Il crollo del Muro di Berlino, il 9 novembre 1989, ha segnato l’estensione dall’URSS ai paesi satelliti del processo di trasformazione del regime socialcomunista in essi vigente, il processo correntemente indicato con un’endiadi, perestrojka e glasnost, “ristrutturazione” e “trasparenza”. Tale processo si caratterizza per l’abbandono del mito socialcomunista, non però per la corrispondente perdita di potere da parte dei socialcomunisti, rapidamente passati a etichettarsi come socialisti o come “democratici di sinistra”.
Pur non essendo vigente in Italia un regime giuridicamente socialcomunista, all’implosione di questo regime oltre la Cortina di Ferro ha corrisposto l’implosione — evidentemente mutatis mutandis — del regime che ha retto la nazione italiana dalla fine della seconda guerra mondiale, sempre più caratterizzato dall’egemonia culturale socialcomunista, cioè di un regime di tipo gramsciano.
Tale processo si è inserito nella situazione e nella dinamica della vita politica italiana post-risorgimentale e post-fascista ed è divenuto fatto corposo e visibile soprattutto attraverso l’identificazione di Tangentopoli e la sua “istituzionalizzazione” come quinta della scena politica nazionale, e con l’incriminazione della totalità morale della classe dei politici di partito.
Il “processo in corso” — dove al termine “processo” deve essere dato il significato sia di “mutamento storico” che di “procedimento giudiziale” — ha aperto problemi rilevanti in tutto lo spettro della nomenklatura, ma in modo particolare nel mondo cattolico, dal momento che il regime in “crisi”, cioè sottoposto a “giudizio”, è stato guidato ininterrottamente dalla Democrazia Cristiana, un partito “d’ispirazione cristiana”. Si tratta di problemi che riguardano sia l’esame e la chiusura delle pendenze relative al passato prossimo e meno prossimo, sia — soprattutto dopo la “rivoluzione elettorale” del 18 aprile 1993, che ha aperto la strada all’applicazione generalizzata del sistema maggioritario — il futuro dei cattolici nel futuro della Repubblica Italiana. Perciò la congiuntura ha favorito l’apertura di un dibattito, che vede impegnata, nelle sedi e con le modalità a essa proprie, anche la Gerarchia della Chiesa che è in Italia, al punto che ha ritenuto di dover far stato pubblicamente — con procedura da tempo inconsueta — non solo della drammaticità, ma anche della problematicità della situazione. Così, in occasione della XXXVII Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, svoltasi a Roma, nell’Aula del Sinodo, dall’11 al 14 maggio 1993, relativamente al problema dell’“unità politica” dei cattolici — secondo S. Em. il card. Giovanni Saldarini, arcivescovo di Torino — “[…] qualche vescovo […] ha espresso una sensibilità diversa”; “qualcuno ha fatto presente che forse non è il caso di continuare a chiedere ancora l’unità politica e che si può essere significativi nella storia, pur senza rimanere uniti in una sola forza politica”; “tutti i vescovi sono profondamente convinti che occorre incidere nella società italiana, evangelizzarla, soprattutto riguardo alla cultura. Le diverse sensibilità si riferiscono alle modalità di azione e proprio su questo punto alcuni […] interventi si sono discostati dagli altri” (Avvenire, 13-5-1993).
Né sono mancati interventi di Papa Giovanni Paolo II, con chiaro riferimento ai problemi che travagliano la nazione italiana e la sua parte cattolica: così, per esempio, l’11 aprile 1993, inviando l’augurio pasquale ai fedeli di espressione italiana, il Santo Padre ha affermato, che “l’Italia ha tante risorse a cui attingere luce e sostegno per costruire, nel solco della sua tradizione cattolica” (L’Osservatore Romano, 13/14-4-1993); così, ancora, il 13 maggio 1993, in un indirizzo “a braccio” ai vescovi intervenuti alla ricordata Assemblea Generale della CEI ha detto che “ci sono due strade, due cammini che si devono sempre rispettare. Come arrivare all’unità da un certo pluralismo. Non perdere l’unità nel pluralismo, ma, d’altra parte, come non perdere il pluralismo nell’unità.
“Io penso — ha proseguito il Sommo Pontefice — che alla base delle preoccupazioni, avvenimenti, opinioni che si vivono adesso in Italia, c’è lo stesso tema, che è ecclesiale, ma per analogia è un tema politico, sociale. Come mantenere l’unità nella diversità. Come non perdere, cambiando, l’unità e rispettare un nuovo pluralismo. È un problema cruciale e io penso che in questo momento si tratta di risolvere questa problematica di fondo nella vita italiana” (L’Osservatore Romano, 14-5-1993).
In questo quadro drammatico, sia quanto al passato che quanto al futuro, a chi è semplicemente e inconsapevolmente disturbato dalla drammaticità incombente come a chi ne è consapevole e vuole acquisirne una sempre maggiore consapevolezza, si offre come contributo al dibattito e alla riflessione — soprattutto all’interno del mondo cattolico, ma non solo — uno studio di Marco Invernizzi, L’Unione Elettorale Cattolica Italiana. 1906-1919. Un modello di impegno politico unitario dei cattolici, inteso a illustrare un elemento piuttosto ignorato della tradizione politica dei cattolici italiani, l’UECI, l’Unione Elettorale Cattolica Italiana.
Marco Invernizzi — come informa la nota bio-bibliografica (pp. 69) — nasce a Milano il 7 agosto 1952. Nel 1977 si laurea in filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore con una tesi su Il periodico “Fede e Ragione” nell’ambito della storia del Movimento Cattolico italiano dal 1919 al 1929, relatore il professor Luigi Prosdocimi. Dal 1972 milita in Alleanza Cattolica, della quale è responsabile per la Lombardia e per il Veneto; collabora a Cristianità nonché — episodicamente — al quotidiano Avvenire, di Milano, e alla rivista mensile Historia, pure edita nel capoluogo lombardo. Dal 1989 conduce a Radio Maria la trasmissione settimanale La voce del Magistero.
