Oscar Sanguinetti, Cristianità n. 187-188 (1990)
Intelletto d’amore: credo che questa espressione teologico-letteraria possa definire la sensazione che persiste nell’animo al termine della lettura del volume di Zef Margjinaj Piccolo compendio della grande storia dell’Albania. E questo atteggiamento sembra aver animato l’autore a riscrivere — anche se in forma compendiata — la storia del nobile paese balcanico del quale è figlio e alla cui rinascita ha dedicato la sua non facile esistenza di esule.
Zef Margjinaj, originario della zona albanese rimasta cattolica anche sotto i turchi, ha sessantanove anni e ha dovuto abbandonare il suo paese all’indomani dell’instaurazione della tirannide comunista e dopo la tragica conclusione della sanguinosa guerra civile che la precedette e la seguì, giungendo nel 1952 nel mondo libero — prima in Grecia, poi in Italia, dove si è stabilito e tuttora risiede — al termine di una rocambolesca quanto tragica fuga da lui narrata nel volume Marcia di un albanese verso la libertà. Autobiografia. (La Nuova Base, Udine 1983).
Attualmente è esponente di rilievo delle organizzazioni politiche dell’emigrazione albanese, quali Eroismo Albanese e Albanians for Human Rights.
La storia dell’Albania che emerge dalla appassionata, quasi accorata, rievocazione di Zef Margjinaj — scritta in collaborazione con Gianpaolo Sabbatini, di Alleanza Cattolica, e prefata da Mauro Ronco (pp. 7-9), della stessa associazione —, si articola in una premessa (p. 11), undici capitoli, una conclusione (pp. 99-100) e un’appendice (pp. 101-103) cui seguono brevi note (p. 105); nel volume sono riprodotte diverse carte geografiche e l’opera è impreziosita da numerose illustrazioni fuori testo.
Una delle maggiori ragioni d’interesse del Piccolo compendio della grande storia dell’Albania è costituita dalla periodizzazione, che distingue le diverse fasi della vita della nazione, dall’originario nucleo di popolazioni illiriche che acquistano sempre maggior peso all’interno dell’impero di Roma fino a esprimere — nei secoli della decadenza — anche diversi imperatori (pp. 13-27), al Medioevo cristiano (pp. 29-33) durante il quale la fede si innesta — e il risultato resisterà tenacemente ai secoli — sulle splendide virtù sociali naturali delle fiere popolazioni montanare, e i valori di famiglia, di lignaggio, di rispetto alla parola data, di onore, divengono parte ineliminabile della tradizione nazionale.
Poi la storia continua con il periodo delle invasioni, prima slava, quindi turco-musulmana (pp. 35-45): e in occasione dell’invasione turco-musulmana — nel secolo XV — si produce la vera e propria epopea nazionale albanese nella quale giganteggia la figura dell’eroe, condottiero e campione della fede, Giorgio Castriota, il leggendario Skanderbeg. In questo periodo, grazie alle buone relazioni, ordinate a una comune difesa contro i turchi, stabilite con i regni cattolici succedutisi nell’Italia Meridionale, inizia l’insediamento di comunità — mai di individui o di singole famiglie — albanesi in Sicilia, in Calabria e in Puglia, dove tuttora sussistono (pp. 47-58).
Ma, dagli anni intorno alla caduta di Costantinopoli, del 1453, inizia, purtroppo, il lunghissimo periodo di asservimento dei Balcani e dell’Albania all’Impero Ottomano (pp. 59-67), nel quale, comunque, soprattutto nelle zone più cattolicizzate e impermeabili al Corano, vaste comunità conservano una certa autonomia di costumi e di amministrazione.
Al tramonto dell’impero turco — nel secolo XIX — gli albanesi vengono a trovarsi presi nella morsa del rinascente nazionalismo e imperialismo politico degli slavi, i serbi, e degli ultimi sussulti repressivi dell’impero in agonia. Sono anni di torbidi e di violenze, che trovano una, sia pur breve, pausa con la conquista dell’indipendenza e con la creazione della corona nazionale albanese, affidata prima a un principe germanico, quindi — infine — a un re autoctono, Zog I.
Ben presto la corona, a seguito dell’occupazione italiana nel 1939, passa ai re d’Italia, e l’Albania si trova integrata nel sistema politico fascista. La seconda guerra mondiale (pp. 69-74) rivoluziona ancora una volta l’assetto del paese, nel quale si sviluppa una forte resistenza armata contro l’occupazione. Al termine di questa (pp. 75-82) scoppia il conflitto tra le componenti della Resistenza, i monarchici del partito Legaliteti, i nazionalisti del Bälli Kombetar e i socialcomunisti di Enver Hoxha, che, appoggiati non solo dai socialcomunisti jugoslavi, ma anche dalle potenze occidentali, finiscono per prevalere, instaurando un regime dispotico, totalitario e terroristico (pp. 83-90) che tuttora dura pressoché immutato nel suo rigore ideologico e poliziesco, e che costituisce un unicum al mondo per almeno due aspetti: la professione di stalinismo e la dichiarazione ufficiale di ateismo dello Stato, da cui consegue la repressione inaudita di ogni manifestazione religiosa, anche privata.
Il volume, fra i tanti pregi, ha anzitutto quello di narrare una storia in forma semplice ed efficace, fornendo molte notizie anche di carattere geografico e culturale, e questa storia è ignota alla stragrande maggioranza delle persone, anche agli studiosi e ai politici anticomunisti, e non è certo sostituibile o facilmente ricostruibile quanto agli ultimi decenni con la cronaca che è costantemente stata resa impossibile dalla ostinata impenetrabilità dell’Albania a qualsiasi sguardo esterno.
In secondo luogo — e questa costituisce forse la maggiore novità — l’opera mette in luce quella che si può senz’altro definire l’autentica missione provvidenziale della nazione balcanica, che scaturisce dalla collocazione geopolitica dell’Albania e dalla sua conversione al cristianesimo, cioè il suo ruolo di solido antemurale, di invalicabile baluardo di resistenza contro l’espansione dell’islam dai Balcani attraverso l’Adriatico in direzione del cuore stesso della Cristianità, di Roma. Grazie alla secolare resistenza dei montanari albanesi — la cui identità nazionale emerge con connotati assai simili a quelli della Cristianità della montagna libanese —, alla loro indomabile e strenua opposizione ai turchi, la Cristianità latina può contenere l’islam e preparare la riconquista, culminata a Lepanto e nelle battaglie balcaniche del secolo seguente.
Finalmente, l’opera di Zef Margjinaj costituisce uno strumento prezioso nella “battaglia delle idee” in generale contro il socialcomunismo e in particolare contro possibili interpretazioni errate o mistificanti della disgregazione dell’impero comunista in Europa e nei Balcani, come, per esempio, quanto ai recenti e meno recenti avvenimenti del Kossovo albanese (pp. 91-97).
Dunque, un autentico filiale atto d’amore verso la propria sfortunata patria che può contribuire a impetrare da Dio la rinascita religiosa e la libertà politica e civile per una nobile nazione, dell’Italia vicina e sorella.
Oscar Sanguinetti