Dopo la grande fortuna, anche internazionale, del testo di storia della filosofia per i licei classici e scientifici curato da Giovanni Reale e da Dario Antiseri (Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, 3 voll., 16a ed. ampliata e aggiornata, La Scuola, Brescia 1994, con traduzioni in lingua portoghese, spagnola e russa), che mette a disposizione del lettore una straordinaria serie d’informazioni e di collegamenti a proposito dei filosofi che hanno segnato la storia del pensiero occidentale, si sentiva l’esigenza di un testo che fornisse un’interpretazione dello stesso pensiero filosofico, offrendo allo studente una “guida nella lettura” in grado di orientarlo nel non facile cammino.
Risponde a questa esigenza l’opera di don Antonio Livi — tre volumi in quattro tomi — La filosofia e la sua storia. Nato a Prato nel 1938, sacerdote dell’Opus Dei, membro dell’Accademia di San Tommaso e ordinario di Filosofia della Conoscenza all’Università Lateranense e nel Pontificio Ateneo della Santa Croce, don Livi è autore di Filosofia del senso comune. Logica della scienza & della fede (Ares, Milano 1990), Il senso comune tra razionalismo e scetticismo. Vico, Reid, Jacobi, Moore, con in appendice un Dizionario critico dei termini filosofici (Massimo, Milano 1992), Lessico della Filosofia. Etimologia, semantica & storia dei termini filosofici, Ares, Milano 1995, Il principio di coerenza. Senso comune e logica epistemica (Armando, Roma 1997), e di una “biografia filosofica” di san Tommaso, Tommaso d’Aquino. Il futuro del pensiero cristiano (Mondadori, Milano 1997). Nel 1984 ha fondato e dirige la Grande Enciclopedia Epistemologica, collana di monografie allegate al bimestrale Cultura & Libri. Rivista di orientamento bibliografico.
Nella Prefazione all’intera opera (vol. I, pp. V-VII), don Livi spiega anzitutto il senso della scelta — sulla base esplicita dell’insegnamento del filosofo cattolico Étienne Gilson (1884-1978) — d’insegnare filosofia attraverso la sua storia e il criterio di fondo che ispira e accompagnerà tutti i volumi, cioè il confronto sistematico fra il pensiero dei diversi filosofi e quello che l’autore chiama senso comune, nell’accezione introdotta da Giambattista Vico (1668-1744) nel linguaggio filosofico, cioè “il complesso organico di certezze originarie che sottostanno a ogni sviluppo scientifico e precedono ogni riflessione critica, compresa la filosofia” (p. VII).
Illuminante è anche l’Introduzione, Perché interessa la filosofia e perché se ne studia la storia (pp. 1-14), nella quale don Livi spiega il significato della filosofia come “scienza dell’intero”, quindi diversa da tutte le altre scienze, che invece studiano un aspetto particolare della realtà.
Nel primo volume l’autore presenta la storia del pensiero filosofico antico e medioevale, dalla nascita della metafisica (pp. 15-47), al conflitto fra i sofisti e Socrate (469-399 a. C.) (pp. 48-70), a Platone (427-347 a. C.) (pp. 71-97) e ad Aristotele (384-322 a. C.) (pp. 98-133), alle scuole del periodo ellenistico (pp. 134-162); quindi analizza gli effetti della rivelazione cristiana sulla filosofia (pp. 163-211), nonché la reazione pagana, rappresentata da Plotino (203/206-269/270) e dal neoplatonismo (pp. 212-227); poi tratta di sant’Agostino (354-430) e di san Severino Boezio (480-524) (pp. 228-255) e, più in generale, delle filosofie cristiana, musulmana ed ebraica dagli inizi del Medioevo al secolo XII (pp. 256-288); quindi, descrive la riscoperta di Aristotele nel secolo XIII e conseguentemente l’opera di san Tommaso d’Aquino (1225 ca.-1274) (pp. 289-341), poi la crisi della filosofia cristiana da Giovanni Duns Scoto (1265/1266-1308) a Guglielmo di Ockham (1295/1300-1350 ca.) (pp. 342-374), con cui si conclude l’itinerario storico della filosofia antica e medioevale. Chiudono il volume una sintesi storico-dottrinale (pp. 375-388), una tavola cronologica (pp. 389-393) e un Dizionario etimologico dei termini tecnici (pp. 395-418), oltre agli indici dei filosofi nonché degli autori moderni citati.
