Domenico Airoma, Cristianità n. 309 (2002)
Alfredo Mantovano, leccese, magistrato, è stato deputato dal 1996 al 2001. Dal dicembre del 1997 al marzo del 1998 è stato coordinatore per Alleanza Nazionale, cui è iscritto dal febbraio del 1997, per le politiche dello Stato e della famiglia. Dal 2001 è sottosegretario di Stato al ministero dell’Interno.
Giornalista pubblicista, collabora con i quotidiani Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale e Quotidiano di Lecce e con la rivista Cristianità; per l’editrice omonima ha pubblicato i volumi La giustizia negata. L’esplosione della criminalità fra crisi dei valori ed emergenza istituzionale (con presentazione di Mauro Ronco, Piacenza 1992; cfr. recensione di Giuliano Mignini, in Cristianità, anno XX, n. 205-206, maggio-giugno 1992, pp. 25-27) e Giustizia a una svolta. Verso il tramonto o verso il ricupero della legalità? (con prefazione di Mario Cicala, Piacenza 1993; cfr. la mia recensione, in Cristianità, anno XX, n. 225-226, gennaio-febbraio 1994, pp. 23-24).
Nel corso della XIII Legislatura, dal 1996 al 2001, ha fatto parte della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul fenomeno della Mafia e delle altre associazioni criminali similari — la cosiddetta Commissione Antimafia — ed è stato coordinatore del Comitato di Lavoro sul Riciclaggio, il Racket e l’Usura, occupandosi dei problemi relativi ai testimoni di giustizia. Dalla relazione svolta — e approvata all’unanimità dalla Commissione — su tale argomento, l’autore ha tratto spunto per l’opera Testimoni a perdere (con introduzione di Tano Grasso, Piero Manni, Lecce 2000; cfr. la mia recensione, in Cristianità, anno XXVIII, n. 299, maggio-giugno 2000, pp. 23-24).
Miliardi in fumo. Sviluppo, prevenzione e contrasto del contrabbando raccoglie la sintesi della relazione predisposta dal Comitato sul Contrabbando, pure coordinato da Mantovano, e approvata, senza alcun voto contrario, dalla Commissione Antimafia il 6 marzo 2001.
L’opera mira a descrivere — così l’autore nella Premessa (pp. 13-15) — “[…] la mappa delle organizzazioni criminali dedite al contrabbando, la loro dislocazione territoriale, le relazioni con soggetti economici privati o pubblici, in Italia e in sede internazionale; quindi a verificare le linee attuali di attività delle organizzazioni criminali dedite al contrabbando; poi a ricostruire il movimento delle merci e le connesse regolamentazioni finanziarie; ancora, a comprendere le caratteristiche della prevenzione e del contrasto; infine, a individuare il tipo di rapporti dell’Italia, e più in generale dell’Unione Europea, con le società multinazionali produttrici del tabacco” (p. 15).
“Il documento costituisce — osserva Piero Luigi Vigna, procuratore nazionale antimafia, nell’Introduzione (pp. 7-11) — per l’autorità e la pluralità delle fonti interpellate, per l’intelligente analisi compiuta e per il penetrante esame cui sono stati sottoposti i molteplici versanti che compongono il fenomeno, un contributo veramente decisivo per una oggettiva “lettura” di uno dei mercati illeciti praticati da tempo dalla criminalità organizzata, anche di tipo mafioso” (p. 7).
La descrizione, ampia e documentata, delle dimensioni, quantitative e qualitative, dell’attività contrabbandiera chiarisce i motivi per i quali tale fenomeno illecito costituisce, oggi, una priorità delle attività investigative e repressive, al di là dei, pur allarmanti, fatti di cronaca che hanno registrato un incremento del numero delle vittime — sia fra le forze dell’ordine che fra la popolazione civile — connesse a tale crimine.
Anzitutto, merita di essere richiamato il dato relativo al volume complessivo di tale traffico illecito. “A fronte dei 1.000 miliardi di sigarette esportate dagli Stati produttori di tutto il mondo, ben 280 miliardi sono commercializzati nel circuito illecito gestito dai contrabbandieri, con una tendenza di crescita costante: rispetto ai 100 miliardi del 1990 il volume è quasi triplicato” (p. 19). Interessanti sono pure le cifre che enunciano il peso dei profitti derivanti dal contrabbando rispetto a quelli prodotti dalle altre tradizionali attività criminali (p. 21).
Tuttavia, quel che rende il contrabbando un fenomeno d’”avanguardia” nel panorama delle attività illecite è l’intima connessione con la nuova identità transnazionale della criminalità organizzata.
