Andrea Morigi, Cristianità, 256-257 (1996)
Avevano compiuto scorribande in Oriente e in Occidente, erano diventati il terrore non solo dei mari ma di tutti i corsi d’acqua navigabili; il loro nemico più temuto erano le intemperie e forse, in parte, per questo motivo capiscono non soltanto di aver a che fare con un Dio padrone degli elementi naturali, cosa quasi scontata, ma soprattutto con un Dio che non li avrebbe mai traditi, tanto meno nel momento del pericolo di tempeste e di annegamento. Non si ha notizia di commenti a proposito dell’episodio evangelico in cui il Signore Gesù seda la tempesta (cfr. Mt. 8, 23-27; Mc. 4, 39-41; e Lc. 8, 22-25), eppure i vichinghi, detti così perché andavano commerciando di vicus in vicus, di mercato in mercato, vedono in Cristo un drengr gódr, un buon “confratello”, un eccellente “fratello giurato”, un ottimo compagno di viaggio, un marinaio valente da imbarcare con loro durante i lunghi trasferimenti che li portano dalle coste europee fino in Asia.
L’ipotesi storica è di Régis Boyer, docente di lingue, letterature e civiltà scandinave nell’Università di Parigi-Sorbona e direttore dell’Institut d’Études Scandinaves presso lo stesso ateneo. Nato nel 1932, ha insegnato in Polonia, in Islanda e in Svezia; traduttore di numerosi antichi racconti degli scaldi nonché di testi letterari scandinavi anche recenti, ha pubblicato altrettanto numerosi studi, fra i quali sono reperibili in italiano La vita quotidiana dei Vichinghi (800-1050) (BUR Rizzoli, Milano 1994) e Approccio antropologico al sacro (Jaca Book, Milano 1992).
L’ipotesi sintetizzata è esposta in Il Cristo dei barbari. Il mondo nordico (IX-XIII secolo) e vi è sostenuta facendo ricorso a numerosi studi, di altri esperti e dello stesso Régis Boyer, nonché attingendo, per interpretare l’atteggiamento del mondo nordico nei confronti di Cristo, alle fonti che testimoniano il passaggio da una mentalità religiosa pagana al cristianesimo: le saghe; l’opera del cronista danese Sassone Grammatico (1140 ca.-1210), Gesta Danorum (trad. it., Gesta dei re e degli eroi danesi, Einaudi, Torino 1993); le edda, quella poetica (trad. it., L’Edda. Carmi norreni, 2a ed., Sansoni, Firenze 1982) e quella in prosa (trad. it., Edda di Snorri, 2a ed., Rusconi, Milano 1981), redatta dal poeta e storiografo islandese Snorri Sturluson (1178-1241); l’opera del cronista germanico del secolo XI Adamo di Brema Gesta Hammaburgensis ecclesiae pontificum; e la Vita Anskarii, la vita di sant’Anscario (801-865), monaco benedettino di Corbie, in Piccardia, arcivescovo di Amburgo e di Brema, apostolo della Scandinavia, scritta dal suo discepolo e successore, san Rimberto, nato in Fiandra e morto nell’888.
Dopo un’introduzione, significativamente intitolata Un argomento difficile da delimitare (pp. 7-16), l’autore dedica il primo capitolo allo Studio della mentalità religiosa degli antichi scandinavi (pp. 17-77), descrivendo anzitutto Un mondo di natura rurale e familiare (pp. 20-32), nel quale vige il Primato dei valori dell’azione (pp. 32-41), si riscontra la Permanenza della magia premonitrice (pp. 41-48), così come si possono identificare Strutture comuni al paganesimo nordico e al cristianesimo (pp. 49-59), che spiegano Una conversione dal carattere spesso politico (pp. 59-71) favorita da Un grande spirito di tolleranza (pp. 71-76) presente nel paganesimo stesso; quindi, nel secondo capitolo, narra La conversione del Nord. I fatti (pp. 96); nel terzo inquadra Cristo nel mondo scandinavo (pp. 97-152), prima Cristo, un estraneo (pp. 99-112), poi Il Cristo nemico (pp. 112-137), finalmente Cristo accolto e riconosciuto (pp. 137-151); da ultimo, nella conclusione, Cristo “drengr gódr” (pp. 153-159), Régis Boyer espone l’ipotesi anticipatamente riassunta, alla quale fanno seguito brevi Indicazioni bibliografiche (pp. 161-162). Il volume è impreziosito da undici illustrazioni fuori testo.