Il secondo volume è dedicato alla storia della filosofia moderna. Dopo un’introduzione (pp. 1-5), don Livi descrive la filosofia del Quattrocento fra umanesimo ed ermetismo (pp. 6-46), quindi esamina la gnoseologia, l’antropologia e la morale nel Cinquecento (pp. 47-76), la metafisica e la religione fra Riforma e Contro-Riforma (pp. 77-105), la nuova filosofia politica del Cinquecento fra statalismo e diritto naturale (pp. 106-134), giungendo alla “rivoluzione scientifica” del secolo XVII (pp. 135-178) e alla “svolta decisiva e fondamentale” impressa alla filosofia da René Descartes (1596-1650) che, con Galileo Galilei (1564-1642), da molti studiosi viene considerato l’iniziatore dell’epoca moderna (pp. 179-214). Dopo la “svolta” di Descartes, nel settimo capitolo vengono affrontati il razionalismo post-cartesiano con l’esame di Nicolas de Malebranche (1638-1715), Baruch de Spinoza (1632-1677) e Gottfried Vilhelm Leibniz (1646-1716) (pp. 215-238), poi l’empirismo cartesiano in Gran Bretagna fra Seicento e Settecento con i filosofi Thomas Hobbes (1588-1679), John Locke (1632-1704), George Berkeley (1685-1753) e David Hume (1711-1776) (pp. 239-291); quindi l’autore descrive la reazione anticartesiana in Francia realizzata da Blaise Pascal (1623-1662), da Antoine Arnauld (1612-1694) e dal gesuita Claude Buffier (1661-1737), il primo teorico del senso comune (pp. 292-315); poi analizza la reazione in Gran Bretagna allo scetticismo attraverso la teorizzazione del common sense, soprattutto da parte dello scozzese Thomas Reid (1710-1796) (pp. 316-341). Quindi don Livi passa a descrivere l’Illuminismo nei diversi paesi europei (pp. 342-370) per poi soffermarsi per un intero capitolo sulla filosofia di Vico — definito “moderno Socrate” (p. 356) —, presentata come l’alternativa metafisica al razionalismo e allo scetticismo (pp. 371-411), prima di chiudere il volume con il capitolo dedicato al criticismo kantiano (pp. 412-435), al quale segue una sintesi storico-dottrinale (pp. 436-445), in cui l’autore affronta il tema della modernità. Concludono il secondo volume la tavola cronologica (pp. 446-449) che precede il Dizionario etimologico dei termini tecnici (pp. 451-476) e gl’indici.
Nel primo tomo del terzo volume, dedicato all’Ottocento, don Livi affronta, dopo un’introduzione (pp. 1-2), la cosiddetta “aetas kantiana” (pp. 3-53), fra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, relativamente alla critica della conoscenza e al moralismo ateo, e quindi alla nascita dell’idealismo trascendentale con Johann Gottlieb Fichte (1762-1814); nel secondo capitolo (pp. 54-95), l’autore analizza il Romanticismo come reazione al razionalismo, esamina il pensiero dei suoi principali esponenti e fa notare la complessità di questo fenomeno culturale e la difficoltà di definirlo adeguatamente. Successivamente, nel terzo capitolo (pp. 96-139), don Livi espone il pensiero di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831), il principale autore di quel sistema filosofico, l’idealismo, che segnerà profondamente, a tutti i livelli, il secolo XIX e anche il XX, soprattutto attraverso l’applicazione della dialettica a ogni aspetto della realtà; l’opposizione al suo pensiero, che contrastava radicalmente con il senso comune, viene analizzata dall’autore nel capitolo successivo (pp. 140-160) attraverso l’esame delle opere di Friedrich Ernst Schleiermacher (1768-1834) e dell’ultimo Schelling (Friedrich Wilhelm Joseph, 1775-1854), mentre nel successivo capitolo (pp. 161-201) don Livi analizza altre reazioni all’ottimismo hegeliano, quella di Arthur Schopenhauer (1788-1860), di Giacomo Leopardi (1798-1837) e di Sören Kierkegaard (1813-1855). Nel capitolo sesto (pp. 202-237) l’autore descrive le vicende del positivismo — e del suo fondatore, Auguste Comte (1798-1857) —, la corrente culturale che tentò, nell’Ottocento, un’esaltazione romantica della scienza; accanto a Comte, don Livi tratta di Claude-Henry de Rouvroy, conte di Saint-Simon (1760-1825), socialista e utopista, sognatore di una società organica guidata da un Consiglio di scienziati, nonché di due altri socialisti pre-marxisti, François-Marie-Charles Fourier (1772-1837) e Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865); quanto all’Italia, presenta i principali esponenti del positivismo, fra cui Carlo Ferrari (1801-1869), Giuseppe Ferrari (1811-1876), Cesare Lombroso (1836-1909) e Roberto Ardigò (1828-1920), la figura più significativa della corrente; quindi i maggiori esponenti del positivismo inglese, Jeremy Bentham (1748-1832) e la sua scuola, e poi John Stuart Mill (1806-1873), prima di esaminare il positivismo in Francia, in Germania e in Svizzera, ma anche i suoi sviluppi — affrontati nel capitolo settimo (pp. 238-252) — nel campo delle scienze psicologiche, biologiche e del linguaggio. Nel successivo capitolo (pp. 253-289) l’autore descrive la rinascita della filosofia cristiana in Italia, con Pasquale Galluppi (1770-1846), Antonio Rosmini-Serbati (1797-1855) e Vincenzo Gioberti (1801-1852), mentre nel capitolo nono (pp. 290-317) illustra il passaggio dalla filosofia idealistica a quella materialistica realizzato da due discepoli di Hegel, fondatori del socialismo scientifico o comunismo: Karl Marx (1818-1883) e Friedrich Engels (1820-1895), prima di presentare, nel successivo capitolo (pp. 318-350), il pensiero nichilistico di Friedrich Nietzsche (1844-1900), considerato il filosofo che chiude il ciclo cominciato con Kant, cioè quel ciclo che ha escluso dalla scienza filosofica le certezze del senso comune tranne quella relativa alla coscienza morale, che proprio Nietzsche s’incarica di mettere in discussione a livello filosofico. Nel capitolo undicesimo (pp. 351-380) don Livi esamina le vicende filosofiche del senso comune nel corso dell’Ottocento: dalla rinascita della filosofia cristiana in Francia con Francois-Pierre Maine de Biran (1766-1824) alla critica dello scientismo e dell’idealismo da parte di Augustin Cournot (1801-1877), alla lotta contro i princìpi dell’Ottantanove a opera dei tradizionalisti — meglio contro-rivoluzionari — come Joseph de Maistre (1753-1821) e Louis-Gabriel-Ambroise de Bonald (1745-1840), a François-René de Chateaubriand (1768-1848), e a un autore dalla vicenda umana e intellettuale molto complessa, Felicité Robert de Lamennais (1782-1854), per concludere l’analisi dedicata alla Francia con due autori fideisti, richiamati dall’episcopato, come Louis-Eugène Bautain (1796-1867) e Augustin Bonnety (1798-1879). Passando dalla Francia alla Spagna, don Livi esamina la figura di Jaime Luciano Balmes Urpiá (1810-1880), che innestò la dottrina del senso comune sul tronco della metafisica classica, mentre in Gran Bretagna presenta il grande pensatore e poi cardinale John Henry Newman (1801-1890). Nel successivo capitolo (pp. 381-399), l’autore descrive la rinascita della metafisica fra Ottocento e Novecento, durante i pontificati di Papa Pio IX (1846-1878) e di Papa Leone XIII (1878-1903), grazie anche alla promulgazione dell’enciclica Aeterni Patris, del 4 agosto 1879, che ribadisce l’importanza della filosofia e in particolare dell’opera di san Tommaso nella vita della Chiesa e del mondo contemporaneo, mentre nell’ultimo capitolo, il tredicesimo (pp. 400-416), don Livi illustra il ritorno alla filosofia di Kant nella Germania dell’Ottocento, con le scuole di Marburgo e di Baden, e la figura di Wilhelm Dilthey (1833-1911). Chiudono il primo tomo del terzo volume la tavola cronologica (pp. 417-418) e gl’indici.