Già nel passato, per vero, l’attività contrabbandiera ha costituito terreno di incontro fra differenti organizzazioni, di tipo mafioso e non, proprio per la sua intrinseca vocazione al superamento delle frontiere nazionali; non solo, le rotte utilizzate per le sigarette sono state — ben prima del dissolvimento dei confini statali — interessate da altri e più lucrosi traffici illeciti. “Il legame tra siciliani e napoletani — per esempio — diventò più stretto quando i primi avvertirono la necessità di servirsi della consolidata rete contrabbandiera dei secondi per importare dal Medio Oriente morfina base, da raffinare ed esportare negli USA” (p. 104).
La globalizzazione dei mercati economici e finanziari, la liberalizzazione dei flussi internazionali di capitale, la costituzione dello spazio economico comunitario con la conseguente riduzione d’interventi amministrativi e di polizia prevedibili e sistematici, hanno, da un lato, rafforzato il ricorso alla già collaudata rete contrabbandiera e, dall’altro, ne hanno affinato la struttura e potenziato la versatilità criminale. “[…] si tratta — in sintesi — di un fenomeno tipico di criminalità organizzata gestito da organizzazioni criminali transnazionali, in connessione con i traffici delle armi, degli stupefacenti, talora anche degli esseri umani” (p. 19), con effetti sullo stesso andamento dei mercati e sulle politiche governative di taluni Stati: “[…] il contrabbando è di fatto anche un elemento di squilibrio politico e di destabilizzazione” (p. 23).
Emblematico, a tale ultimo riguardo, quanto è accaduto in Montenegro. L’attività investigativa ha accertato che allo Stato balcanico erano destinate massicce spedizioni di sigarette, del tutto sproporzionate rispetto alle capacità di consumo del mercato interno; in effetti, ciò derivava dall’esistenza di un accordo fra rappresentanti del governo montenegrino e organizzazioni contrabbandiere, in virtù del quale le autorità statali percepivano la tassa di 5.000 lire per ogni cassa di sigarette, assicurando in cambio ai trafficanti ospitalità, protezione e ausilio logistico per le successive operazioni di esportazione nell’Europa comunitaria (pp. 55-65).
Lo Stato montenegrino, però, non è il solo a essersi mostrato compiacente verso il contrabbando, nelle sue diverse fasi; significativa è la tolleranza registrata in Grecia, dove viene imbarcato l’89% del tabacco poi sequestrato in territorio italiano. Ancor più rilevanti sono i rapporti fra il sistema del contrabbando e taluni paesi “[…] tradizionalmente conosciuti come paradisi fiscali […]
“[…] in particolare la Svizzera, il Liechtenstein e Cipro” (p. 28).
Il versante finanziario rappresenta indubbiamente l’aspetto di maggiore novità, anche perché sintomatico delle linee evolutive della criminalità organizzata: il dato saliente è costituito dal ricorso a società d’intermediazione finanziaria, in grado di funzionare come “[…] vero e proprio interfaccia tra i soggetti parti delle transazioni commerciali aventi ad oggetto i tabacchi” (p. 38); l’attività di queste società interpone “[…] un doppio schermo anzitutto tra l’acquirente e il venditore di tabacchi […]; ma anche fra gli ulteriori soggetti che operano la transazione in denaro e gli Istituti di credito” (p. 39). Si tratta di strutture a un tempo complesse e flessibili: “Esse operano non solo per conto di quanti hanno parte nel contrabbando internazionale, ma pure di coloro che desiderano movimentare capitali estero su estero, quale che sia la loro origine, così pervenendo al passaggio di mano di migliaia di miliardi di lire all’anno” (p. 39).
È evidente il salto di qualità operato dalle organizzazioni criminali, proprio sfruttando l’elevato grado di conoscenza dei meccanismi — giuridici, economici, tecnici e commerciali — di funzionamento dei mercati internazionali, che l’attività contrabbandiera ha fatto maturare. “Mentre in passato era il singolo individuo, ovvero un piccolo gruppo di trafficanti, che spesso curava in prima persona gli ordinativi, il trasporto, la riscossione, oggi per ogni fase di negoziazione, di spedizione e di trasferimento fisico dei carichi di tabacco, operano a vario titolo diversificate strutture societarie, ciascuna responsabile per la sua parte” (p. 28).
Di estremo interesse, pertanto, si presenta la disamina che l’autore, poste tali coordinate interpretative, conduce sul sistema e le forme del contrabbando, in Europa (pp. 17-80) e in Italia (pp. 81-112), soffermandosi sulle rotte praticate dai trafficanti, sul ruolo delle principali organizzazioni criminali e sulla complicità delle multinazionali del tabacco.
