Card. ANGELO SODANO, Cristianità n. 282 (1998)
Un incontro dei responsabili di un organismo della Santa Sede con un gruppo qualificato di politici e legislatori d’Europa è un evento di grande rilevanza. Mi sembra opportuno sottolinearlo perché molte volte il rapporto esistente tra loro viene presentato come quello di una nave in rotta di collisione con un’altra.
Se paragoniamo la dottrina sociale della Chiesa con i modelli che prevalgono nelle scuole attuali del pensiero politico, dobbiamo riconoscere l’esistenza di mondi culturali ben diversi. Inoltre, sono a tutti noti i momenti di tensione effettivamente verificatisi su alcune questioni delicate. Però, lo spirito che qui ci riunisce non è la contrapposizione, ma il dialogo sincero volto a trovare gli orientamenti più adatti alla nostra civiltà.
1. Presentazione del tema
Il mio intervento verte sul tema: “il politico al servizio del bene comune”. Considerando che i prossimi espositori affronteranno tematiche più specifiche, centrerò le mie riflessioni su alcuni aspetti del tema generale del “bene comune”, specialmente nella sua dimensione morale.
2. Il politico al servizio del bene comune
La nozione della politica come un servizio per il bene pubblico è evidente di per sé, poiché questo è il motivo che giustifica l’autorità specifica di tale azione. È una nozione nobile ed esigente sia a livello teorico, sia nella percezione della gente. La politica ha a che fare con il potere, e il suo ruolo è appunto quello di servire, utilizzando questo strumento specifico. Seguendo l’ispirazione della Bibbia, tale servizio dovrebbe rivolgersi in modo particolare in favore dei più deboli della società (1). Nessuno ignora il grado di eroicità nella rinuncia ai propri interessi che tale principio a volte può supporre nella vita reale, per il fatto che insorgono potenti forze del male che inducono a una ricerca di potere capace di capovolgere con facilità la gerarchia dei valori. Molte volte la politica deve servire senza vedere i risultati, e ciò aumenta il valore della sua essenza. La Chiesa non ha esitato nel definire l’azione politica come una forma eminente di carità, una vocazione nel senso pieno della parola (2).
3. Sfiducia sul concetto di “bene comune”
Se nessuno discute l’idea che la politica è servizio, non succede altrettanto per l’altro termine del nostro tema poiché negli ambienti politico-legislativi contemporanei, il principio del bene comune è un concetto controverso, etichettato frequentemente come esclusivamente “cattolico”. Gli effetti negativi di questa mentalità non si limitano agli ambienti degli esperti, ma hanno anche pervaso tutta la società. Un recente documento episcopale si esprime al riguardo nel seguente modo: il popolo “non è più sicuro che questo principio meriti la sua fiducia. Sente che viene messo in discussione nella teoria e ignorato nella pratica. Questa perdita di fiducia nel concetto di bene comune è uno dei fattori principali che spiegano il sentimento di pessimismo della nazione. Rivela l’indebolimento del senso della mutua responsabilità e il declino dello spirito di solidarietà — vale a dire, rivela lo sgretolarsi del cemento che unisce gli individui di una società” (3). Le mie riflessioni vogliono collegare la preservazione di questa solidarietà — in quanto capacità di lavorare per un bene comune — con il messaggio morale forte che deve irradiare il mondo politico, cominciando con i principi fondamentali della legge naturale. Non ci può essere un ideale sociale capace di motivare l’azione solidale se la giustizia viene percepita in termini soltanto contingenti. Nessuno vorrà investire su un edificio costruito sulla sabbia (4).
