Contro i tradimenti l’indignazione non basta
«PREGHIERA, AZIONE, SACRIFICIO»
Gli italiani ancora capaci di indignarsi sono certamente molti, se si contano tra essi, ad esempio, tutti quelli che non vengono mai intervistati, ossia non si trovano mai, per caso, dove passano i collettori della opinione pubblica. Tali italiani hanno quotidiane occasioni opportune per dare prova di questa loro capacità, offerte dalla stampa, dalla radio, dalla televisione, dal cinema, dalla sedicente cultura, ecc.
Ma se quasi tutti gli avvenimenti contemporanei possono essere considerati possibili occasioni di indignazione, vi è un genere di essi che non solo favorisce, ma costringe all’indignazione. Non è difficile indovinare: si tratta del modo tenuto da ogni tipo di potenti di questo mondo – spesso, purtroppo, anche di autorità – nel trattare sia con i principi che con le persone dei loro subordinati.
Molti avvenimenti dei nostri giorni costituiscono dunque altrettanti esempi di incoerenza dottrinale o di abuso di potere, e in entrambi i casi testimoniano un sostanziale disprezzo per gli uomini. Chi, infatti, costituito per proclamare la verità, non la proclama, dimostra anche di non rispettare coloro a cui è dovuta; e così è, ugualmente, nel caso di chi deve proteggere e non protegge, di chi deve educare e non educa, di chi ha ricevuto un mandato per rappresentare e non rappresenta fedelmente.
Nel genere dei fatti sopra ricordati, alcuni a loro volta emergono con un rilievo tutto particolare, sia per la ingiustizia che li caratterizza, sia per la vigliaccheria e la mistificazione con cui l’ingiustizia è compiuta.
- IL REFERENDUM CONTRO IL DIVORZIO
La storia del referendum contro il divorzio sembra il racconto di una favola, e, almeno fino a oggi, di una favola triste, lacrimosa e tutt’altro che a lieto fine.
“C’era una volta un paese democratico e cristiano – racconta tale favola, che purtroppo è la nostra storia di oggi – in cui alcuni uomini politici, con la complicità di altri, introdussero una brutta legge, che dichiaravano civile, ma che era evidentemente contraria all’ordine della natura, alla rivelazione di Dio, alla volontà del popolo nonché alla esperienza.
“Fra i piccoli, in mezzo al popolo meno irreggimentato nelle sette partitiche, alcuni si fecero promotori della richiesta di sottoporre a referendum la brutta legge, fondando tale loro richiesta sulla Costituzione democratica.
“Così, senza schiamazzi, senza scioperi, senza tumulti, perfino senza bombe, girarono di paese in paese, di parrocchia in parrocchia, di casa in casa, a denunciare l’iniquità della legge divorzista – ma che era brutta lo sapevano in molti, tanto che, spesso, solo il curato e qualche “studioso” avevano bisogno di spiegazioni.
“Raccolsero dunque le firme dei piccoli e dei grandi – degli umili piuttosto che dei potenti – ottemperando a regole difficili e astruse, tanto difficili e tanto astruse che a qualcuno, nei momenti di stanchezza, veniva in mente che fossero state fatte apposta perché i referendum non si facessero mai.
“La loro fede però li sostenne, la fede comune mosse gli animi e le volontà; e il successo arrise, in misura imprevista dai promotori e dai potenti.
“I promotori della raccolta, uomini liberi e privati, tornarono allora alle loro case, in fiduciosa attesa, condivisa dai firmatari, che il meccanismo legislativo chiamasse i cittadini a esprimersi sulla legge iniqua, ma la cosa non parve opportuna ai detentori del potere, ai potenti, i quali, esperti nel latinorum del “diritto” e come se qualcuno avesse loro detto: “Questo referendum non s’ha da fare!”, anticiparono le elezioni e rimandarono di un anno la consultazione.
“L’anno passò e i promotori della raccolta, uomini liberi e privati, aspettarono fiduciosi nelle loro case che giungesse l’attesa primavera elettorale, ma che giungesse non parve di nuovo opportuno ai potenti che, dopo aver consultato oracoli privi di autorità, decisero di rimandare di un altro anno la consultazione”.