Pur avendo conosciuto l’islam, i popoli nordici non vi avevano aderito, per quanto possa essere facile pensare a una loro naturale adesione a una religione guerriera, e pur avendo portato in patria statuette di Buddha, non ne erano rimasti per nulla impressionati. Era stato probabilmente Baldr, divinità degli Asi scandinavi, avvicinabile per alcuni aspetti alla figura di Cristo nella sua nobile morte per opera del malvagio Loki, che li aveva spinti ad accostarsi a una religione che, con le loro tradizioni, non trovava molti altri punti di contatto. Non vi erano edifici di culto particolari in Scandinavia, poiché le abitazioni stesse erano considerate sacre, né sacerdoti nel senso stretto del termine, in una società dove il capofamiglia celebrava i riti familiari, così come il re fungeva da pontifex per la comunità per assicurare la pace e anni fecondi. Il sole, divinizzato e rivestito di alcune funzioni di provvidente, veniva indicato con sostantivo femminile, il che porta Régis Boyer a identificarlo in altre sue opere — per esempio ne La vita quotidiana dei Vichinghi (800-1050) — con la Gran Madre o Dea Madre, eppure esso non si occupava della quotidianità degli uomini, che surrogavano la mancanza della Rivelazione con la magia premonitrice. Sono pochissimi i punti sui quali Régis Boyer avanza ipotesi definitive, ma, pur procedendo cautamente nell’analisi della veridicità delle sue fonti, lo studioso ricostruisce con sufficiente certezza il substrato religioso dei popoli pagani scandinavi, intessuto di pratiche magiche che dovevano favorire l’acquisizione di potenza — megin dal verbo magna — da parte della divinità che si sacrificava. Secondo Régis Boyer: “Bisogna fare attenzione alla costruzione strana (per noi) dell’antica lingua degli Scandinavi: blòta guð hestum, tradotto: sacrificare il dio (guð, all’accusativo) attraverso la mediazione di un cavallo (hestum, al dativo che qui ha valore strumentale). Si capisce che attraverso il sacrificio della vittima scelta, la divinità si trova rafforzata, la sua potenza è aumentata, da cui il verbo magna. Così fortificata la divinità sarà più incline, si sentirà moralmente in dovere di concedere il favore, l’aiuto, il dono che ci si attende da essa in cambio. Nessun sacrificio gratuito, nessuna offerta disinteressata” (p. 38). Questi riti, che arrivavano sino all’immolazione dei propri figli, vengono abbandonati, insieme al confuso pantheon scandinavo, gradualmente ma inesorabilmente dopo l’introduzione del cristianesimo nel secolo X, grazie a una tolleranza da parte della Chiesa che consente, mentre si introduce l’alfabeto latino, di far rifiorire la scrittura runica e, mentre evangelizza quei popoli, ne salva dall’oblìo le tradizioni più antiche.
I numerosissimi scambi delle popolazioni scandinave con altre culture, grazie ai viaggi e alle migrazioni che le hanno portate a tutte le estremità del mondo conosciuto e forse oltre, erano stimolati negli uomini del Nord da un interesse verso l’esterno che va crescendo con la conversione al cristianesimo.
Ricercare alle origini della missione evangelizzatrice in Scandinavia un filone principale viene così considerato assai problematico da Régis Boyer, perché anzitutto la documentazione attesta una varietà di rapporti fra le diverse parti della Cristianità e i paesi nordici tale da tracciare percorsi non sistematici, mentre paradossalmente il fitto scambio di esperienze fra i popoli nordici, che permetteva loro di far propri anche elementi di patrimoni culturali non direttamente appartenenti alla storia della stirpe, non facilita certamente il compito di chi vuole individuare un disegno coerente e conclusivo dell’evangelizzazione del Nord. Costituiscono un fatto sicuramente rilevante i rapporti dei paesi nordici con il cristianesimo orientale, l’impegno del reggimento dei variaghi svedesi presso la corte di Costantinopoli, ma anche i contatti con il mondo celtico irlandese tenuti dai norvegesi. Il successo della missione si deve quindi a fattori diversi e complementari.