3.1. Il concetto medievale del bene comune e il cambiamento del senso della politica nell’età moderna. Doppio concetto di bene comune
È conveniente forse ricordare alcuni dati della storia dell’evoluzione del concetto di “bene comune”. La nozione di tò koinòn agathòn tradotto al latino con l’espressione bonum commune, nasce nel pensiero politico di Platone e Aristotele, e raggiunge uno spessore notevole nel Medioevo. Gli antichi la impiegavano per definire sia l’origine che la finalità dell’attività politica. In seguito, nel Medioevo, per influsso della dottrina paolina del “corpo mistico di Cristo”, acquistò una speciale importanza alla luce di una concezione organica della società, che sottolinea la subordinazione delle parti al bene del tutto, riconoscendo tuttavia nell’uomo una dimensione che trascende il regno politico (I-II, 21, 4, ad 3: “homo non ordinatur ad communitatem politicam secundum se totum et secundum omnia sua”). Questa concezione medievale ispira un’azione politica basata su tre grandi principi: Dio è il Creatore ed Ordinatore di tutto il creato; esiste una legge eterna, iscritta nella natura di ogni essere e divenuta perciò legge naturale, regolatrice di tutti gli esseri ed in modo speciale dell’uomo. Per ciò, anteriore ad ogni legislazione positiva c’è una legge eterna e naturale dalla quale la legislazione positiva umana deve trarre ispirazione e norma. Per i cristiani la libertà non è disancorata dalla legge: la finalità della libertà sta nel prendere consapevolezza di questa legge che orienta verso Dio e nel tradurla nel concreto dell’azione.
Successivamente autori come Machiavelli, Hobbes e Locke cambiano il modo di interpretare la finalità dell’attività politica: l’attenzione viene posta sui meccanismi di potere, e il concetto di unità secondo l’ordine viene sostituito dal concetto di conciliazione tra i diritti degli individui. Si continua a parlare di beni comuni (la pace, il benessere) ma ormai con altri contenuti. Siamo nel regno dei contratti. Rimane lontano il concetto di bene comune come bene onesto in se stesso. Tale visione moderna utilitaristica è il risultato di una nuova antropologia, secondo la quale l’uomo per natura è antisociale. La società si sarebbe formata per “controllare” le passioni dell’egoismo, dell’invidia e dell’ambizione, naturali nell’uomo. Da qui il concetto di homo homini lupus di Hobbes e l’idea “funzionalista” della società che noi non possiamo accettare. Su queste nuove basi, predomina nelle menti dei governanti della vita pubblica la comprensione del bene politico come un bene utile, come benessere, come il maggior bene per il maggior numero possibile.
3.2. Concezione attuale della Chiesa di “bene comune”
Sulla base della ricchezza della concezione medievale di bene comune e incorporando i nuovi elementi provenienti dalla modernità, specialmente i diritti dell’uomo, la Chiesa ha intrapreso di nuovo una riflessione su questo concetto giungendo a quelle sintesi formulate, come è noto, nella Mater et Magistra (n. 70), nella Pacem in terris (n. 57), nel Concilio Vaticano II (Gaudium et spes, nn. 26-74) e nel Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1906). Riporto alla nostra attenzione la definizione del Concilio Vaticano II, secondo la quale il bene comune è “l’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono nei singoli membri, nelle famiglie e nelle associazioni il conseguimento più spedito e più pieno della loro perfezione”.
4. Bene comune e legge naturale. Servire il bene comune dalla legge naturale
Nel Medioevo la concezione della politica derivava da una certa visione dell’uomo che supponeva un ordine morale oggettivo, una legge naturale previa a qualsiasi contratto sociale o legge positiva. Tale visione venne meno nell’epoca moderna con la tendenza sempre più accentuata verso una concezione individualista dell’uomo ed una morale soggettiva. Attualmente il politico si trova di fronte a questa scelta: indirizzare la propria azione politica secondo una visione iusnaturalista (riconoscendo i beni oggettivi dell’uomo) o secondo una visione strumentalista che si accontenta di far funzionare bene i meccanismi contrattuali. Ricordiamo in proposito le parole di Paolo VI: “Senza dubbio l’uomo può organizzare la terra senza Dio, ma senza Dio egli non può alla fine che organizzarla contro l’uomo” (cfr. Populorum progressio). Giovanni Paolo II, nella enciclica Evangelium vitae mette di nuovo il dito nella piaga: “se non esiste nessuna verità ultima la quale guida e orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si trasforma facilmente in un totalitarismo aperto o subdolo, come è dimostrato dalla storia” (n. 101).
