lui insopportabile, determini l’insorgere di un obbligo per la classe medica di assecondare questa volontà (qui invece viene alla mente il “caso” Welby).
Se si potessero configurare ipotesi di “vita di minor valore” — o a causa dell’incoscienza irreversibile del soggetto, o a causa delle sofferenze anche solo psicologiche che lo coinvolgono — sarebbe coerente dare spazio a decisioni che determinano l’interruzione della vita; e dunque affermare che le strutture mediche sarebbero tenute (o legittimate) a provvedere alla rimozione dei meccanismi che tengono in vita il paziente e a prestargli assistenza in simile operazione. Questa rimozione o rinuncia alle cure potrebbe poggiare anche su una volontà, espressa ma non attuale del paziente, o sulla decisione di un terzo, che trovasse appiglio in una scelta del paziente solo ipotizzata o supposta.
Poiché si è di fronte a un’opzione di fondo che deriva da una visione del mondo, l’opzione dei promotori di questa iniziativa legislativa è a favore dell’irrinunciabile valore della vita: senza attenuazioni e rifiutando ogni ipotesi di eutanasia attiva o passiva nonché di ogni anche larvata prospettiva di “diritto al suicidio” (in ciò confortati dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 29 aprile 2002, caso Pretty contra Regno Unito).
Tale scelta, enunciata negli articoli 1 e 2, costituisce la fonte di obblighi sociali, enunciati e disciplinati nel capo III. In fondo, se la così detta “dolce morte” fosse una soluzione percorribile, quasi valorizzata (come purtroppo avvenuto in taluni provvedimenti giudiziari), perché accanirsi a tener occupate stanze di ospedale, personale, strutture? Perché stravolgere la vita dei parenti per la cura di un malato la cui vita è consentito troncare? Sarebbe a portata di mano una soluzione — la morte — che, secondo un recente provvedimento della Corte d’appello di Milano, costituisce espressione del “diritto alla dignità individuale del malato incapace” e “il naturale sviluppo di una personalità libera e positiva”.
Le agenzie di stampa hanno dato notizia che il 17 settembre 2008 erano già 18.000 le firme in calce all’appello al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, “affinché le Istituzioni non abbandonino i malati incurabili che chiedono di poter vivere con dignità e libertà, pur nelle gravi condizioni in cui si trovano”. Lo ha ricordato Antonio Palmieri, deputato del PDL e sostenitore dell’iniziativa, in occasione della presentazione a Roma della Giornata nazionale sulla SLA (sclerosi laterale amiotrofica). “In un periodo in cui si parla spesso del presunto diritto di morire di chi soffre e di chi è malato, il nostro appello — ha sottolineato Palmieri — capovolge il discorso […]. Queste malattie ti danno la sensazione di essere considerato solo un costo sociale, un peso per la società”. “Oggi — ha ribadito Mario Melazzini, malato di SLA e presidente dell’AISLA (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica) — la vita è come una patente a punti: se perdi qualche funzione, ti scalano i primi punti. A un certo punto, se perdi molte funzioni, finisci il credito e ti tolgono la patente di persona. Ma i malati non vogliono morire, vogliono vivere senza essere lasciati soli. E le fragilità possono e devono essere conciliate con una vita degna di essere vissuta”. “Liberi di vivere. Malati inguaribili, persone da curare” è diventato anche un libro, curato da Massimo Pandolci (Edizioni Ares).
È cioè fondato il timore che l’apprezzamento per la “dolce morte” e la parallela affermazione del “diritto alla morte” aprano la porta a un “dovere della morte” e “di togliere il disturbo”, non ignoto all’esperienza umana. La scelta in favore della vita comporta invece necessariamente l’affermazione del principio della indisponibilità della vita stessa. Il principio del consenso informato, che risponde a finalità di “cura consapevole”, non deve e non può essere stravolto come mezzo per la legittimazione dell’eutanasia volontaria, dell’aiuto al suicidio, del “testamento suicida”.
