Leonardo Gallotta, Cristianità 367 (2013)
Ruling class, ossia “classe dominante”: così è definito oggi negli Stati Uniti d’America l’insieme di élite — politiche, imprenditoriali, finanziarie, sindacali, giornalistiche e accademiche — ma anche di cortigiani, che presenta caratteristiche tali per cui la maggioranza della nazione, in opposizione a essa, è andata a costituire quello che il politologo Angelo Maria Codevilla chiama la country class, la classe dell’America più profonda e più genuina.
Codevilla è di origine italiana, essendo nato a Voghera, in Lombardia, nel 1943. Emigrato a tredici anni negli Stati Uniti d’America, ne diventa cittadino e presta servizio militare come ufficiale di marina, quindi si laurea in filosofia e inizia a insegnare scienze politiche all’università cattolica di Georgetown, con sede a Washington DC. È quindi funzionario della sezione Affari Esteri del Dipartimento di Stato; componente, dal 1977 al 1985, dello staff del Select Committe on Intelligence, un comitato ristretto del Senato che sovrintende alle attività d’intelligence; e nel 1980, nominato dal neopresidente Ronald Wilson Reagan (1911-2004) membro del Transition Team, la squadra di esperti che gestisce la transizione dall’amministrazione presidenziale uscente a quella entrante. Dal 1985 al 1995 insegna scienze politiche all’Hoover Institution della Stanford University di San Francisco, in California, e dal 1995 è professore di Relazioni internazionali all’università di Boston, nel Massachusetts. Ha scritto una dozzina di opere — fra cui The Character of Nations: How Politics Makes and Breaks Prosperity, Family, and Civility(Basic Book, New York 1997) —, di cui finora era stata tradotta in italiano solo Tra le Alpi in una posizione difficile. La Svizzera nella seconda guerra mondiale e la riscrittura della storia (Pedrazzini e Alberti, Locarno e Verbania 2005). Nel 1994 Cristianità ha ripreso una sua intervista all’agenzia giornalistica Adnkronos su “Poteri forti”, “poteri invisibili” ed esercizio del potere formale (anno XXII, n. 232-233, agosto-settembre 1994, p. 16).
“Mentre gli europei sono avvezzi a essere governati da individui che presumono di essere i migliori e che sono consapevoli di non godere della fiducia dei governati, quando gli americani hanno scoperto di essere governati come se fossero europei lo shock che ne è conseguito ha gettato il paese in uno stato d’animo quasi rivoluzionario” (pp. 2-3). Con queste parole del capitolo I, Una divisione lontana e profonda (pp. 1-6), Codevilla spiega l’inquietudine dei cittadini statunitensi che, soprattutto a partire dalla crisi finanziaria del 2008, hanno constatato la presenza di un establishment invadente e autoreferenziale, postosi alla guida di uno Stato corporativo — di cui fanno parte anche gli impiegati pubblici, i loro sindacati e i verdi ambientalisti — che si sta impadronendo di una buona parte del prodotto interno lordo del Paese.
Quali sono dunque le caratteristiche della classe dominante? Da Boston, sulla costa atlantica, a San Diego, sull’Oceano Pacifico — spiega Codevilla nei capitoli II e III, La classe dominante (pp. 7-21) e Potere e privilegio(pp. 23-42) —, essa si è formata attraverso un sistema scolastico che ha imposto ai suoi membri le stesse idee e ha impartito loro una guida uniforme, così come uniformi risultano i loro gusti e le loro abitudini. Per appartenere alla classe dominante la ricchezza conta fino a un certo punto; spesso i membri non sono più ricchi di certi petrolieri texani o agricoltori californiani. Se qualcuno pensasse a una selezione in base a meritocrazia accademica, si sbaglierebbe: le scuole più prestigiose selezionano i candidati in base alla loro compatibilità con il modello accademico, non al loro valore. L’”inflazione di voti” contraddistingue l’università degli Stati Uniti d’America. A Stanford, dove il voto più comune è A, il massimo, uno studente si è lamentato sul giornale dell’università perché il contenuto delle lezioni andava a detrimento del motivo che lo aveva indotto a scegliere l’università, ossia a imparare a guidare il Paese. Anche la carica o la posizione professionale non garantiscono un posto nella classe dominante. Come una fraternity universitaria, questa classe esige innanzitutto solidarietà e uniformità di costumi: intrattenere rapporti con le persone giuste, esibire i “segni di appartenenza” alla parte giusta e unirsi al generale disprezzo per gli “esterni”. La maggior parte della classe dominante vota Democratico, ma suoi esponenti costituiscono un terzo del Partito Repubblicano. Anche con queste differenze quantitative tale classe è dunque bipartisan. Il suo primo articolo di fede è: “[…] “noi” siamo i migliori e i più intelligenti, mentre il resto degli americani sono retrogradi, razzisti e nocivi, a meno che non vengano opportunamente controllati” (p. 13). Per poterli controllare si pratica il cosiddetto gerrymandering, consistente nel tracciare ad arte i confini dei collegi elettorali, così da avere seggi sicuri per questo o quel partito, con la certezza che i rappresentanti eletti seguiranno la linea del partito stesso, ovvero dei suoi leader. Arroganza intellettuale, dunque, e trucchi elettorali.