Il mondo legislativo e politico di oggi tende a non accettare la visione della legge naturale nella configurazione delle leggi, le quali sono la codificazione di ciò che si intende per “bene comune”.
4.1. Il timore dell’ideologia
C’è chi vuole mantenere la legge naturale e le leggi civili nettamente separate, perché pensa che il reciproco influsso metterebbe in pericolo i principi democratici. La legge non scritta, secondo loro, sarebbe “imprecisa” e sottoposta alle più esagerate interpretazioni ideologiche; potrebbe succedere che qualcuno pretendesse di imporla in modo autoritario, contro la volontà della maggioranza. Chi può decidere che cosa è il bene comune? Come si potrebbero controllare le diverse interpretazioni?
4.2. Risposta al timore. La legge naturale, stella polare della vita politica
Siamo profondamente convinti, contrariamente ai timori espressi da alcuni, che la legge naturale sia la stella polare che ci può guidare verso forme sempre più autentiche di democrazia. I timori sorgono spesso da confusioni sui presupposti della legge naturale e da una non corretta valutazione delle conseguenze negative di un rifiuto di essa.
4.2.1. Capirla bene. La legge naturale non è una “ricetta”
Non di rado si percepisce una certa confusione sul concetto di legge naturale, sia nelle discussioni su questo tema nei fori politici e legislativi, sia nelle facoltà e scuole di diritto. Si afferma come nota caratteristica la sua “imprecisione”, e la difficoltà di determinare il suo contenuto per l’esistenza di varie opinioni al riguardo. Da qui la grave conclusione a cui si giunge: a causa della diversità di opinioni sul contenuto della legge naturale, il concetto deve essere abbandonato.
Tale conclusione è ideologica e presuppone la pretesa di identificare la certezza assoluta con la certezza morale, che invece guida tutta la nostra vita. Affermare che una concezione simile debba essere abbandonata perché non offre una certezza assoluta nei casi pratici, sarebbe come affermare che bisogna abbandonare la medicina perché non offre soluzioni definitive in tutti i casi di malattia.
La legge naturale non è una “ricetta” per risolvere ogni tipo di problemi morali, amministrativi, legislativi e giuridici. Ad un primo livello la legge naturale offre principi generali; affermarne l’esistenza vuol dire allora considerare qualsiasi persona umana sana capace di cogliere che la vita, la conoscenza, la sociabilità, la procreazione e altre realtà basilari simili sono buone per lo sviluppo delle persone umane e della società. Ad un secondo livello, tuttavia, le conseguenze pratiche di questi principi fondamentali, possono essere oscurate e distorte da pregiudizi, ignoranza, passione, prepotenza, desiderio di autonomia assoluta, ecc. Per superare tali difficoltà si rendono necessari il dibattito, la persuasione, l’illuminazione, lo studio, la riflessione, e in alcuni casi particolarmente complessi, soltanto gli uomini prudenti e saggi saranno in grado di risolverle. La legge naturale non elimina lo sforzo e il processo umano di ricerca della verità nelle realtà concrete. Ci indica però il cammino verso di essa e ci dà la sicurezza che l’uomo è capace di ri-conoscerla.
Nella storia, la legge naturale ha svolto una pluralità di funzioni. Ha aiutato a colmare le lacune della legge positiva e ad interpretarla con la dovuta equità; ha permesso e favorito il dialogo tra i popoli e le culture, come una grammatica comune necessaria a tale scopo; ha avuto una funzione critica nei confronti delle proprie formulazioni storiche e una funzione di prospettiva verso il futuro essendo stata capace di superare dettami ritenuti “naturali”, spingendo la storia dei popoli verso orizzonti di maggiore giustizia. Ha funzionato in questo senso come una “prefigurazione dell’ordine giuridico futuro” (5).