Il paziente maggiorenne, nella pienezza della sua capacità mentale, può rinunciare a cure che pure sarebbero utili alla sua salute (è ovvio il richiamo alla contrarietà alla trasfusione del sangue dei testimoni di Geova). Ma questa rinuncia — per costituire espressione di un valore di libertà tale da incrinare lo stesso “valore vita” — deve essere pienamente consapevole, cioè formulata nella coscienza di un rischio attuale alla vita, non bastando invece una volontà espressa in vista di un futuro che si spera mai si realizzi. In altre parole, non si può collocare sullo stesso piano un pericolo attuale e concreto alla vita e una manifestazione di volontà espressa quando questo pericolo non era lontanamente configurabile. In adesione anche a quanto affermato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 23676 del 15 settembre 2008, si prevede che le disposizioni relative alla cura abbiano efficacia vincolante solo se assunte nell’imminenza dell’intervento.
I desideri espressi in precedenza dal paziente, seppur non nell’imminenza dell’intervento, saranno, in base all’articolo 12, presi in considerazione dai medici (così come disposto dall’articolo 9 della citata Convenzione di Oviedo), senza però assumere l’efficacia propria dei “piani di cura”. Quando l’adesione al piano di cura è sottoscritta da un terzo, per conto del paziente incapace, o minore, o che ha provveduto alla sua indicazione con atto scritto (articoli 6, 7 e 8), il piano di cura non può contenere il rifiuto di trattamenti sanitari utili alla vita e alla salute del paziente (articolo 9); ciò perché il valore della vita umana può essere legittimamente compromesso solo in virtù di una scelta libera del soggetto direttamente interessato, senza che sia un terzo — perfino il genitore — ad arrogarsi una simile decisione.
Quanto alla posizione del medico, la presente proposta di legge sottolinea l’essenza della sua missione: operare per la vita e per la salute del paziente, fermo restando l’obbligo di non praticare alcuna forma di “accanimento terapeptico” (articolo 3). Il “consenso informato” cancella quel “paternalismo medico” che è stato spesso esercitato nei confronti di un malato considerato mero inconsapevole destinatario di cure, ma non trasforma il medico in un passivo esecutore dei desiderata del paziente. In altre parole non contrattualizza il rapporto medico-paziente. Nelle drammatiche vicende che si verificano ogni giorno nei pronto soccorso o nelle sale chirurgiche il medico può e deve esercitare la sua professione con scienza e con coscienza. In conformità alla moderna versione del “giuramento di Ippocrate” — secondo cui il medico si impegna a operare in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento e di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza — si prevede (articolo 11) che il medico, qualora lo ritenga necessario, possa discostarsi dalle indicazioni del piano di cura, inserendo le relative motivazioni nella cartella clinica.
Con le norme del capo II si è delineato un sistema che garantisce l’adeguato contemperamento del principio della indisponibilità della vita con la libertà del singolo nella scelta del metodo di cura. Questo equilibrio di valori sostanziali si traduce in un insieme di regole e di atti formali, necessariamente compilati per iscritto. La violazione di queste regole formali (quella forma quae dat esse rei) comporta l’applicazione di sanzioni penali (articolo 14, comma 1). È però doveroso scongiurare — almeno in questo settore –— un pericolo che incombe sulla professione medica: la sua trasformazione da attività mirata a un risultato di salute e benessere del paziente, in un’attività burocratica, di cui il primo precetto sia “tener a posto le carte”. Il pericolo cioè che la responsabilità, invece di costituire una spinta a ben operare, ne costituisca una remora se non un ostacolo.
A questo fine si è inserito nel medesimo articolo 14 una norma di chiusura, in cui, fatte salve le ipotesi di cui al comma 1, sanzionate ai sensi di tale disposizione, si afferma la prevalenza dei valori sostanziali su quelli formali, e si ribadisce che operare nell’interesse del paziente costituisce il primo ed essenziale dovere del medico, di cui gli adempimenti formali e burocratici costituiscono un inevitabile profilo.