Nel secondo tomo del terzo volume, dedicato al Novecento, don Livi affronta (pp. 417-455) il neohegelismo italiano nelle figure di Benedetto Croce (1866-1952) e di Giovanni Gentile (1875-1944), quindi (pp. 456-487) quella che chiama “nuova metafisica del divenire”, rappresentata da Étienne-Émile Boutroux (1845-1921), da Henri Bergson (1859-1941), dall’inglese Alfred North Whitehead (1861-1947) e da José Ortega y Gasset (1883-1955). Nel sedicesimo capitolo (pp. 488-520) l’autore espone la dottrina del neopositivismo — il pensiero dominante fino agli anni 1970, tranne che in alcuni paesi come l’Italia, dove s’imporrà una forma di neoidealismo — e tratta della nascita della psicanalisi, del fondatore Sigmund Freud (1856-1939) e dei suoi principali collaboratori, che si staccheranno per formare nuove scuole, come Alfred Adler (1870-1937) e Carl Gustav Jung (1875-1961). Nel capitolo successivo (pp. 521-548) don Livi analizza la logica e la filosofia del linguaggio in Gran Bretagna all’inizio del secolo XX: Francis Herbert Bradley (1846-1924), Bertrand Arthur William Russell (1872-1970) e Ludwig Wittgenstein (1889-1951), fondatore con altri della cosiddetta filosofia analitica, e George Edward Moore (1873-1958), che riprende la polemica antidealistica di Russell e che difende il senso comune, riducendolo però alle certezze empiriche quotidiane. Nel capitolo seguente (pp. 549-574) l’autore descrive la cosiddetta filosofia della prassi diffusa dal fondatore del pragmatismo Charles Sanders Peirce (1839-1914) e dai suoi continuatori William James (1842-1910), Ferdinand Canning Scott Schiller (1864-1937) e John Dewey (1859-1952). Nel capitolo diciannovesimo (pp. 575-601), don Livi espone il pensiero di Edmund Husserl (1859-1938), il fondatore della fenomenologia, che si contrappone a gran parte della filosofia moderna e ricupera parzialmente la filosofia del senso comune, pur senza pervenire alla metafisica classica. Nello stesso capitolo, l’autore descrive anche il pensiero di alcuni interpreti e allievi di Husserl, come Maurice Merleau-Ponty (1908-1961), Max Scheler (1874-1928), che difende la religione ma non la metafisica e che nel rifiuto del razionalismo perviene all’errore contrario, e infine della beata carmelitana Edith Stein (1891-1942/1943), che nelle sue opere filosofiche cerca la sintesi fra il metodo fenomenologico di Husserl e la metafisica tomista. Nel successivo capitolo (pp. 602-651) don Livi analizza i caratteri assunti dalla filosofia neotomista nel Novecento nei suoi esponenti più significativi, Jacques Maritain (1882-1973) e Gilson, e in un religioso stimmatino docente nell’università di Perugia, padre Cornelio Fabro (1911-1995). Nel capitolo ventunesimo (pp. 652-690) l’autore affronta invece il pensiero di Martin Heidegger (1889-1976), poi espone (pp. 691-723) il pensiero di alcuni autori, profondamente diversi fra loro ma riconducibili a un’impostazione esistenzialista, ricavata dagli influssi di Kierkegaard e di Husserl: Jean-Paul Sartre (1905-1980), Karl Jaspers (1883-1969), Miguel de Unamuno (1864-1937), Nikolaj Aleksandrovic Berdjaev (1874-1948) e Lev Isaakovisc Schwarzmann, conosciuto con lo pseudonimo di Sciestov (1866-1938), per concludere con Albert Camus (1913-1960), esponente di una forma di esistenzialismo atea e pessimistica. Nel capitolo Rivoluzione e utopia nel neomarxismo del Novecento (pp. 724-776) don Livi presenta i filosofi marxisti del Novecento distinguendo fra le diverse scuole continuatrici del pensiero di Marx e di Engels. Nel capitolo ventiquattresimo (pp. 777-805) l’autore affronta la filosofia cristiana del Novecento in Francia, anzitutto esaminando il pensiero di Maurice Blondel (1861-1949), la cosiddetta “filosofia dell’azione”, quindi il modernismo cattolico, cioè il tentativo di adeguare il cristianesimo al pensiero dominante della modernità, cioè allo storicismo, al soggettivismo, al relativismo e all’evoluzionismo; don Livi si occupa poi di quel movimento filosofico noto come “esistenzialismo francese” che annovera fra i suoi esponenti Ernest-René Le Senne (1882-1954), Louis Lavelle (1883-1951) e Aimé Forest (1898-1943) e, inoltre, esamina