4.2.2. Nostalgia di una legge naturale
Alcuni tentativi legislativi recenti, così come alcuni studi sulla giustizia, dimostrano di avere una doppia anima nella ricerca dei fondamenti ultimi. Da una parte vorrebbero prescindere dalla legge naturale, per concedere uno spazio maggiore alla libera contrattualità; d’altra parte si rendono conto di aver bisogno di un argine per contenere i possibili abusi della legge positiva. L’ombra delle leggi naziste, e altri delitti recentemente dichiarati “contro l’umanità” affiorano come fantasmi che incutono timore.
4.2.3. Senza legge naturale tutto è possibile
I timori di autori molto profondi non sono senza ragione. La vita sociale con il suo apparato giuridico esige un fondamento ultimo. Se non esiste altra legge oltre la legge civile, dobbiamo ammettere allora che qualsiasi valore, perfino quelli per i quali gli uomini hanno lottato e considerato passi avanti cruciali nella lunga marcia verso la libertà, possano essere cancellati da una semplice maggioranza di voti. Quelli che criticano la legge naturale non debbono chiudere gli occhi di fronte a questa possibilità, e quando promuovono leggi — in contrasto con il bene comune nelle sue esigenze fondamentali — debbono tenere conto di tutte le conseguenze delle proprie azioni perché possono sospingere la società verso una direzione pericolosa. E anche quando si volessero limitare gli effetti di una legge, bisognerebbe ricordare ciò che diceva Chesterton: “la legge obbedirà alla propria natura e non alla volontà dei legislatori, e ci restituirà inevitabilmente i frutti che abbiamo seminato in essa” (6).
4.2.4. Senza legge naturale, può il politico mantenere la propria indipendenza?
Senza un fondamento solido, come potrebbe il legislatore resistere alle pressioni di gruppi di interesse? La sua responsabilità è grande, e la difficoltà del suo lavoro non è minore. Le leggi sono emesse seguendo un procedimento nel quale intervengono gruppi di interesse capaci di condizionare fortemente il percorso, l’approccio e il contenuto di esse. Ciò potrebbe indurre un politico a cercare la popolarità nelle proprie posizioni, non necessariamente in consonanza con il senso di maggiore responsabilità politica. Qui soltanto possiamo chiedere a Dio di concedere ai legislatori la forza interiore di sopportare tali pressioni senza cedere all’opportunismo, o, peggio ancora, alla ricerca di interessi di parte.
Nella Centesimus annus il Papa analizza questo problema reale e come soluzione invita a riflettere più attentamente sul bene comune, quale bussola insostituibile: “Anche nei paesi dove vigono forme di governo democratico non sempre questi diritti sono del tutto rispettati. Né ci si riferisce soltanto allo scandalo dell’aborto, ma anche a diversi aspetti di una crisi dei sistemi democratici, che talvolta sembra abbiano smarrito la capacità di decidere secondo il bene comune. Le domande che si levano dalla società a volte non sono esaminate secondo criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono. Simili deviazioni del costume politico col tempo generano sfiducia ed apatia con la conseguente diminuzione della partecipazione politica e dello spirito civico in seno alla popolazione, che si sente danneggiata e delusa. Ne risulta la crescente incapacità di inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del bene comune. Questo, infatti, non è la semplice somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad un’equilibrata gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad un’esatta comprensione della dignità e dei diritti della persona” (n. 47).