Per quanto attiene al capo III, dedicato alle cura palliative si prendono le mosse dalla definizione formulata dall’Associazione internazionale per lo studio del dolore (IASP) e secondo cui il dolore è “una sgradevole esperienza sensoriale ed emotiva, associata ad un effettivo o potenziale danno tissutale o comunque descritta come tale”. In generale, il dolore può avere caratteristiche di tipo acuto, finalizzato ad allertare il corpo sulla presenza di stimoli pericolosi o potenzialmente tali nell’ambiente o nell’organismo stesso, e cronico, anch’esso scatenato da un evento traumatico, e può continuare per fattori che, sia dal punto di vista patologico che da quello fisico, non sono direttamente correlati alla causa iniziale. I meccanismi attraverso cui insorge il dolore, ovvero la fisiopatologia del dolore, in particolare da neoplasia, sono complessi e variabili; il dolore cronico, specie se oncologico, è misto in quanto vengono stimolati tutti e tre i maggiori meccanismi fisiopatogenetici del dolore: nocicettivo, neuropatico ed idiopatico.
Il dolore cronico presente nelle malattie degenerative, neurologiche, oncologiche, specie nelle fasi avanzate e terminali di malattia, assume caratteristiche di dolore globale, legato a motivazioni fisiche, psicologiche e sociali, come evidenziato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Se non curato adeguatamente, il dolore cronico ha un impatto devastante su tutti gli aspetti della salute e della qualità della vita del paziente e della sua famiglia. Il dolore cronico è uno dei problemi medici meno conosciuti e meno affrontati. Le statistiche dimostrano l’impatto negativo del dolore cronico, evidenziano le dimensioni del problema, compresi i relativi costi economici per la società, e identificano la grave riduzione della qualità della vita dei milioni di persone che ne soffrono. In Europa un adulto su cinque è affetto da dolore cronico, in Italia la situazione è ancora più preoccupante, secondo il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, le persone che soffrono di dolore cronico sono oltre 20 milioni.
È evidente che il trattamento del dolore rappresenta una necessità etica; è determinante nel favorire l’outcome del paziente, riducendo significativamente morbilità e mortalità e di conseguenza i costi sociali e sanitari. La formazione per la lotta al dolore ha come obiettivo dichiarato quello di migliorare la qualità della vita con efficienza ed efficacia. È vero anche che ciascun paziente, a seconda del relativo livello di sofferenza e delle personali esigenze di carattere assistenziale e sociale, necessita di diversa assistenza, sicché la stessa offerta di prestazioni da parte del Servizio sanitario nazionale (SSN) deve essere in grado di adattarsi a tali variabili istanze di presa in carico. All’interno del SSN e dei servizi sanitari regionali, le reti delle cure palliative devono essere in grado di coprire tutti i bisogni e le esigenze reali dei malati affetti da dolore severo conseguente a patologie oncologiche o degenerative, deve garantire a tali pazienti e alle loro famiglie un’assistenza più integrata e differenziata.
Le cure palliative devono mirare alla gestione dei sintomi fisici, psicologici, e della sofferenza esistenziale presenti nelle fasi terminali di malattia ma anche fornire servizi di assistenza domiciliare atti a consentire al malato piena libertà di scelta in merito ai protocolli di assistenza ritenuti più appropriati.
Il capo III mira al perseguimento degli obiettivi predetti, elencati all’articolo 15, e ciascuno degli articoli successivi esamina le diverse forme e tipologie di trattamento del dolore e degli altri sintomi, promuovendo la creazione di una vera e propria rete assistenziale a favore dei pazienti. L’articolo 16 promuove la prosecuzione del Programma nazionale per la realizzazione di strutture per le cure palliative, approvato con decreto-legge 28 dicembre 1998, n. 450, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1999, n. 39, prevedendo la realizzazione, in ciascuna regione, di ulteriori strutture dedicate all’assistenza palliativa e di supporto, prioritariamente per pazienti affetti da patologia neoplastica terminale o da patologia degenerativa progressiva. Per la prosecuzione dell’iniziativa, sono stanziati 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010, 2011 e 2012.
