Intervista al dottor Gavin Woods, Cristianità n. 186 (1990)
Nel mese di luglio del 1990, mentre nell’Africa Australe – soprattutto nella regione del Natal – continuavano a verificarsi gravi incidenti interetnici, è passato dall’Italia il dottor Gavin Woods, direttore esecutivo dell’Inkatha Institute e braccio destro del capo zulu Mangosuthu Gatsha Buthelezi. L’Inkatha yeNkululeko yeSyzwe, cioè il Movimento Nazional-Culturale Inkatha, rinnova il nome – e, in parte, i contenuti – di una realtà fondata, negli anni Venti, dal re degli zulu Salomon, allo scopo di difendere l’identità culturale appunto della nazione zulu. E “inkatha” è un cercine, un panno raccolto a foggia di piccola ciambella, che si pone sulla testa prima di sistemarvi un carico, portato dagli zulu prima delle guerre con i bianchi, e usato come copricapo anche dal re, così indicato come “colui che porta i valori della nazione e i pesi del popolo”. In un certo senso rifondato nel 1975 da Mangosuthu Buthelezi, che ne è presidente, nel 1990 il movimento si è trasformato in un partito aperto anche a non zulu, bianchi compresi. In occasione della sua permanenza a Roma, prima tappa di un tour europeo, il dottor Gavin Woods ha rilasciato un’intervista a Sudafrica Oggi, periodico di notizie sudafricane del consigliere per l’Informazione presso l’ambasciata della Repubblica del Sudafrica nella capitale italiana. Il testo è ripreso – con qualche modifica stilistica e con un titolo redazionale – da questa pubblicazione, anno VI, n. 75-76, 30-7/15-8-1990, p, p. 1-5.
Il presente e il futuro della Repubblica Sudafricana nella prospettiva dell’Inkatha
D. Qual è lo scopo del suo tour europeo, che a partire da Roma la porterà in Francia, in Germania e nel Regno Unito?
R. Lo scopo consiste anzitutto nel ricordare alla comunità internazionale che nell’arengo politico sudafricano non vi sono solo due giocatori e nel contrastare gli sforzi propagandistici dell’ANC, l’African National Congress, che vuole accreditarsi come unico rappresentante di tutti i neri. Noi dobbiamo rettificare e modificare questa fallace impressione nella mente degli europei e finora i risultati, sotto questo profilo, sono stati ottimi.
I partiti maggiori sono solo tre, ma quelli operanti sono molti di più e con la loro presenza sarà molto più probabile acquisire una democrazia multipartitica del tipo che credo l’Europa preferisca.
Altro scopo del mio viaggio è dimostrare inequivocabilmente che l’Inkatha desidera una riconciliazione nazionale. Cerchiamo il riconoscimento e il sostegno della comunità internazionale relativamente alla necessità che questa riconciliazione nazionale avvenga prima di negoziati preparatori di un nuovo assetto costituzionale. Infatti, vi è troppa enfasi sulla lotta per il potere, enfasi che genera polarizzazione e contrapposizioni, destabilizzando la situazione con il rischio di rendere ancora più difficoltosa la transizione verso il nuovo Sudafrica.
D. È soddisfatto dell’accoglienza ricevuta in Italia?
R. Nel complesso sì. Ho incontrato esponenti politici ed economici ed è stato molto interessante l’incontro che ho avuto ad Assisi, al Centro Ecumenico, per il suo grande ruolo nell’influenzare direttamente la situazione sudafricana. Spero che questo sia appena l’inizio di altre visite, da parte mia o di miei colleghi dell’Inkatha, e – mi auguro – dello stesso Mangosuthu Buthelezi entro l’anno. Sto praticamente facendo da battistrada.