4.2.5. Conseguenze del rifiuto della legge naturale: alcuni esempi
Non mancano esempi preoccupanti dovuti al fatto di aver perso il senso del bene naturale oggettivo.
a) Marxismo. Il marxismo negava la possibilità stessa di un diritto naturale, considerandolo un concetto appartenente all’ideologia borghese, e pertanto da dover essere radicalmente abbandonato. I diritti — si diceva — dipendono dal sistema economico e “un legislatore non può fissare arbitrariamente ciò che non è stato condizionato dal livello di sviluppo economico; non può “inventare” diritti e libertà non originate organicamente dai rapporti sociali incorporando l’individuo in un determinato sistema socio-economico” (7). E ne abbiamo visto i frutti.
b) Liberalismo. Dopo la caduta del comunismo reale questa interpretazione economica non dovrebbe più avere seguaci. Il suo criterio di fondo, però, che nega l’esistenza di valori assoluti previ a qualsiasi interpretazione sociale, appare anche in altri contesti. Un esempio che ha suscitato profonda preoccupazione è stata l’espressione usata da alcuni giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti, in una sentenza su temi come il matrimonio, la procreazione, la contraccezione, nei seguenti termini: “Tali questioni includono le scelte più intime e personali che una persona possa fare nella sua vita, scelte centrali per la dignità e autonomia personale, e centrali per la nostra libertà. Appartiene al cuore stesso della libertà definire il proprio concetto di esistenza, di senso, dell’universo e dello stesso mistero della vita umana“ (8). La Corte voleva proteggere legalmente il valore della libertà individuale contro qualsiasi imposizione inopportuna. La pretesa è giusta, ma l’affermazione di un tale individualismo assoluto senza un criterio per la necessaria subordinazione dei valori secondo una gerarchia, significa gettare la società nella frammentazione più totale.
c) La manipolazione genetica. Dalla libertà di una madre di mettere fine alla gravidanza siamo passati adesso alla libertà del ricercatore di manipolare, come crede, l’embrione umano per scopi così detti “superiori”. L’argomento usato in questo caso è, di nuovo, la non “definizione” dell’embrione prima di un certo periodo, il fatto che non tutti sono d’accordo nel modo di giudicare. Ma tale periodo viene determinato in modo arbitrario e si fa dipendere la protezione legale del feto da una decisione presa dopo “un processo attivo e complesso da parte nostra”, secondo l’espressione di un autore (9). Fino a dove ci può condurre questa corrente individualista e soggettivista? Non sappiamo, ma rimane valido l’avvertimento classico: “un piccolo errore al principio diventa un grande errore alla fine”.
Conclusione
La legge morale come grammatica universale
I padri delle nostre democrazie moderne supponevano un fondamento morale per le istituzioni e ci direbbero senza mezzi termini che voler raccogliere i frutti della democrazia senza proteggere l’albero e la radice, sarebbe un controsenso. Prima o poi rimarrebbero soltanto frutti secchi.
Il Santo Padre alle Nazioni Unite ha indicato la legge naturale come grammatica comune soggiacente a tutte le culture e condizione sine qua non di ogni dialogo internazionale: “Se vogliamo che un secolo di costrizioni lasci il passo a un secolo di persuasioni, dobbiamo trovare il cammino per discutere, con un linguaggio comprensibile e comune, sul futuro dell’uomo. La legge morale universale, scritta nel cuore di ogni uomo, è una specie di “grammatica” che serve al mondo per affrontare questa discussione sul proprio futuro” (Discorso all’ONU 1995, n. 3).
Servire il bene comune promuovendo la famiglia
La politica è utile quando sa delimitare la propria azione, quando riconosce la propria funzione sussidiaria, quando si lascia orientare da quello che la precede e da quello che la supera. Una politica autosufficiente diventa ideologia, il contrario del servizio. La famiglia è anteriore alla politica, e la politica farà bene a servirla fedelmente, in quanto uno dei valori principali della legge naturale, e scuola ove si apprende la grammatica del bene comune.