L’Unione Elettorale Cattolica Italiana 1906-1919. Un modello di impegno politico unitario dei cattolici — ripresa e ampliamento dello studio L’Unione Elettorale Cattolica Italiana, comparso in Cristianità nel novembre del 1980 (anno VIII, n. 67) — è sintetica ricostruzione di una stagione del movimento cattolico in Italia, quel movimento nato in tutta Europa dalla constatazione, seguente la Rivoluzione detta francese e l’applicazione dei suoi princìpi secolarizzatori, che i cattolici sono “parte” in un corpo sociale in cui viene politicamente istituzionalizzata la disomogeneità culturale, quindi anche religiosa, prodotta prima dal Rinascimento e poi dalla Pseudo-Riforma protestante.
La situazione apre, accanto al problema dell’atteggiamento da tenere nei confronti della novità politica, quello relativo alla modalità della rappresentanza sempre politica della parte cattolica, se cioè essa debba venire realizzata attraverso un partito o diversamente. E nelle dimensioni definite da questi termini si svolge la storia del movimento cattolico, caratterizzato all’esterno dalla lotta con il mondo anticattolico e, all’interno, dallo scontro fra chi apprezza i nuovi princìpi politici e chi li osteggia, quindi fra chi li accetta almeno come mezzi e chi li giudica comunque pericolosi, quindi pratica — quando non teorizza — la non partecipazione alla vita politica.
Alla luce di questi parametri Marco Invernizzi affronta il suo tema, la realtà e l’opera del movimento cattolico in Italia a cavallo fra i secoli XIX e XX, complicate dalle peculiarità della situazione italiana, che, con il Risorgimento, vede non solo il mutamento di regime politico, ma pure la scomparsa di entità statuali e la nascita della Questione Romana.
Nell’Introduzione l’autore fa stato della problematica “astensione-presenza non partitica-presenza partitica” e denuncia l’inadeguatezza della consueta ricostruzione storico-culturale dei rapporti fra Stato Unitario e mondo cattolico (pp. 5-8); quindi, in una Premessa, dilata la prospettiva e inquadra il problema all’interno della vita della Cristianità romano-germanica in genere e di quella italiana in specie (pp. 9-10).
Nel primo capitolo — L’Unione Elettorale Cattolica Italiana (pp. 11-20) — viene ricostruita la storia dell’organismo dalla sua nascita, nel 1906, dopo lo scioglimento dell’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici a causa di una presenza modernistica, cioè di accettazione dei nuovi princìpi, a giudizio del Pontefice allora regnante, san Pio X, decisamente intollerabile, e sulla scia della pubblicazione dell’enciclica Il fermo proposito, nella quale lo stesso Papa traccia un’autentica “teologia del laicato”.
Nel secondo capitolo — La presidenza del conte Vincenzo Ottorino Gentiloni e lo statuto del 1911 (pp. 21-38) — si trova la descrizione del momento forte della vita dell’organismo, inteso a superare l’astensionismo imposto dal non expedit senza adottare la forma-partito. Infatti, in coincidenza con la promulgazione di un nuovo statuto e con la nomina a presidente del conte Vincenzo Ottorino Gentiloni, che darà il nome appunto al Patto Gentiloni, i cattolici iniziano a partecipare alla vita politica nazionale facendo riferimento a “punti fermi” — l’Eptalogo o punti di accordo —, ma senza costituirsi in partito, quindi senza compromettere attraverso realizzazioni “parziali” la prospettiva cattolica.
Finalmente, nella Conclusione (pp. 39-42), Marco Invernizzi riprende e illustra nuovamente la problematica esposta nell’Introduzione e inquadrata nella Premessa e sottolinea l’esemplarità della storia che ha narrato.
In appendice sono raccolti alcuni documenti particolarmente significativi: lo Statuto per la Unione Elettorale Cattolica Italiana, del 1906 (pp. 45-47); Statuto e Regolamento del 1911, preceduti dalla lettera della Segreteria di Stato di Sua Santità che li introduce, firmata dal servo di Dio card. Raffaele Merry del Val (pp. 49-55); finalmente, il testo di un’Intervista coll’altro… Presidente del Consiglio, il conte Gentiloni, concessa nel 1913 dal presidente della UECI ad Achille Benedetti, allora giornalista al Giornale d’Italia (pp. 57-68).
Nel corso della conferenza stampa in cui ha fatto stato non solo della drammaticità, ma pure della problematicità della situazione dei cattolici italiani, il card. Giovanni Saldarini ha affermato: “Quanto è accaduto è colpa dei politici, ma anche noi vescovi dobbiamo batterci il petto, perché dovevamo investire di più nel campo culturale, evangelizzare la cultura” (La Stampa, 13-5-1993).
Secondo Papa Giovanni Paolo II il “teorema politico dei cattolici italiani” sta nel trovare nella “tradizione cattolica” un modello d’impegno politico unitario tale da rispettare — almeno in tesi — le “due strade”, i “due cammini” che si devono sempre rispettare, l’unità e il pluralismo, e dunque atto a soddisfare l’esigenza di “non perdere l’unità nel pluralismo, ma, d’altra parte, come non perdere il pluralismo nell’unità”.
Alla luce di queste autorevoli indicazioni — delle quali è indispensabile tenere conto —, lo studio di Marco Invernizzi si rivela strumento utile per una crescita culturale che permetta di affrontare la problematica congiunturale avendo ben presente l’esperienza storica, “il passato che non deve passare”.
Giovanni Cantoni