L’articolo 17 è finalizzato al riconoscimento legislativo del progetto “Ospedale senza dolore”, previsto dall’accordo tra il Ministro della sanità, le regioni e le province autonome, di cui al provvedimento della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano 24 maggio 2001, con il quale sono state concordate le linee guida per la realizzazione, a livello regionale, di progetti indirizzati al miglioramento del processo assistenziale rivolto al controllo del dolore di qualsiasi origine. Per la realizzazione dell’iniziativa, è stanziato un milione di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010, 2011 e 2012.
L’articolo 18 persegue la revisione dei livelli essenziali di assistenza relativamente alle prestazioni di assistenza sanitaria e socio-sanitaria ai malati terminali, da erogare sull’intero territorio nazionale, e della promozione del riconoscimento a livello regionale di ulteriori livelli di assistenza in materia di cure palliative. A tal fine, si prevede, da un lato, una revisione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento ordinario n. 26 alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell’8 febbraio 2002, relativo alla definizione dei livelli essenziali di assistenza e, dall’altro lato, l’adozione a livello regionale di uno specifico programma pluriennale sulle cure palliative, da realizzare con la cooperazione sia delle organizzazioni private senza scopo di lucro attive sul territorio che degli enti locali territorialmente competenti. L’obiettivo è quello di promuovere la creazione a livello regionale di vere e proprie reti per le cure palliative, strutturate in diversi livelli di cura, affinché sia comunque privilegiata l’assistenza domiciliare al malato e alla sua famiglia attraverso équipe multidisciplinari e, solo quando questa non risulti possibile, il paziente sia orientato al ricovero in appositi luoghi di cura (gli hospice), a bassa tecnologia, ma ad altissimo livello di prestazioni assistenziali.
L’articolo 19 intende promuovere una revisione della normativa sul consumo delle sostanze psicotrope per favorire l’accesso agli opiacei e alle altre sostanze utilizzate nelle cure palliative; nello specifico, si prevede che l’accesso ai farmaci di cui all’allegato III-bis del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, di regola impiegati nella terapia del dolore, avvenga utilizzando l’ordinario ricettario del SSN, anziché il modello della ricetta a doppio ricalco previsto dalla normativa vigente. Alla lettera b) del comma 1, inoltre, si provvede a inserire una sostanza cannabinoide nella sezione B della tabella II allegata al citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, la quale contiene, fra l’altro, i medicinali a base di sostanze di impiego terapeutico per le quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica di intensità e gravità minori di quelli prodotti da medicinali a base di oppiacei.
L’articolo 20 affronta il problema della formazione e dell’aggiornamento dei medici sul tema delle cure palliative e della terapia del dolore, promuovendo il conseguimento, nel settore in esame, di una quota dei crediti del programma di educazione continua in medicina da parte del personale medico e sanitario impegnato nell’assistenza ai malati terminali. Si riconosce, inoltre, la necessità della istituzione della specialità o sub-specialità in cure palliative, come già presente in numerosi Paesi europei.
L’articolo 21 è incentrato sulla realizzazione di campagne istituzionali di comunicazione destinate ad informare i cittadini sulle modalità ed i criteri di accesso ai programmi di cure palliative, nonché sull’importanza di un corretto utilizzo dei farmaci impiegati nella terapia del dolore.
L’articolo 22, infine, detta disposizioni in ordine alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’attuazione del provvedimento, stimati in complessivi 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010, 2011 e 2012.
Capo I
PRINCÌPI
Art. 1.
(Tutela della vita e della salute)
1. La Repubblica tutela la vita umana fino alla morte, accertata ai sensi della legge 29 dicembre 1993, n. 578.
2. La Repubblica, nel riconoscere la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, garantisce la partecipazione del paziente alla identificazione delle cure mediche per sé più appropriate.