Servire il bene comune dell’Europa
La Chiesa è cosciente delle difficoltà da parte del mondo moderno secolarizzato di accettare il modello del bene comune e della famiglia da lei proposto. Allo stesso tempo è cosciente delle contraddizioni interne e del degrado senza precedenti dei modelli alternativi. Per i politici e per i legislatori c’è un lavoro importante da fare. Bisogna riaccendere la luce della legge naturale nel pensiero e nell’azione, essere fedeli ai suoi orientamenti, vigilare ed esaminare continuamente la nostra coscienza per verificare se siamo sensibili ai suoi richiami o se ci siamo lasciati trascinare a fare leggi contrarie ad essa, trovando perfino ragioni per il male. Tutti possiamo ricordare quel fenomeno costante nell’esperienza umana: chi non agisce in accordo al proprio pensiero, comincerà a pensare in accordo alla propria azione. Non è superfluo domandarci anche se non abbiamo perso un po’ del sano timore che dovrebbe infondere la considerazione delle conseguenze inesorabili degli errori commessi (10).
Per questo rivolgo a tutti voi, politici e legislatori, un invito ad assumere la propria vocazione con coraggio e a diventare i buoni samaritani degli uomini dell’Europa. La gravità della situazione è stata magistralmente evidenziata dal Papa nel suo discorso dell’11 ottobre 1985 nel VI simposio del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa sul tema Secolarizzazione ed evangelizzazione oggi in Europa. Parlando specificamente del calo demografico dice: “Se questa involuzione costituisce una fonte di preoccupazione, per noi lo è soprattutto perché, osservata in profondità, essa appare come il grave sintomo di una perdita di volontà di vita e di prospettive aperte sul futuro e ancor più di una profonda alienazione spirituale. Per questo non dobbiamo stancarci di dire e ripetere all’Europa: ritrova te stessa! Ritrova Europa la tua anima!”. I politici e i legislatori hanno una grande responsabilità per questa rinascita.
Card. Angelo Sodano
Segretario di Stato
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* Discorso tenuto il 22-10-1998 al II Incontro di Politici e Legislatori d’Europa, organizzato dal Pontificio Consiglio per la Famiglia dal 22 al 24-10-1998 sul tema Diritti umani e diritti della famiglia. Documento trascritto, con integrazioni redazionali delle note, da L’Osservatore Romano, del 23-10-1998.
(1) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla popolazione di Latina, del 29-9-1991: “Voi, Responsabili della cosa pubblica, sapete bene che l’azione politica è un’arte nobile e difficile (cfr. Gaudium et Spes, 75), la quale richiede chiarezza…”, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XIV, 2, pp. 680-683 (p. 682).
(2) Cfr. Pio XI, Discorso ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica, del 18-12-1927, in Discorsi di Pio XI, ed. it. a cura di Domenico Bertetto S.D.B., vol. I: 1922-1928, pp. 742-746 (pp. 744-745).
(3) Vescovi d’Inghilterra e Galles, Il Bene Comune e la Dottrina Sociale della Chiesa, 1996, n. 116.
(4) Il sociologo francese Gilles Lipovetsky sintetizza bene il problema nel titolo di un libro del 1992: Il tramonto del dovere. L’etica indolore dei tempi moderni democratici (Testo orig.: Le crépuscle du devoir. L’étique indolore des nouveaux temps démocratiques, Gallimard, Paris 1992).
(5) José Luis L. Aranguren, Ética y política, Biblioteca Nueva, Madrid 1996, p. 39.
(6) Gilbert Keith Chesterton, Eugenics an Other Evils, Lendine 1922, p. 16.
(7) V. Kudryavtsev, Human Rights Concept, in Social Science (URSS Academy of Sciences) 18 (1987/1), p. 84.
(8) Planned Parenthood vs. Casey, 1992.
(9) R. Green, Toward a Copernican Revolution of Our Thinking about Life’s Beginning and Life’s End., citato in A Statement on Embryo Research by the Ramsey Colloquium, in First Things, January 1995, p. 19.
(10) Cfr. J. Budziszewski, The Revenge of Conscience, in First Things, July-August 1998, pp. 21-27.