anche il pensiero di un discepolo di Blondel, Claude Tresmontant. Nel capitolo successivo (pp. 806-841), l’autore illustra le caratteristiche della “filosofia italiana” del Novecento, rappresentata da filosofi prevalentemente cristiani, che reagiscono contro il positivismo, lo scientismo e il materialismo avendo in comune un richiamo esplicito al pensiero di sant’Agostino: Armando Carlini (1878-1959), Augusto Guzzo (1894-1987), Michele Federico Sciacca (1908-1975) e Luigi Stefanini (1891-1956), ai quali si può avvicinare anche Teodorico Moretti-Costanzi (1912-1994). Nel successivo capitolo (pp. 842-883) don Livi esamina alcune scuole filosofiche sorte per influsso del pensiero di Russell e del neopositivismo, fra le quali la Scuola di Berlino, cui appartiene Hans Reichenbach (1891-1953), la “scuola americana”, con Charles Morris (1901-1979), Ernest Nagel (1901-1985), Willard van Orman Quine (1908), la “scuola britannica” con John Wisdom (1904-1988), John Austin (1911-1960), Gilbert Ryle (1900-1976) e Alfred Julius Ayer, e la “scuola polacca” con Jan Lukasievicz (1978-1956), Tadeusz Kotarbinski (1886-1981) e Alfred Tarski (1902-1983), tutte caratterizzate da un parziale ricupero del senso comune anche se in un’ottica pragmatistica. A questi autori l’autore aggiunge Peter Frederick Strawson, Hilary Putnam — che svolge una serie di ricerche logiche per evitare che il pragmatismo sfoci nello scetticismo — e Thomas Kuhn (1922-1996), e analizza il pensiero di Konrad Lorenz (1903-1989), uno dei fondatori dell’etologia. Nel successivo capitolo (pp. 884-904) don Livi affronta il pensiero di Karl Raimund Popper (1902-1994), di Hans Albert, esponente del cosiddetto “razionalismo critico”, e di Emanuele Severino. Esaminando poi le forme dell’irrazionalismo contemporaneo (pp. 905-950), l’autore analizza diverse posizioni filosofiche accomunate dal rifiuto della metafisica e dall’essere apparse nella seconda metà del Novecento: lo strutturalismo, di Claude Levi-Strauss (1908-1995), di Michel Foucault (1926-1984) e dello psichiatra Jacques Lacan (1901-1995); la scuola ermeneutica derivante dal pensiero di Heidegger, rappresentata da Hans-Georg Gadamer e da Paul Ricoeur; il cosiddetto “pensiero debole”, di cui si fa portatore il professor Gianni Vattimo, docente di Filosofia Teoretica nell’università di Torino. Un’altra espressione dell’irrazionalismo contemporaneo è la “filosofia dell’assurdo”, rappresentata dall’italiano Giuseppe Rensi (1871-1941), che riprende il pessimismo di Leopardi, e dal rumeno Emil Cioran (1911-1995), mentre nel campo dell’epistemologia esiste una posizione “anarchica”, quella di Paul Feyerabend (1924-1994), e forme d’irrazionalismo sul piano antropologico ed etico come quelle dei pensatori di origine ebraica Martin Buber (1878-1965), Vladimir Jankélévitch (1903-1985) ed Emmanuel Lévinas. Infine, don Livi tratta della Scuola di Francoforte, una corrente di pensiero influenzata dal marxismo e dalla psicanalisi e intesa a criticare la società occidentale nata dall’Illuminismo e che ha avuto una certa importanza negli ultimi decenni attraverso l’influenza esercitata da autori come Theodor W. Adorno (1903-1969), Max Horkheimer (1895-1973), Wilhelm Reich (1897-1957), Herbert Marcuse (1898-1979) ed Eric Fromm (1900-1980), mentre, pur provenendo dalla stessa scuola, se ne differenzia Jürgen Habermas, che combatte il pensiero di Hegel ma a esso accomuna tutta la metafisica. Proprio quest’ultima è oggetto del capitolo successivo (pp. 951-996), nel quale l’autore descrive il pensiero di Gabriel Marcel (1889-1973), Emmanuel Mounier (1905-1950), Jean Guitton, Ferdinand Ebner (1882-1931), Romano Guardini (1885-1968), Josef Pieper (1904-1997), Robert Spaemann, Viktor Frankl (1908-1997), Xavier Zubiri (1898-1980), Antonio Millán-Puelles (1912), Enrico Castelli (1900-1977), Luigi Pareyson (1918-1990) e Alasdair MacIntyre. Nel trentesimo e ultimo capitolo (pp. 997-1043) don Livi espone il pensiero di filosofi del diritto e della politica che hanno cercato anzitutto di definire i fondamenti della vita pubblica, fra i quali Giuseppe Capograssi (1889-1956), la cui dottrina è alternativa a quello