D. Un suo giudizio sulla situazione generale in Sudafrica e più in particolare nel Natal.
R. Trattiamo le due cose separatamente. Per quanto riguarda il Sudafrica gli avvenimenti possono prendere molte direzioni, ma dobbiamo fare in modo che il processo ora in corso prenda quella giusta. Si sono svolti colloqui pre-negoziali su base bilaterale fra molti partiti e pare che il governo De Klerk e l’ANC siano sul punto di risolvere i contrasti che ostacolano il proseguimento delle trattative. Una volta risolti, sarà interessante vedere al tavolo dei negoziati anche gli altri partiti. Ecco la prossima sfida: tutti insieme per stilare un’adeguata Costituzione. Ma, a monte, esiste un altro problema: l’ANC vuole elezioni generali prima della messa a punto della nuova Costituzione, mentre l’Inkatha e il governo le vogliono dopo la conclusione dei negoziati. Così questa divergenza rischia di rivelarsi una delle maggiori pietre d’inciampo che i partiti dovranno eliminare prima di entrare nel processo negoziale vero e proprio.
Passiamo al Natal, e più specificamente alle violenze. È molto, molto triste che, nonostante i rinforzi di polizia e d’esercito affluiti nel Natal, si debbano continuare a registrare queste esplosioni di violenza. Ma, forse, non dovremmo sorprenderci troppo perché non si può immaginare a quali livelli sia giunta la frustrazione, la rabbia e l’aggressività fra i giovani, che sono poi quelli che prendono parte a queste violenze, come ho personalmente constatato nelle ricerche che conduco in quanto direttore esecutivo dell’Inkatha Institute. Se non affrontiamo i problemi soggiacenti, che sono alla base delle loro frustrazioni, non possiamo aspettarci che la violenza abbia termine. Dobbiamo poi riconoscere che vi sono persone che soffiano sul fuoco di questa frustrazione, come leader politici locali, boss del crimine, uomini d’affari, e così via. Quindi, mi pare che si faccia di tutto, tranne che affrontare alla radice i problemi socioeconomici. La polizia e la magistratura si rivelano inadeguate e i politici non si riuniscono per mettere a punto programmi finalizzati alla rieducazione dei giovani delle township. Non sono molto ottimista e penso che nel Natal la violenza continuerà. Inoltre, la violenza mostra una recrudescenza in tutto il paese e non è da sottovalutare, in quanto potrebbe mettere a repentaglio qualunque eventuale soluzione si trovi per il Sudafrica.
D. In che modo si dovrebbe operare per porre fine alla spirale di violenza nel Natal?
R. Penso a un piano in tre punti. Il primo riguarda lo Stato, che dovrebbe inviare nel Natal più personale per far rispettare la legge e porre fine a lutti e a distruzioni, stanziando nel contempo i fondi per creare un ambiente più vivibile: con la creazione di strutture e di posti di lavoro si può eliminare almeno in parte la frustrazione, specialmente fra i giovani, alla quale contribuisce un livello di disoccupazione molto elevato. Il secondo punto contempla un intervento psicologico: bisogna combattere la cultura della violenza che impera nelle township nere, ricordando che uccidere esseri umani è male, che è una cosa infamante e che tutti dovrebbero al riguardo sentirsi nauseati. La vita umana è molto, molto preziosa e dobbiamo ricordarlo alle persone che l’hanno dimenticato, per mezzo di campagne molto attive. Terzo punto: bisogna che i leader politici del nostro paese, come Nelson Mandela, Mangosuthu Buthelezi e perfino Frederik W. De Klerk, vengano a visitare insieme le zone nell’occhio del ciclone. Sarebbe un atto di grande forza simbolica e non mancherebbe di influire profondamente sui responsabili delle violenze. In tale occasione i tre dovranno lanciare un chiaro e forte messaggio di pace e di riconciliazione, dicendo che i contrasti si possono e si devono risolvere in modo pacifico, riunendosi attorno a un tavolo, senza uccisioni o vendette a causa della diversità di opinioni politiche. Ma prima che questo avvenga, fra i tre dovrà essersi sviluppata una mutua fiducia, di modo che questa iniziativa non possa essere sfruttata a proprio vantaggio da uno a danno degli altri.