3. La Repubblica promuove la diffusione delle cure palliative e ne garantisce l’accesso.
Art. 2.
(Divieto di eutanasia e di suicidio assistito)
1. Ogni forma di eutanasia, anche attraverso condotte omissive, e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio sono vietate, ai sensi degli articoli 575, 579, 580 del codice penale.
Art. 3.
(Divieto di accanimento terapeutico)
1. Il medico deve astenersi da trattamenti sanitari non proporzionati e non efficaci rispetto alle condizioni cliniche del paziente e agli obbiettivi di cura, dai quali può derivare una sopravvivenza più gravosa, in condizioni di morte prevista come imminente.
Capo II
PIANO DI CURA
E CONSENSO INFORMATO
Art. 4.
(Piano di cura)
1. L’alleanza terapeutica, all’interno della relazione fra il paziente e il medico, è documentata da un piano di cura, nel quale sono inserite le indicazioni di cui al presente capo.
2. Il piano di cura è parte integrante della cartella clinica, ove esistente.
3. È vietato inserire nel piano di cura indicazioni volte a cagionare la morte del paziente, anche attraverso condotte omissive o di sospensione dell’alimentazione, dell’idratazione e della ventilazione.
Art. 5.
(Consenso informato)
1. Ogni trattamento sanitario, a fronte di una condizione patologica o di un trauma in atto, è effettuato previo consenso del paziente, inserito nel piano di cura ed espresso nell’imminenza del trattamento stesso.
2. La manifestazione del consenso da parte del paziente avviene a seguito di una sua adeguata informazione sullo scopo e sulla natura dell’intervento, sulle sue conseguenze, sui rischi e sui benefici che esso comporta, nonché sulle opportunità terapeutiche alternative a quelle proposte. Nel relativo piano di cura il paziente può accettare di essere sottoposto a terapie sperimentali, anche invasive o ad alto rischio, che il medico gli prospetta possano essere di giovamento. Può inoltre dichiarare che non intende formulare alcuna indicazione e che si affida alle valutazioni dei medici.
3. Il paziente può, in qualsiasi momento, ritirare il proprio consenso, o sottoscrivere un diverso piano di cura.
4. Il medico inserisce il consenso del paziente nel piano di cura e lo sottoscrive insieme col paziente. Se il paziente rifiuta di ricevere le informazioni di cui al comma 2, tale rifiuto deve risultare da una distinta dichiarazione. Se il paziente capace di intendere e di volere non è in grado di sottoscrivere, il medico ne dà atto in calce al piano ai fini della validità del medesimo piano.
5. Il piano di cura è valido anche se contiene le sole indicazioni di volontà del paziente.
Art. 6.
(Paziente in stato di incapacità legale)
1. Se il paziente è interdetto o inabilitato ai sensi degli articoli 414 e 415 del codice civile, il consenso è prestato dal tutore o dal curatore, che appone la sua firma in calce al piano di cura.
2. Qualora sia stato nominato un amministratore di sostegno ai sensi dell’articolo 404 del codice civile e il decreto di nomina preveda l’assistenza in ordine alle situazioni di carattere sanitario, il consenso è prestato dallo stesso amministratore.
3. Nelle ipotesi di cui ai commi 1 e 2, ove possibile, è consultato il paziente.
Art. 7.
(Paziente incapace di intendere e di volere)
1. Il piano di cura del paziente temporaneamente incapace di intendere e di volere può essere sottoscritto da un fiduciario designato dal medesimo paziente ai sensi dell’articolo 10. In difetto, provvede il più prossimo dei congiunti reperibile senza danno per il paziente.
Art. 8.
(Paziente minorenne)
1. Il piano di cura del paziente minorenne è sottoscritto da chi esercita la potestà di genitore o la tutela. Ove possibile, è consultato il minore di età superiore a quattordici anni.
Art. 9.
(Contenuto del piano di cura del minorenne e dell’incapace)
1. Il piano di cura di cui agli articoli 6, 7 e 8 non può contenere il rifiuto di trattamenti sanitari utili alla vita e alla salute del paziente.