Altro punto importante è l’espansione del settore pubblico. Esiste negli Stati Uniti d’America la Business Round Table, la Tavola Rotonda delle grandi imprese che hanno stretti legami con il governo, che raccoglie gli amministratori delegati delle maggiori aziende, con quasi sei miliardi di dollari di entrate annuali e più di tredici milioni di dipendenti. Si comprende assai agevolmente come, attraverso i favori del potere politico, la classe dominante riesca ad arruolare i propri cortigiani.
Vi è poi il desiderio della classe dominante di riformare la vita familiare. Essa ritiene che la famiglia cristiana — e quella ebraica ortodossa — “[…] sia radicata e permanga in quel genere di ignoranza comunemente detta religione, in pregiudizi sociali che acuiscono le divisioni e in ruoli repressivi per i due sessi” (p. 38). La famiglia, in quanto attenta al proprio interesse particolare, costituirebbe, dunque, “la principale barriera al progresso umano” (ibidem). I governi di ogni livello, insieme con il mondo accademico e con i media, hanno condotto un’accanita guerra contro il matrimonio. Così non si parla più di “famiglia”, ma di “famiglie”, nel senso di nuclei familiari basati su legami diversi dal matrimonio. Vi è chi, come Hillary Clinton, segretario di Stato fino al gennaio del 2013, ha auspicato un rapporto diretto fra Stato e bambini, abolendo di fatto la presunzione di potestà dei genitori. Coloro che gestiscono oggi le scuole americane “[…] possono effettuare test di gravidanza e inviare una ragazza in una clinica per aborti del tutto all’insaputa dei suoi genitori” (p. 40).
“Il rifiuto della sostanza intellettuale, spirituale e morale del popolo americano — commenta Codevilla — è il cuore pulsante della classe dominante” (ibidem). Mentre gli “oscurantisti” credono che l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio ed è soggetto alle leggi Sue e della natura che Egli ha creato, gli “illuminati” ritengono di sapere che siamo il prodotto di un’evoluzione animata dal caso, dall’ambiente e dalla volontà di potere. Mentre i primi rimangono attaccati all’antiquata idea che il normale intelletto umano può raggiungere giudizi obiettivi sul bene e sul male, i secondi sono convinti che tutti i giudizi di tal fatta sono soggettivi e che non è possibile lasciare al popolo comune il libero uso della propria ragione. Poiché le persone comuni non distinguono la ragione dall’ideologia, dalla religione o dall’interesse, la scienza è “scienza” solo se posta nelle mani giuste. È evidente di quali mani si tratti. Se vi è una questione in merito alla quale la classe dominante è unita e risoluta come non mai, è proprio il suo diritto di promuovere sentenze definitive e “scientifiche” su qualsiasi materia. “Per quanto [i suoi esponenti] non riescano a impedire agli americani di adorare Dio, possono far sì che questa fede sia socialmente disastrosa al pari del vizio di fumare, una cosa da fare furtivamente e con la consapevolezza di commettere un atto socialmente riprovevole” (p. 42).
Se quello che è stato descritto è il modo di essere e di agire della classe dominante, La country class — è il titolo del capitolo IV (pp. 43-52) — è un insieme estremamente variegato di persone che tuttavia si caratterizzano “[…] per una reazione istintiva nei confronti delle idee e delle propensioni della classe dominante: tasse sempre più alte e un settore pubblico in continua espansione, sussidi a chi gode dei favori della politica, ingegneria sociale, approvazione dell’aborto e via dicendo”(p. 43). Sotto il profilo sociologico, è l’altra faccia della medaglia: le sue principali caratteristiche sono il matrimonio, i figli e la pratica religiosa. Politicamente essa potrebbe essere definita sulla base dell’assenza di legami con i poteri pubblici.
Codevilla, per darne un’ulteriore idea, richiama due termini utilizzati dall’economista e sociologo tedesco Max Weber (1864-1920): Gemeinschaft, cioè la rete di relazioni naturali e volontarie, come famiglie, amicizie e vicinanza, e Gesellschaft, ossia i rapporti professionali e commerciali, insomma la società civile. E infatti la country class ritiene che il modo di vivere degl’individui rappresenti l’esito d’innumerevoli scelte private, anziché il prodotto di qualsiasi piano imposto dall’alto.
Una sentenza della Corte Suprema del 2005 è il polo opposto del credo della country class. Essa ha consentito alle autorità di espropriare la proprietà di un soggetto privato per rivenderla a un secondo soggetto, disponibile a svolgere attività in grado di garantire un maggiore gettito fiscale o che il governo ritiene degne di maggiore considerazione. “Questa sentenza — conclude Codevilla — ha ricordato alla country classche il governo non è “amico di chi non ha amici”” (p. 45).