Fra questi, anche un istituto giuridico, la prima signatio, equivalente all’inizio del catecumenato, diventa lo strumento privilegiato con il quale dapprima i popoli del Nord hanno la possibilità di accedere ai riti cattolici, poi ottengono la licenza incondizionata di esercitare il commercio nelle nazioni cristiane. Quando anche i re si convertono, la conversione dei loro sudditi assume carattere politico, con aspetti dettati dalla convenienza o dalle alleanze militari.
Iniziata, ma senza successi rilevanti, con una missione carolingia che coprì il periodo dal 700 al 900, la cristianizzazione degli scandinavi viene attuata principalmente da sant’Anscario in Danimarca e in Svezia, per poi subire un arresto alla sua morte nell’865, fino al 950. A questo punto i re stessi, supportati dall’opera di sacerdoti, si incaricano di evangelizzare i propri paesi e l’Islanda con uno sforzo della durata di un secolo, che è portato a termine con successo in coincidenza con la fine del movimento vichingo, anche se le direttrici principali che conducono il cristianesimo verso la Scandinavia ufficialmente provengono dalle diocesi di Brema e di Amburgo e un ruolo determinante è da ascriversi al mondo celtico e a quello anglosassone.
La penetrazione ufficiale del cristianesimo, peraltro, se in un primo tempo provoca la fuga dalla Norvegia all’Islanda di intere famiglie che desideravano preservarsi intatte dalla fede nel nuovo Dio, trova uno strumento straordinariamente efficace nel mutamento della legislazione, grazie alla quale viene soddisfatta l’esigenza degli scandinavi di porre nel diritto il fondamento della vita sociale. Pur non essendo applicati interamente, i codici di leggi cristiane esercitano tuttavia un’attrazione decisiva nei riguardi delle comunità ancora ostili alla novità assoluta rappresentata dalla fede.
I popoli del Nord non conoscevano nel loro lessico il concetto di religione associata a un credo e a una morale, ma affiancavano al siðr, all’usanza, all’insieme di pratiche, il réttr, la giustizia. Vogliono quindi, prima di ogni altra cosa, sincerarsi della effettiva potenza di Cristo rispetto agli dèi pagani, instaurando così un rapporto personale che fa loro comprendere fino in fondo la nobiltà e la dignità di re propria del Figlio di Dio.
Se pur non era patrimonio della cultura pagano-nordica il senso del peccato e del perdono, ed è difficile per i missionari introdurne i concetti, pure gli uomini norvegesi, svedesi, danesi e islandesi possono iniziare il percorso della loro conversione dall’elemento maggiormente omogeneo ai loro desideri e al loro modo di vivere, cioè dalla considerazione di un Dio giusto, che assicura l’ordine, ma in più si dimostra fedele. I fatti storici della conversione della Scandinavia, delineati sommariamente da Régis Boyer, descrivono prevalentemente l’atteggiamento culturale tramite il quale quei popoli accolgono il Vangelo: battaglie anche sanguinose per la conversione, indifferenza per la nuova religione fino al momento in cui si dimostra più efficace, fedeltà eterna sancita anche costituzionalmente alla religione cristiana. La devozione a san Michele arcangelo, probabilmente per influsso del culto tributatogli nell’Oriente bizantino, dove veniva considerato nella sua funzione di psicopompo, permetteva inoltre agli scandinavi, convertiti al cristianesimo, di mantenere il culto della comunità di vivi e di morti caratteristico del periodo precristiano, considerando il battesimo un viatico per “tutta la casa”, cioè per la famiglia.
Il contributo di numerose scienze, fra le quali l’archeologia e l’agiografia, dà all’opera di Régis Boyer il carattere di uno studio fondamentale per chi voglia affrontare la vicenda religiosa di un gruppo di popolazioni poco conosciute, sulle quali pesano ancora luoghi comuni storiografici difficili da scalfire. Fra tutti, la pretesa conversione forzata dei norvegesi da parte del re sant’Olav II (995-1030) viene fortemente ridimensionata sulla base dell’esame delle cronache del periodo, le quali, benché lette piuttosto nell’ottica del missionato che non in quella del missionario, non solo non scalfiscono a loro volta, ma fondano adeguatamente l’ipotesi dell’autore secondo cui quello che viene finalmente accolto nel mondo nordico è “Kristr drengr gódr”, “Cristo buon fratello giurato”, cioè l’ipotesi secondo cui questa è “[…] l’immagine di Cristo più convincente che lo studio della conversione del Nord ci propone” (p. 159).
Andrea Morigi