Art. 10.
(Fiduciario per l’applicazione
del piano di cura)
1. Il soggetto maggiorenne capace di intendere e di volere può designare un fiduciario incaricato di garantire l’applicazione del piano di cura nei casi di incapacità del medesimo soggetto previsti dagli articoli 6 e 7.
2. La designazione del fiduciario avviene con atto sottoscritto dal soggetto maggiorenne designatario e dal fiduciario, autenticato ai sensi della legge e inserito nel piano di cura.
Art. 11.
(Trattamenti sanitari non conformi al piano di cura)
1. Il medico che provvede a un trattamento sanitario che, in scienza e coscienza, ritiene necessario per l’incolumità del paziente, non consentito o non previsto dal piano di cura, è tenuto a inserire nella cartella clinica le motivazioni di tale decisione.
Art. 12.
(Paziente incapace di esprimere la sua volontà e non assistito da un soggetto legittimato ad esprimerla. Paziente che non esprime alcuna volontà)
1. Se il paziente è incapace di intendere e di volere e non ha sottoscritto un piano di cura, oppure è minorenne e non è possibile l’intervento di alcuno dei soggetti indicati agli articoli 6, 7 e 8, il medico provvede secondo i criteri dell’arte medica, tenendo in considerazione i desideri di cui ha conoscenza, espressi in precedenza dal paziente maggiorenne. Se ritiene di non adeguarsi a tali desideri, il medico è tenuto a inserire nella cartella clinica le motivazioni di tale decisione.
2. Il medico non può dare seguito a desideri orientati a causare la morte del paziente, anche attraverso condotte omissive o di sospensione dell’alimentazione, dell’idratazione e della ventilazione.
Art. 13.
(Indicazioni che possono essere inserite nel piano di cura)
1. Il paziente può inserire nel piano di cura indicazioni favorevoli o contrarie all’assistenza religiosa, alla donazione di tutti o di alcuni suoi organi dopo la morte, ai sensi della legge 1º aprile 1999, n. 91, nonché indicazioni di trattamento sanitario, anche successivo alla morte, purché non contrarie all’ordine pubblico.
Art. 14.
(Responsabilità del medico)
1. Il medico che viola le norme di cui agli articoli 5, comma 4, 11, comma 1, e 12, comma 1, è punito con la pena dell’ammenda da 5.000 a 10.000 euro.
2. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 1, il medico non è punibile se, in violazione di taluna delle disposizioni del presente capo, ha agito nell’interesse della vita e della salute del paziente e nel rispetto dei criteri della scienza medica.
Capo III
CURE PALLIATIVE
Art. 15.
(Accesso e finalità delle cure palliative)
1. È riconosciuto e tutelato il diritto del singolo di accedere alle cure palliative per la gestione dei sintomi psicofisici di qualsiasi origine, con particolare riguardo al dolore severo negli stati di patologia oncologica e degenerativa progressiva e nel dolore severo cronico di origine neuropatica.
2. Ai fini di cui al comma 1, la presente legge ha lo scopo di:
a) promuovere l’adeguamento strutturale del Servizio sanitario nazionale (SSN) alle esigenze assistenziali connesse al trattamento dei pazienti in fase inguaribile e progressiva di patologia cronica degenerativa;
b) incentivare la realizzazione, a livello regionale, delle reti di cure palliative e di progetti indirizzati al miglioramento del processo assistenziale rivolto al controllo del dolore di qualsiasi origine;
c) perseguire l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) in cure palliative quale strumento di adeguamento dell’offerta di servizi alle specifiche esigenze assistenziali dei pazienti in fase terminale e delle loro famiglie;
d) promuovere la realizzazione di programmi regionali di cure domiciliari palliative integrate;
e) semplificare le procedure di distribuzione e facilitare la disponibilità dei medicinali utilizzati nel trattamento del dolore severo al fine di agevolare l’accesso dei pazienti alle cure palliative, mantenendo controlli adeguati volti a prevenirne abusi e distorsioni;
f) promuovere il continuo aggiornamento del personale medico e sanitario del SSN sui protocolli diagnostico-terapeutici utilizzati in cure palliative e nella terapia del dolore;
g) utilizzare la comunicazione istituzionale come strumento di informazione e di educazione sulle potenzialità assistenziali delle cure palliative e della terapia del dolore e sul corretto utilizzo dei farmaci in esse impiegati.