Qui terminerebbe la favola, la triste storia purtroppo coincidente con la nostra più recente storia nazionale, e all’orizzonte si staglierebbe l’immagine di una primavera prossima finalmente foriera di consultazione popolare. Ma sull’attesa eventualmente ancora fiduciosa – il giusto spesso attribuisce agli altri la propria serietà – si stende già l’ombra di nuove elezioni che nascondono ulteriori rimandi e – ipotesi ancora più fraudolenta – si è già parlato, in alto loco, della eventualità di un “miglioramento” della iniqua legge, come se fosse migliorabile una legge intrinsecamente e non accidentalmente iniqua.
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Individuare, in quanto esposto, ingiustizie e abusi è tragicamente facile, né sono riscontrabili soltanto danni, ma anche ignobili e sfacciate beffe; e viene alla mente una parola grossa, un termine di quelli che non si vorrebbero mai usare, magniloquente e tragico, che però, unico, permette di chiamare la situazione attuale con il nome che più le conviene: tradimento.
Sì, tradimento:
– tradimento della libertà che si dichiara di aver conquistata con la Liberazione e di aver garantito per i secoli venturi nella Costituzione;
– tradimento della volontà popolare, inequivocabilmente espressa nella raccolta lecita di firme e nell’invio al parlamento di una maggioranza antidivorzista;
– tradimento, ad opera di chi si dice cristiano, e sulla base di questa qualifica raccoglie gran parte dei propri suffragi, sia di un elettorato fiducioso, sia di una dottrina che non tollera patteggiamenti sui principi, a proposito dei quali è solo possibile la rigorosa applicazione dell’evangelico “sì, sì, no, no“;
– tradimento, infine, ad opera di chi è costituito custode di tale dottrina, perché, giustamente sensibile a ogni ingiustizia piccola e grande e spesso lontana, nella sua grande maggioranza tace di questa, così prossima e così evidentemente contraria alla legge di Dio: e pur tanto puntuale nel ricordare pubblicamente i propri doveri agli elettori, non dà prova di identica prontezza nel richiamare pubblicamente gli eletti al rispetto degli impegni assunti.
- LA RI-“APERTURA A SINISTRA”
Unus testis, nullus testis. Una sola prova non è significativa, si diceva un tempo: e così come una rondine non fa primavera, un solo tradimento non potrebbe squalificare un mondo e una intera classe dirigente. Ma è proprio il solo, oppure uno dei tanti? Forse non sono tutti consumati, ma certo incombono, anche se con maggiore o minore urgenza. Come non ricordare, a questo punto, oltre alla cosiddetta riforma del diritto di famiglia e alla proposta per la legalizzazione dell’aborto – detto anche, nel gergo della “mala” intellettuale, “libera gestione della maternità” -, il grande tradimento, ovvio e ormai scontato, imminente sul panorama politico della nostra nazione, come non ricordare la possibile ri-“apertura a sinistra“? E come non chiedersi, anche a questo proposito, che ne è della volontà popolare, espressa in quello che un prim’attore della scena politica italiana ha definito “lo spirito del 7 maggio“, cioè della volontà manifestata nel senso della reversibilità della formula politica che ha caratterizzato gli anni Sessanta?
Eppure chi si dice cristiano e, come abbiamo già detto, sulla base di questa qualifica raccoglie la gran parte dei propri suffragi, pare intenda di nuovo calpestare quei Punti fermi pubblicati sull’Osservatore Romano del 18 maggio 1960, che richiamavano “le chiare e ripetute norme date […] dalla Suprema Sacra Congregazione del Sant’Uffizio” e a suggello dei quali venivano riportate “le gravi parole che il Sommo Pontefice Giovanni XXIII, f.r., scriveva, come Patriarca di Venezia, qualche anno fa al suo diletto popolo: “Infine, debbo sottolineare con particolare rammarico del mio spirito la constatazione della pertinacia avvertita in alcuno di sostenere ad ogni costo la cosiddetta “apertura a sinistra” contro la posizione netta presa dalle più autorevoli Gerarchie della Chiesa […] Anche su questo punto mi è doloroso il segnalare che per dei cattolici ancora una volta ci troviamo in faccia a un errore dottrinale gravissimo e ad una violazione flagrante della cattolica disciplina. L’errore è di parteggiare praticamente e di far comunella con una ideologia, la marxista, che è la negazione del Cristianesimo e le cui applicazioni non possono accoppiarsi coi presupposti del Vangelo di Cristo” (card. Angelo Roncalli, Scritti e Discorsi, vol. II, p. 456)”.