D. Perché Mangosuthu Buthelezi e Nelson Mandela non si sono ancora incontrati?
R. Molti dei co-leader dell’ANC vanno continuamente affermando – a scopo propagandistico – che l’Inkatha è finito e quindi premono su Nelson Mandela affinché non incontri Mangosuthu Buthelezi. Questo minerebbe i loro sforzi propagandistici in quanto agli occhi dei neri l’incontro darebbe credibilità a quest’ultimo, conferendogli un riconoscimento e una rinnovata vitalità. Ma sono sciocchezze perché chi conosce l’Inkatha sa che esso, lungi dall’aver perso terreno, si rafforza sempre più, specie da quando si è trasformato in partito politico multietnico.
D. L’ANC accusa la polizia del Natal di parteggiare per l’Inkatha. È vero?
R. No. Bisogna partire dalla considerazione che l’ANC ha come politica la sistematica eliminazione fisica dei poliziotti. Quindi, è facile che, all’esterno, possa sembrare che essi, dovendosi difendere, stiano dalla parte dell’Inkatha. Ma, come ho detto prima, gli effettivi sono insufficienti: basti pensare che nel territorio autonomo del KwaZulu il rapporto è di circa un poliziotto ogni quattromila persone.
D. Non le pare che il piano recentemente rivelato da Chris Heunis sulle infiltrazioni di guerriglieri dell’ANC in Sudafrica ricalchi in modo impressionante quello che costò la prigione a Nelson Mandela?
R. Sì. Ma non dovremmo essere troppo sorpresi perché, se guardiamo più da vicino l’ANC, vediamo tutto un ventaglio di posizioni, di strategie, di ideologie e molti degli esponenti più in vista credono ancora nell’insurrezione, nella rivoluzione e in cambiamenti attraverso la violenza. Lo stesso Chris Heunis è uno degli esponenti di punta; non dobbiamo dimenticare che è uno dei leader della vecchia guardia dell’ANC e che sarà uno dei favoriti per ricoprire un posto-chiave al prossimo congresso dell’ANC, in dicembre. Si dovrebbe apprezzarne la sincerità, in quanto rivela pubblicamente la sua agenda. Personalmente non ho letto ciò che ha detto, ma siamo ben consapevoli che l’Umkhonto We Sizwe, la Lancia della Nazione, cioè l’ala militare dell’ANC, quest’anno ha fatto sentire pesantemente la sua presenza nelle township sudafricane, reclutando apertamente giovani a centinaia e portandoli oltre confine. Ne siamo ben al corrente e ciò rientra in quello che l’ANC sta facendo. Ma vi è un’altra parte dell’ANC che dice cose diverse.
D. Secondo Lei, qual è il vero Nelson Mandela, quello che parla di sanzioni, di nazionalizzazioni e di lotta armata o quello dai toni moderati e dalle dichiarazioni concilianti?
R. Non lo so più. Mi piacerebbe credere che sia una persona onesta, che conosce realmente la differenza fra il bene e il male. Penso che dovremmo dargli un po’ di respiro. È stato fuori dalla politica per molto tempo e, una volta tornato, è stato costretto a mettersi alla guida di un partito formato da molte, molte componenti, da molte ideologie, da molti leader e subisce forti pressioni da tante parti. Lo si può riscontrare da quello che dice, in quanto cambia opinione da un giorno all’altro su ogni sorta di questione; è molto incoerente e probabilmente ciò dipende dalle varie influenze all’interno del suo partito. Per quanto ancora riuscirà a tenere insieme l’ANC, non so.
È veramente molto difficile rispondere alla sua domanda. In qualche modo, in cuor mio, mi piacerebbe ancora credere che sia un brav’uomo, che gli sia consentito di prendere realmente le sue decisioni e di non essere usato come una marionetta nel modo in cui vediamo, che sia veramente una persona buona, giusta e con valori morali universali.