Il tradizionale imprenditore statunitense è nettamente contrario a far parte della già ricordata Business Round Table e non vuole sfruttare la “mangiatoia pubblica”, ritenendo ciò un atteggiamento disonesto. La country class comprende dunque chi sta dalla parte degli outsideranziché degli insider, chi preferisce le piccole istituzioni piuttosto che le grandi, chi privilegia il governo locale a svantaggio del governo di stato o federale, chi vuole riassumersi la responsabilità di gestire gli elementi più importanti della vita umana.
In questa prospettiva è sorto il movimento della homeschooling, “scuola in casa”, finalizzato a riaffidare alla società l’istruzione, strappata alle famiglie dalla classe dominante. Si tratta più precisamente dell’istruzione domestica presa in carico dai genitori stessi, grazie a una specie di consorzio tra famiglie, visto che non tutti possono sapere tutto. Se nel 1999 vi era solo l’uno per cento di studenti che fruiva di questo tipo d’istruzione, nel 2010 aveva superato il tre per cento e continua ancor oggi ad aumentare. Un altro quattro per cento ricorre a sole lezioni private, un sette per cento a scuole religiose e un numero consistente di studenti chiede di poter avere accesso alle charter schools, vale a dire scuole primarie e secondarie finanziate da fondi pubblici, ma dotate di ampia autonomia dal sistema scolastico locale e impegnate a garantire determinati risultati scolastici. Come la country class può reagire nei confronti della classe dominante? Non ha un programma univoco, a differenza della classe dominante, per cui si formano associazioni, per così dire, a tema: organizzazioni per la lotta all’eccessiva tassazione, associazioni pro life, gruppi per la difesa della famiglia, gruppi per la difesa della libertà di manifestazione religiosa. A questo proposito occorre ricordare che con una sentenza del 1985 la Corte Suprema ha vietato l’allestimento di presepi nelle scuole statali e in qualsiasi spazio pubblico. Amministrazioni di varie città permettono gli alberi di Natale solo se si chiamano “alberi delle festività”.
Nel capitolo V, Rivoluzionari con un programma? (pp. 53-60), Codevilla osserva: “I molteplici tentativi della classe dominante di screditare il culto religioso e di estromettere ogni segno di Dio dalla vita pubblica hanno convinto molti, nella grande maggioranza americani che credono e pregano Dio, che l’attuale regime è ostile alle cose più importanti della loro vita. Ogni dicembre viene loro ricordato che la classe dominante ritiene offensivo il nome stesso del Natale. Ogni qualvolta essi cercano di manifestare in pubblico la propria identità religiosa vengono sommersi dall’accusa di essere “talebani americani” e di volere istituire una teocrazia, Se un membro della country class obietta su qualcosa che la classe dominante ha detto o fatto, il più delle volte la sua obiezione verrà etichettata come “religiosa”, vale a dire qualcosa di irrazionale che non può essere legittimato. Un laicismo aggressivo e intollerante rappresenta la base morale e intellettuale della pretesa di potere della classe dominante” (pp. 59-60). Sembrerebbe la descrizione di ciò che avviene ormai da tempo nella vecchia e sempre più marcescente Europa e invece si tratta degli Stati Uniti d’America, “the land of the free and the home of the brave”, “la terra dei liberi e la patria dei coraggiosi”, che assomiglia invece sempre più a un vero e proprio “regime”.
Come faremo? (pp. 61-75), s’interroga Codevilla nel VI e ultimo capitolo. Nel 2009, l’anno seguente alla grande crisi che aveva visto crollare numerose società d’investimento, travolte dai debiti e dopo i “salvataggi” a suon di miliardi da parte del governo federale, con conseguente aggravio di tasse, sono nati i Tea Party. Il termine “Tea” in realtà rappresenta un acronimo: Taxed Enough Already, “già abbastanza tassati”. Tuttavia, come riferisce lo studioso Alberto Mingardi nella Postfazione (pp. 77-86), è stato il giornalista Rick Santelli, sull’emittente televisiva CNBC, a farsi scappare l’esclamazione: “Qui ci vorrebbe un altro Boston Tea Party!” (p. 82), alludendo alla rivolta del tè da cui partì la Guerra d’Indipendenza americana (1776-1783). Santelli ha così battezzato più o meno involontariamente un intero movimento politico, esprimendo sinteticamente l’opinione di milioni di persone.
Codevilla ritiene che la country class, nonostante tutti i suoi movimenti, le sue iniziative e i suoi gruppi, spesso però non coordinati fra loro, non possa, nel breve periodo, che affidarsi politicamente ai Repubblicani che, anche se in parte contigui o addirittura appartenenti alla classe dominante, nel complesso sono più vicini al suo mondo. Tuttavia, nel lungo periodo, dovrà nascere necessariamente un soggetto politico nuovo — la domanda creerà l’offerta — che potrà mettere in crisi le certezze e almeno limitare la prassi della classe dominante.
Chiudono l’opera il testo de La Dichiarazione d’Indipendenza (pp. 87-91) e quello de La Costituzione degli Stati Uniti d’America (pp. 93-118) e una Bibliografia ragionata (pp. 119-123).