Non è estranea all’analisi anche una considerazione delle cause culturali e sociali dell’attecchire del contrabbando.
Con particolare riferimento alla Repubblica Italiana, la diffusione dell’attività contrabbandiera, soprattutto nel Meridione, affonda le radici in un atteggiamento d’indulgenza della collettività verso un’attività considerata “non moralmente riprovevole” (p. 87); per anni, infatti, essa è stata avvertita come “una sorta di mestiere onesto” (ibidem), “ritenuto necessario per assicurare la sopravvivenza o il mantenimento della famiglia” (ibidem). “Tale concezione — osserva ancora l’autore — è stata amplificata dai ricorrenti cicli di crisi economica […] diffondendo un senso di sfiducia nelle istituzioni, e nel contempo investendo il contrabbando di sigarette di un ruolo para-assistenziale, surrogatorio delle annose carenze dello Stato” (ibidem).
Altro fattore di crescita, sociale ed economica, del contrabbando è stato poi rappresentato dall’incidenza, pari al 78%, del carico fiscale sul prezzo finale di vendita al pubblico; il che ha reso il ricorso al mercato illegale di persuasiva convenienza per il consumatore.
Tale “sottovalutazione culturale del fenomeno, relegato per troppo tempo nell’area romantica dei reati finanziari” (p. 106), ha di fatto condizionato l’attività di repressione, incapace, com’era, di cogliere nell’attività contrabbandiera il terreno di coltura di un mutamento qualitativo della criminalità organizzata. Nel momento in cui è divenuta palese l’osmosi fra le più pericolose organizzazioni criminali e il mondo del contrabbando, è progressivamente calato il consenso sociale anche per i venditori al dettaglio ed è, parimenti, cresciuta la consapevolezza dell’urgenza di un contrasto al fenomeno del contrabbando nella sua portata complessiva (pp. 113-139).
Certo, molto ha contribuito, nel determinare questa svolta culturale, l’aumentata aggressività dei trafficanti nei confronti delle forze dell’ordine, spiegabile proprio se collegata al “cambiamento delle regole del traffico” (p. 49) e all’intervento dei sodalizi mafiosi anche nella gestione delle fasi terminali del trasporto e della commercializzazione.
E però è innegabile che, negli anni 1990, sia in Italia che in Europa la strategia di contrasto al contrabbando ha abbandonato la strada della repressione esercitata negli ormai evanescenti confini nazionali per spingersi in ambito sovranazionale, con l’obiettivo, in particolare, di coordinare l’azione degli organismi statali con quella esercitata da organismi comunitari, fra i quali spicca l’OLAF, l’Ufficio per la Lotta Antifrode presso la Commissione Europea.
Molti sono gli aspetti che ancora ostacolano tale necessario coordinamento: anzitutto, le disomogeneità legislative, soprattutto per gli ordinamenti giuridici degli Stati esterni all’Unione Europea, posto che taluni paesi, per esempio la Svizzera, non conoscono il reato di contrabbando; l’attenzione, non sempre vigile, ai fenomeni corruttivi degli apparati istituzionali — numerose, infatti, sono le indagini che hanno rivelato “collusioni delle organizzazioni contrabbandiere con la criminalità organizzata e autorità di elevato livello di Stati quali l’Ucraina, la Romania, l’Estonia, la Svizzera” (p. 116) —; l’assenza di una sistematica attività di prevenzione e di repressione, sovente esercitata attraverso controlli ispettivi scarsamente efficaci — oltre al caso della Grecia, sopra richiamato, vengono in rilievo le situazioni di Olanda e Belgio, dove si trovano i più grossi depositi doganali di tabacchi lavorati e dove opera il maggior numero di società di spedizione interessate all’attività contrabbandiera —; l’incertezza, manifestata da parte degli Stati membri, nei confronti delle iniziative della Commissione Europea dirette a far accertare giudizialmente le collusioni delle multinazionali del tabacco e a ottenerne una “collaborazione conveniente” (p. 135).
“Nessuno dubita — in definitiva — che la più efficace azione di contrasto nei confronti dei grandi traffici criminali debba oltrepassare il livello nazionale: se i capitali e le merci si spostano con maggiore rapidità e sicurezza, ciò vale anche per i commerci illeciti, ormai “ampliati a dismisura”” (p. 13), sì da caratterizzare la lotta alla criminalità organizzata sempre più secondo la definizione data dal senatore americano John Kerry: “the new war”, la nuova guerra.
Domenico Airoma
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