Né pare che, salvo lodevolissime e benedette eccezioni, vi siano autorevoli voci disposte a rinverdire quei moniti sapientissimi, benché disattesi.
- IL CREPUSCOLO DEL CILE CATTOLICO
A questo punto delle nostre considerazioni, viene spontaneo chiedersi se questi tradimenti possono essere considerati manifestazioni di un morbo endemico, cioè di una malattia infettiva sempre presente in un determinato territorio, o se invece hanno carattere di epidemia, cioè di malattia infettiva di vasta e rapida diffusione.
Un certo pessimismo nazionalistico farebbe optare per la prima interpretazione, se anche da altre parti del mondo non giungessero notizie ugualmente tragiche, che confortano la tesi di un vento di tradimenti che soffia su tutte le nazioni.
E tra tutti i fatti dolorosi emerge il crepuscolo del Cile cattolico, venduto al comunismo da uomini politici sedicenti cristiani, con la collaborazione della maggior parte del clero. Il racconto di questo calvario e la denuncia degli ignobili cedimenti e delle complicità vergognose costituisce il contenuto dell’accorato grido di allarme lanciato dai giovani cattolici della Sociedad Chilena de Defensa de la Tradición, Familia y Propiedad alla vigilia delle elezioni del marzo di quest’anno con il loro manifesto L’autodemolizione della Chiesa, fattore capitale della demolizione del Cile. Tale manifesto, che si fonda su fatti a tutt’oggi non smentiti e che anche dopo le elezioni non ha assolutamente perso attualità, sta avendo vasta eco in tutte le nazioni di quella che fu la Cristianità – pubblicato su La Tribuna e La Tercera di Santiago, oltre che su giornali cileni di provincia, quindi sui principali quotidiani di Buenos Aires, San Paolo e Montevideo, e da ultimo su Fuerza Nueva di Madrid – e dalle nostre pagine giunge ora anche in Italia, speriamo ammonitore.
Ugualmente ammonitrice potrebbe essere la via imboccata dall’Argentina, se una pubblicistica incipiente o in mala fede non si ostinasse a qualificare come anticomunista la forza politica ivi fraudolentemente salita al potere con la collaborazione dei suoi avversari!
- “PREGHIERA, AZIONE, SACRIFICIO”
Consultando un dizionario, alla voce tradimento si è rimandati a tradire, così definito: “venir meno alla fede data a qualcuno“.
Dunque, sul mondo e sull’Italia soffia un vento di tradimenti, che possono provocare, e di fatto talora provocano, indignazione e sdegno, in quanto espressioni di comportamenti non degni. Ma indignazione e sdegno non bastano. Contro tutto questo la situazione reclama atteggiamenti e atti di fedeltà e quindi uomini capaci di assumere tali atteggiamenti e di compiere tali atti; uomini che sappiano riprendere la divisa della prima azione cattolica: “Preghiera, azione, sacrificio“.
– Preghiera, per impetrare da Dio, attraverso la mediazione della santissima Vergine, la grazia di essere fedeli alla sua legge, sia a quella naturale che a quella rivelata, per ciò che ordina in rapporto alla sua gloria, alla nostra santificazione, e quindi all’amore del prossimo in tutti i suoi gradi e in tutte le sue forme;
– azione, per diffondere nella sua integrità la buona dottrina, spirituale e sociale, sostenere le cause giuste e resistere ai malvagi;
– sacrificio, per agire con costanza e abnegazione, e per supplire con volontarie mortificazioni alle offese, sia private che pubbliche, sia individuali che sociali, fatte alla legge di Dio.
Se esistono uomini da tanto, ogni restaurazione è ancora possibile, l’Italia cattolica non è un sogno e Cristianità è il nome futuro del mondo docile all’insegnamento tradizionale della santa Chiesa, costituita da Nostro Signore Gesù Cristo madre e maestra di tutte le genti.