- D. Lei è cattolico e ha avuto problemi con il suo vescovo, quello di Durban, mons. Dennis Hurley. In quali rapporti è l’Inkatha con la SACBC, la Conferenza Sudafricana dei Vescovi Cattolici?
- L’Inkatha prova tristezza nei confronti della conferenza episcopale cattolica. L’Inkatha ha più volte rivolto pressanti istanze ai vescovi, ma finora essi non si sono mai degnati di rispondere. Il fatto è che la SACBC riceve proprio una gran quantità di denaro dalla comunità internazionale e sono soldi dati con l’intento di aiutare le vittime dell’apartheid o a scopi genericamente umanitari. Ma noi tutti sappiamo che questi soldi non sono usati in questo modo. Sappiamo che la SACBC con gran parte di quel denaro finanzia organi di stampa che sostengono senza riserve non solo il partito comunista sudafricano, ma perfino i settori violenti dell’ANC. Mi riferisco, per esempio, al settimanale The New Nation, al South, sempre di estrema sinistra, o a UmAfrica, altro giornale di questo tipo. E stiamo parlando solo di stampa, mentre la SACBC usa i soldi anche per altri fini, diciamo, non ortodossi. Ma quando gli interpellati non rispondono e, scrollando le spalle, continuano a fare quello che fanno, allora non resta che andare da chi fornisce questi soldi. Ma questo è un altro problema e vorrei proprio avere l’opportunità di farlo ora che sono in Europa: sollevare la questione presso la CEE, la Comunità Economica Europea. Come può consentire che i suoi soldi continuino a essere usati in modo così partigiano? Sono convinto che questa utilizzazione, cioè che vadano a beneficio di certi partiti politici nel modo che sappiamo, non corrisponda alle intenzioni dei donatori. Penso sia immorale. La CEE ne dovrebbe essere fatta più consapevole. È denaro stanziato dalla CEE e gli enti chiamati ad amministrarlo, come la SACBC o il Kagiso Trust, ne abusano sfacciatamente per scopi molto politici e partigiani.
D. Che cosa dicono i cattolici sudafricani?
R. Fra di loro serpeggiano sconcerto e amarezza. Hanno fatto e fanno sentire le loro indignate proteste e denunce. Grazie a esse, sia da parte di associazioni cattoliche come Young South Africans for a Christian Civilization-TFP che di singoli, con lettere aperte riprese dalla stampa, bisogna dire che, almeno nel caso di The New Nation, il filocomunismo si è fatto più cauto (1).
D. Come giudica i risultati seguiti alla trasformazione dell’Inkatha in un partito politico multirazziale?
R. Sono molto promettenti, anche se la decisione risale solo a poche settimane fa. Ancor prima della nostra conferenza nazionale avevamo ricevuto già un migliaio di lettere di bianchi che chiedevano di ricevere i moduli di iscrizione al momento della trasformazione. Alla conferenza nazionale di lancio – che si è tenuta a Ulundi, una località molto fuori mano – erano presenti molti bianchi e indiani che si sono iscritti il giorno stesso. È interessante notare che molti bianchi e indiani sono giunti alla conclusione che il nuovo Sudafrica sarà guidato da un governo sostanzialmente nero e hanno cominciato a rendersi conto di poter ampiamente condividere la nostra impostazione politica e i nostri principi, considerandoci l’alternativa democratica a un ANC sotto l’influenza del partito comunista. Il mondo chiude gli occhi sul fatto che l’esecutivo dell’ANC è in gran parte formato da membri del partito comunista sudafricano. E lo hanno ignorato sia l’America che l’Italia durante la recente visita di Nelson Mandela.
Nota:
(1) Su The New Nation e l’associazione Young South Africans for a Christian Civilization-TFP, cfr. ETTORE RIBOLZI, “Teologia della liberazione” di stampo marxista in Sudafrica, in Cristianità, anno XV, n. 152, dicembre 1987 (ndr).