Socrate, dialogando con Fedro, avvicina la retorica alla medicina affermando che “in tutt’e due si deve dividere una natura: nell’una quella del corpo, nell’altra quella dell’anima, se tu intendi, non solo per pura pratica e in maniera empirica, al corpo procurare salute e forza, offrendo medicine e nutrimento, e all’anima infondere quella convinzione che tu desideri e la virtù, offrendo discorsi e attività rispettose delle leggi. […] E ritieni che sia possibile conoscere la natura dell’anima in modo degno di menzione — aggiunge —, senza conoscere la natura dell’intero?”.
Questa la risposta di Fedro: “Se si deve credere a Ippocrate, che è della stirpe degli Asclepiadi, non è possibile conoscere neppure la natura del corpo, se non si segue questo metodo” (Platone, Fedro, 270b-c, trad. it. di Giovanni Reale).
E proprio a indagare i complessi rapporti fra natura del corpo e natura del tutto, fra salute del corpo e salvezza della persona, dal 6 al 7 novembre 1991, a Lugano, si è svolto un convegno dell’Associazione Medici Cattolici Svizzeri, da cui è nata una raccolta di saggi, Salute e salvezza. Prospettive interdisciplinari, curata da Ermanno Pavesi, segretario dell’Associazione promotrice ed ex segretario generale della Federazione Europea delle Associazioni Medici Cattolici.
L’ampiezza del tema e la varietà degli approcci rendono assai difficile ogni tentativo di riassumere gli otto contributi raccolti, che pure sono uniti non solo dall’unità del tema, “salute e salvezza”, e da quella del punto di partenza, “l’una e l’altra non sono affatto reciprocamente indifferenti”, ma soprattutto da una profonda unità d’intenti: offrire all’operatore sanitario cristiano altrettante occasioni di riflessione sul senso e la dignità della sua vocazione specifica, di servitore della persona sofferente, e non solo del suo corpo.
Apre la raccolta il contributo di S. Em. il card. Fiorenzo Angelini, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari — intervento che assume il titolo dal convegno e dà il titolo alla raccolta: Salute e salvezza (pp. 7-11) — inteso a delineare l’ambito tematico: “[…] di fronte ai limiti della scienza e persino ai rischi che essa diventi strumento di morte per l’uomo che soffre, si fa più pressante l’esigenza di guardare alla salute nella prospettiva più ampia della salvezza la quale, secondo l’insegnamento di Cristo, è opera dell’amore e si conquista soltanto attraverso l’amore” (p. 10). L’autore inserisce poi la ricerca intrapresa all’interno di una situazione storica particolare, che rende ancora più urgente guardare alle due dimensioni con uno sguardo unitario: “L’età moderna è stata segnata, ma direi piuttosto che è stata ferita dal tentativo di separare forzatamente scienza e fede fino al punto di considerarle ostili tra loro. La salute apparterrebbe alla scienza, la salvezza alla fede. L’esasperazione di questo conflitto ha portato al formarsi di una cultura di morte che si rivolge contro l’uomo, contro la sua salute e, soprattutto, contro la sua salvezza” (p. 11).
L’intervento di S. E. mons. Eugenio Corecco, allora vescovo di Lugano, tratta il tema Dolore e persona (pp. 13-15), sottolineando che “la Chiesa riesce ad affrontare il suo compito in modo adeguato solo se educa operatori sanitari che abbiano essi stessi una visione antropologica integrale della persona e, perciò, integralmente umana della malattia” (p. 13).
Il compito di entrare in medias res è affidato al professor Stanislaw Grygiel, del Pontificio Consiglio per la Famiglia, docente presso l’Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, in Roma, con un intervento dal titolo La salvezza e la salute (pp. 17-36). Dolore, sofferenza e morte vengono indicati come occasioni decisive per porre radicalmente il problema del “senso” ultimo della vita: “È significativo che il dolore cominciò a essere incondizionatamente combattuto dai tempi di Cartesio. Prima, esso veniva trattato come la rivelazione dell’imperfezione dell’essere umano. Non riducendo l’uomo a un meccanismo, i medici cercavano piuttosto di lenire che di combattere il dolore, per aiutare il malato a ritrovare se stesso nella malattia. Il dolore era la scuola della saggezza, scuola in cui l’uomo poteva vedere meglio la verità del proprio essere. Questa saggezza consiste nell’intravvedere il Principio dell’essere umano grazie alla luce che emana dalla Fine, cioè dalla morte davanti alla quale ci mette la malattia.
“Il dolore libera l’uomo dalle immagini che sono solo ombre platoniche della realtà. Il dolore libera l’uomo soprattutto dall’immagine del corpo e della vita ridotta a mera corporeità, ponendolo davanti al suo essere così come è.
“Davanti alla morte l’uomo comincia a domandare il senso del suo essere che nasce e muore, vale a dire la sua verità. Il malato non chiede del senso che egli potrebbe costruire. Davanti alla morte i sensi costruiti dall’uomo non hanno nessun senso. In altre parole l’uomo messo davanti alla morte diventa, per dirla […] con sant’Agostino, magna quaestio“ (p. 27).
