Con il titolo Guida del pellegrino di Santiago viene da tempo indicata la quinta parte di un importantissimo manoscritto conservato nella cattedrale di Santiago de Compostela, in Spagna, cioè il Liber Sancti Jacobi — noto anche con il nome di Codex Calixtinus grazie a un’epistola, considerata apocrifa, di Papa Callisto, che occupa i primi due fogli del codice stesso —, là ove il testo esordisce con le parole «Comincia il libro quinto di San Giacomo Apostolo», secondo la tradizione evangelizzatore del paese iberico.
Il Liber Sancti Jacobi, prima della Guida del pellegrino di Santiago, contiene anche una collezione di testi liturgici, la narrazione di una ventina di miracoli legati al pellegrinaggio iacopeo, altri testi fra i quali il racconto della translazione del corpo di san Giacomo e una singolare chanson de geste — scritta però in latino —, nella quale le leggendarie imprese iberiche dell’imperatore Carlo Magno sono poste in relazione con Santiago (cfr. Compostella. Guida del pellegrino di san Giacomo. Storia di Carlo Magno e di Orlando, trad. it., Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo [MI] 1989,pp. 115-167).
La Guida del pellegrino di Santiago — opera di un chierico francese e probabilmente scritta attorno all’anno 1140 — è presentata e tradotta dal maggior specialista italiano di studi compostellani, Paolo Caucci von Saucken — docente di lingua e letteratura spagnola all’università di Perugia nonché direttore del Centro Italiano di Studi Compostellani, con sede nello stesso capoluogo umbro —, fra i cui scritti precedenti ricordo almeno Il cammino italiano a Compostella. Il pellegrinaggio a Santiago di Compostella e l’Italia (Università degli Studi di Perugia, Perugia 1984; cfr. la mia recensione in Quaderni di «Cristianità», anno I, n. 2, estate 1985, pp. 86-88).
Nel primo capitolo del prezioso testo medioevale, che inizia con la celebre definizione «Quatuor vie sunt que ad Sanctum Iacobum tendentes, in unum ad Pontem Regine in horis Yspanie coadunantur», vengono descritti i quattro principali «cammini» destinati, appunto, a riunirsi in terra iberica, a Puente de la Reina: la via tolosana, da Arles attraverso Tolosa, la via podense, da Le Puy attraverso Conques e Moissac, la via lemovicense, dall’abbazia di Vézelay attraverso Limoges, e la via turonense, da Tours. Su di essi si inserivano i pellegrini provenienti da tutti i paesi della Cristianità.
Nei capitoli successivi — l’opera ne comprende undici — l’autore si preoccupa di dare anche indicazioni di tipo pratico, soffermandosi sull’articolazione del viaggio in tappe, sulle città dove è opportuno sostare, pure in relazione alle spese, sui fiumi e sui passi montani da superare: ma il pellegrinaggio deve avere, fin dall’inizio, soprattutto il carattere di un cammino spirituale, lungo il quale certe località devono essere visitate, «visitanda sunt», per le reliquie che conservano e per le tradizioni agiografiche alle quali sono collegate. L’opera si chiude con la descrizione della città e della cattedrale di Santiago nonché delle modalità di accoglienza, in essa, dei pellegrini.
Dei quattro capitoli della sua ampia ma chiara ed essenziale Introduzione (pp. 7-69) — il contrasto sta nel fatto che, spesso, le introduzioni sono estese ma inessenziali, lunghe ma oscure — Paolo Caucci von Saucken dedica il terzo alla natura e all’articolazione del Liber Sancti Jacobi e il quarto e ultimo alla Guida del pellegrino di Santiago, mentre nel primo — Mille anni «in ytinere Sancti Jacobi» — analizza il complesso sistema di vie percorse dai pellegrini e la storia della sua formazione nel progressivo, e rapido, passaggio della tomba dell’apostolo san Giacomo da oggetto di venerazione locale a meta di uno dei tre grandi pellegrinaggi dell’occidente cristiano accanto a Roma e a Gerusalemme. Nel secondo capitolo sempre dell’Introduzione — Vita e senso del pellegrino compostellano — vengono illustrate le diverse motivazioni che spingevano al pellegrinaggio. La più frequente e importante va certamente vista nella devozione e nella ricerca di un rapporto personale con san Giacomo, «il barone per cui là giù si visita Galizia» (Dante Alighieri, La Divina Commedia. Paradiso, canto XXV, vv. 17-18), un santo — nota lo studioso — che nell’iconografia si viene a identificare con i propri fedeli, assumendone l’abito da pellegrino, la conchiglia, la bisaccia, il cappello a larghe tese, cioè un santo che diventa il «patrono potente», l’«avvocato», il «difensore» personale di ciascun pellegrino. Si tratta di un rapporto tipico dell’età feudale, nel quale non mancano tratti cavallereschi. Ma si poteva essere pellegrini anche per penitenza o, addirittura, per delega, cioè dietro compenso, al posto di un altro; né mancava, fra i motivi, un più generico desiderio di uscire dalla quotidianità e di ricercare lo straordinario.
La bella traduzione dell’opera medioevale occupa finalmente la seconda parte del volume (pp. 73-135), curato ed edito con attenzione e con impegno. Particolari problemi sono affrontati nelle note — numerose ma non sovrabbondanti — sia ai capitoli introduttivi, sia alla traduzione. Insieme a due ricche bibliografie — una Nota bibliografica all’Introduzione (pp. 69-71) e una finale (pp. 137-148) — e a quattro tavole nel testo, esse contribuiscono a fare del volume senz’altro il miglior strumento a tutt’oggi disponibile in italiano per chiunque voglia accostarsi al tema del pellegrinaggio compostellano, sia per leggere direttamente la fonte medioevale più antica e più significativa, sia per rendersi conto delle conoscenze acquisite e delle ricerche svolte e da farsi. E si tratta indubbiamente di un tema che costituisce uno degli «accessi» privilegiati alla comprensione di aspetti fondamentali della vita spirituale — individuale e comunitaria — della Cristianità medioevale.
Marco Tangheroni