di Hans Kelsen (1881-1973), esponente del positivismo giuridico, teoria criticata anche da Carl Schmitt (1888-1985). Altri autori esaminati dall’autore sono Friedrich von Hayek (1899-1992) e quanti hanno rivalutato la filosofia politica classica, come Leo Strauss (1899-1973), Eric Voegelin (1901-1985) e Hannah Arendt (1906 -1975). Don Livi dedica alcune pagine anche al pensiero cosiddetto “comunitarista”, sorto negli Stati Uniti d’America al seguito del filosofo scozzese MacIntyre, già ricordato, e fa stato anche del neocontrattualismo, d’impostazione liberale, il cui principale rappresentante è John Rawls. Infine, dedica numerose pagine a ripercorrere la vicenda culturale di Augusto Del Noce (1910-1989), filosofo della storia e critico della modernità, studioso del fascismo e del marxismo, soprattutto colui che, prima della caduta del Muro di Berlino, ha saputo prevedere la sconfitta culturale del marxismo e il trionfo del nichilismo della società borghese, cominciando anche a fornire alcuni spunti per operare nel nuovo contesto culturale; la sua analisi filosofica della storia del Novecento viene ripresa da don Livi anche nella Sintesi storico-dottrinale (pp. 1044-1055).
Nelle Conclusioni. Come intendere la filosofia, alla luce della sua storia (pp. 1056-1070), l’autore si preoccupa di tirare le somme di quanto esposto, ricordando anzitutto che la filosofia è sempre al centro della vita dell’uomo, “là dove l’uomo decide del suo destino” (p. 1056), che essa certamente ricerca la verità, ma quest’ultima “[…] trascende le forme in cui la filosofia la esprime” (p. 1064) e proprio questo motivo “[…] rende inevitabile e desiderabile la pluralità delle filosofie” (ibidem) — le due ultime citazioni sono di Vittorio Mathieu — e il rifiuto di ogni dogmatismo, perché la vera filosofia ritiene come certi soltanto i primi princìpi speculativi e pratici, lasciando al campo dell’opinabile o addirittura dell’ineffabile tutto il resto; infatti, lo scopo della filosofia consiste nel “[…] prendere coscienza (scientifica) delle verità primordiali, aggiungendo alla certezza spontanea e comune la sua giustificazione e la sua difesa contro ogni possibile negazione o dubbio” (ibidem). Il volume è infine corredato di una tavola cronologica (pp. 1071-1072) e del sempre utilissimo Dizionario etimologico dei termini tecnici (pp. 1073-1106) aggiornato rispetto a quelli contenuti nei precedenti volumi in base allo sviluppo del pensiero. Al termine, i consueti indici.
Don Antonio Livi ha scritto oltre duemila pagine descrivendo lo sviluppo del pensiero filosofico occidentale dai presocratici ai giorni nostri, offrendo al lettore una grande mole d’informazioni ma, soprattutto, il che costituisce la specificità dell’opera, un’interpretazione delle stesse alla luce dei criteri forniti dalla dottrina del senso comune. Se la raccomandazione evangelica di ritornare a essere come bambini per poter accedere al Regno dei Cieli vale per tutti gli uomini e per tutte le loro azioni, a maggior ragione vale per il filosofare, per il riflettere sulla realtà. Lo spirito d’infanzia evangelica applicato alla filosofia significa non aver paura di porre — anche ai grandi sistemi filosofici costruiti dai maggiori intellettuali — le domande semplici che il bambino rivolge ai genitori man mano che scopre le realtà che lo circondano: le domande appunto che emergono spontanee dalle certezze del senso comune presente in ogni uomo, “io esisto”, “il mondo esiste ed è regolato da una legge intrinseca alla sua natura”, “Dio esiste come artefice dell’ordine che riscontro nella realtà”. A queste domande la vera filosofia risponde, offrendo la spiegazione scientifica delle certezze di fatto e di principio presenti in ogni uomo. La grande importanza del lavoro di don Livi consiste proprio nell’aver scritto un testo di discernimento delle opere dei maggiori filosofi dall’antichità a oggi e di aver offerto questo sforzo al lettore. Da parte mia, l’augurio che molti — soprattutto fra i docenti e i responsabili a vari livelli dell’educazione intellettuale di giovani e di adulti — si accostino con intelletto d’amore a queste pagine.
Marco Invernizzi