Muovendo proprio dalla scissione operata da Cartesio tra res cogitans e res extensa Ermanno Pavesi — curatore del volume e medico psichiatra, esponente di Alleanza Cattolica, docente presso la Gustav-Siewerth-Akademie, in Germania — affronta il tema Psicoanalisi e religione (pp. 37-58), indagandolo in tre autori fondamentali: Sigmund Freud, Carl Gustav Jung e il teologo contemporaneo Eugen Drewermann, all’analisi della cui opera più famosa Ermanno Pavesi ha dedicato un ampio saggio (Eugen Drewermanns “Kleriker Psychogramm eines Ideals” und die tiefenpsychologische Religionskritik [“Chierici. Psicogramma di un ideale” di Eugen Drewermann e la critica alla religione della psicologia del profondo], Gustav-Siewerth-Akademie, Weilheim 1992). Pur nella grande differenza di modalità, la posizione di queste indagini psicologiche relativamente alla religione può essere in qualche modo riassunta da una risposta di Sigmund Freud al pastore Oskar Pfister, fermo quanto miope sostenitore della psicanalisi: “Lei ha anche ragione che l’analisi non offre alcuna nuova concezione del mondo. Ma essa non ne ha bisogno, perché si fonda sulla universale concezione scientifica del mondo, con la quale quella religiosa resta incompatibile” (p. 42).
Autoguarigione e autoredenzione è il tema dell’intervento (pp. 59-78) di Massimo Introvigne, direttore del CESNUR — il Centro Studi sulle Nuove Religioni — ed esponente di Alleanza Cattolica. Il testo, dopo aver inquadrato la categoria di “religioni di guarigione” secondo varie prospettive, indaga analiticamente i vari gruppi di nuovi movimenti religiosi discernendovi due possibili atteggiamenti a riguardo del rapporto salute-salvezza: uno di tipo carismatico, che “[…] si concentra simbolicamente sul corpo, sul gesto, sul rito, sull’entusiasmo: l’esperienza diventa il criterio unico, interpreta se stessa e non si lascia più verificare dalla ragione e dalla dottrina” (pp. 64-65), e uno di tipo gnostico, in cui “[…] la ragione, divorziando dall’esperienza, diventa razionalismo, pretesa di una conoscenza orgogliosa e autonoma capace — almeno per chi ne possiede il segreto — di salvare da sola e di vincere, mediante la loro semplice negazione, il male, la malattia e talora perfino la morte” (p. 65).
Al tema Le virtù come fattore di equilibrio psico-fisico (pp. 79-90) è dedicato un intervento a due mani, di Ermanno Pavesi e di Mario Di Fiorino, docente di Psichiatria Sociale all’Università di Brescia, e di Daseinanalyse nella Scuola di Criminologia Clinica di Modena, nonché direttore della rivista Psichiatria e Territorio. Come indicato dal titolo, vi viene indagato il ruolo delle virtù — cioè di abitudini acquisite a comportarsi bene — come fattori di equilibrio psico-fisico, in contrasto con posizioni che vedono piuttosto la realizzazione dell’uomo nella liberazione di ogni forza istintuale. “A un’analisi superficiale — concludono gli autori — la concezione secondo cui dietro l’esistenza contingente vi è nell’uomo un nucleo più autentico e che egli si realizza proprio portando in luce quanto altrimenti è solo latente nel suo profondo, può apparire comune tanto a una concezione religiosa quanto a teorie moderne, ma si deve sottolineare che, mentre per queste ultime il nucleo dell’uomo è formato dai suoi bisogni e dai suoi istinti, nella concezione cristiana l’uomo nel profondo della propria anima scopre l’immagine di Dio” (p. 90).
L’ultimo intervento raccolto — Direzione spirituale: elementi per una valutazione teologica (pp. 91-113) — è del teologo don Pietro Cantoni, docente di filosofia presso lo Studio Teologico Interdiocesano di Camaiore, in provincia di Lucca, e di teologia presso l’Istituto di Scienze Religiose di Viareggio, sempre in provincia di Lucca. Dopo aver rilevato una certa ambiguità nell’atteggiamento contemporaneo verso la direzione spirituale — da un lato rifiutata, e dall’altro ricercata sotto nuove forme — l’autore affronta il tema del rapporto fra naturale e soprannaturale, al cui interno vede inscritto quello del rapporto salute-salvezza. Segue un’attenta analisi delle caratteristiche della direzione spirituale, e di quelle richieste a un buon direttore spirituale, analisi che evidenzia il fatto che, nel caso della terapia, anche psichiatrica, il terapeuta cerca di controllare processi bio-psicologici necessari, mentre il direttore spirituale si confronta sempre con la libertà di chi è da lui diretto. Dopo aver inquadrato la delicata opera di discernimento degli spiriti alla luce dell’opera di sant’Ignazio di Loyola, don Pietro Cantoni — muovendo da una metafora spesso usata dagli autori spirituali — parla del direttore come della guida che accompagna nell’itinerario spirituale: “Non un viaggio illusorio o di evasione, diverso nel paesaggio delle apparenze ma sempre uguale nella sostanza del proprio io, ma un viaggio verso la realtà più vera. Innanzitutto il fondo di se stessi, attraverso contrade note ma pur sempre nuove e a volte imprevedibili, non per fermarsi lì, ma per passar oltre, al di fuori di sé, in Cristo e per Cristo incontro al centro e al fondamento della realtà tutta che è Dio Trinità-Amore” (p. 113).
Lorenzo Cantoni