Art. 16.
(Prosecuzione del programma nazionale per la realizzazione di strutture per le cure palliative)
1. Al fine di consentire la prosecuzione degli interventi di cui all’articolo 1 del decreto-legge 28 dicembre 1998, n. 450, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1999, n. 39, è autorizzata la spesa di 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010, 2011 e 2012.
2. Con accordo da stipulare in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, è adottato il programma nazionale per la realizzazione, in ciascuna regione e provincia autonoma, in coerenza con gli obiettivi del Piano sanitario nazionale, di nuove strutture dedicate all’assistenza palliativa e di supporto per i pazienti la cui patologia non risponda ai trattamenti disponibili e che necessitino di cure finalizzate ad assicurare una migliore qualità della loro vita e di quella dei loro familiari.
3. Con l’accordo di cui al comma 2 sono altresì individuati i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture dedicate all’erogazione delle cure palliative.
4. L’accesso alle risorse di cui al comma 1 è subordinato alla presentazione al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali di appositi progetti regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano, redatti secondo i criteri e le modalità di cui all’articolo 1, commi 3 e 4, del decreto-legge 28 dicembre 1998, n. 450, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26febbraio 1999, n. 39.
Art. 17.
(Progetto “Ospedale senza dolore”)
1. Per la prosecuzione ed attuazione del progetto “Ospedale senza dolore” previsto all’accordo tra il Ministro della sanità, le regioni e le province autonome di cui al provvedimento della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano 24 maggio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 149 del 29 giugno 2001, è autorizzata la spesa di un milione di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010, 2011 e 2012.
2. Le risorse di cui al comma 1 sono ripartite tra le regioni con accordo stipulato in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Con il predetto accordo sono altresì stabilite le modalità di verifica dello stato di attuazione a livello regionale del progetto di cui al medesimo comma 1 e sono individuate periodiche scadenze per il monitoraggio delle azioni intraprese per l’utilizzo delle risorse disponibili.
Art. 18.
(Livelli di assistenza in materia di cure domiciliari palliative integrate)
1. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le procedure di cui all’articolo 54 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, si provvede alla revisione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell’8 febbraio 2002, relativamente ai LEA sanitari e sociosanitari in favore dei malati terminali, al fine di agevolare l’accesso alle cure domiciliari palliative integrate dei pazienti affetti da sintomi severi e da dolore conseguenti a patologie oncologiche o degenerative progressive ovvero da dolore severo cronico di origine neuropatica.
2. Nell’ambito dei LEA di cui al comma 1 e degli ulteriori livelli di assistenza eventualmente individuati a livello regionale, le regioni adottano, nell’ambito della programmazione degli interventi sanitari e sociali, uno specifico programma pluriennale che definisca l’organizzazione e il funzionamento dei servizi per il trattamento a domicilio di pazienti in fase terminale colpiti da neoplasie o altre patologie degenerative progressive e di pazienti colpiti da dolore severo cronico di origine neuropatica nel caso di dimissione dal presidio ospedaliero pubblico o privato e della prosecuzione delle terapie necessarie in sede domiciliare.
3. Il programma di cui al comma 2 definisce i criteri e le procedure per la stipula di convenzioni tra le regioni e le organizzazioni private senza scopo di lucro operanti sul territorio, funzionali alla migliore erogazione dei servizi di cui al presente articolo. In particolare, il predetto programma definisce i requisiti organizzativi, professionali ed assistenziali che le organizzazioni private devono possedere ai fini della stipula delle convenzioni e specifica le modalità di verifica dell’attività svolta dalle medesime, sia sul piano tecnico che amministrativo.
4. Ai fini del coordinamento e dell’integrazione degli interventi sanitari ed assistenziali nei programmi di cure domiciliari palliative, le regioni promuovono la stipula di apposite convenzioni con gli enti locali territorialmente competenti.
Art. 19.
(Semplificazione delle procedure di accesso ai medicinali impiegati nelle terapie del dolore)
1. Al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 43, dopo il comma 4 è inserito il seguente:
“4-bis. Per la prescrizione nell’ambito del Servizio sanitario nazionale di farmaci previsti dall’allegato III-bis per il trattamento di pazienti affetti da dolore severo, in luogo del ricettario di cui al comma 1, contenente le ricette a ricalco di cui al comma 4, può essere utilizzato il ricettario del Servizio sanitario nazionale disciplinato dal decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 17 marzo 2008, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 86 dell’11 aprile 2008. In tale caso, ai fini della prescrizione si applicano le disposizioni di cui al citato decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 17 marzo 2008, e il farmacista conserva copia o fotocopia della ricetta sia ai fini del discarico nel registro di cui all’articolo 60, comma 1, che ai fini della dimostrazione della liceità del possesso dei farmaci consegnati dallo stesso farmacista al paziente o alla persona che li ritira”;
b) ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 13, comma 1, della presente legge, alla tabella II, sezione B, nella colonna: “denominazione comune”, dopo la voce: “Delorazepam” è inserita la seguente: “Delta-8-tetraidrocannabinolo (THC)”.
Art. 20.
(Formazione ed aggiornamento professionali del personale nelle cure palliative)
1. Nell’ambito del sistema nazionale di educazione continua in medicina, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, di cui all’articolo 2, comma 357, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, provvede affinché il personale medico e sanitario impegnato nei programmi di cure palliative domiciliari o impegnato nell’assistenza ai malati terminali consegua crediti formativi nelle cure palliative e nella terapia del dolore.
2. Le regioni, nell’ambito della loro competenza in materia di istruzione e di formazione professionali, valutano l’opportunità di procedere all’istituzione di scuole di formazione professionale per la preparazione del personale da destinare alla realizzazione del programma di cure palliative domiciliari integrate di cui all’articolo 18, comma 2.
3. È istituita la scuola di specializzazione in cure palliative per la formazione di medici specialisti in grado di porre in atto assistenza dei casi complessi e consulenze per i colleghi dei diversi assetti ospedalieri, residenziali e domiciliari, e di effettuare ricerca e formazione continua in cure palliative.
Art. 21.
(Campagne informative)
1. Lo Stato e le regioni, negli ambiti di rispettiva competenza, promuovono la realizzazione di campagne istituzionali di comunicazione destinate ad informare i cittadini sulle modalità e sui criteri di accesso alle prestazioni ed ai programmi di assistenza in materia di trattamento del dolore severo nelle patologie neoplastiche o degenerative progressive e del dolore severo cronico di origine neuropatica. Nelle predette campagne è inclusa una specifica comunicazione sull’importanza di un corretto utilizzo dei farmaci impiegati nelle terapie del dolore e sui rischi connessi ad un abuso o ad un uso non appropriato dei medesimi.
2. Le regioni, le aziende sanitarie ed ospedaliere e le altre strutture sanitarie di ricovero e cura garantiscono agli utenti la massima pubblicità del servizio relativo agli interventi adottati in attuazione del progetto “Ospedale senza dolore” di cui all’articolo 17, attivando specifici meccanismi di misurazione del livello di soddisfazione dei pazienti e di registrazione di eventuali disservizi.
Art. 22.
(Copertura finanziaria)
1. Agli oneri derivanti dall’attuazione della presente legge, valutati in 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010, 2011 e 2012, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni per i medesimi anni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2009-2011, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2009, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della salute.
2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.