Andrea Bartelloni, Cristianità 327 (2005)
Nel 2002 Carlo Petrini, biologo all’Istituto Superiore di Sanità e docente nella Facoltà di Bioetica dell’APRA, l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, ha raccolto in un volume una selezione di suoi articoli pubblicati nella sezione Etica della Biologia della rivista Biologi Italiani, Bioetica, ambiente, rischio, con prefazione di Gonzalo Miranda L.C., decano della Facoltà di Bioetica all’APRA, ed edito a Roma dall’Ateneo stesso. Di quest’opera Bioetica, ambiente, rischio. Evidenze, problematicità, documenti istituzionali nel mondo costituisce nuova edizione riveduta e ampliata. Il Leitmotiv è il carattere multidisciplinare dell’approccio bioetico con riferimento a numerose tematiche su cui il dibattito è stato ed è vivace, e spesso orientato più dai pregiudizi che dalle reali conoscenze scientifiche. I temi trattati vanno dalla protezione dell’ambiente ai rapporti fra ambiente e salute, dalla valutazione dei rischi sanitari e ambientali alla prevenzione e alla precauzione. “Gli articoli offrono requisiti di chiarezza per coloro che per la Bioetica hanno un interesse esclusivamente culturale e di aggiornamento per chi in Bioetica ha un ruolo professionale” (p. 5), come si legge nella Prefazione (p. 5).
La loro brevità consente di esaurire rapidamente il tema affrontato e di leggere i singoli interventi a prescindere dall’ordine di presentazione, mantenendo comunque un filo conduttore che è il profondo rispetto verso la vita e “la ricerca onesta della verità” (p. 203).
A questo scopo l’autore guida attraverso una panoramica delle principali scuole di pensiero cui possono essere ricondotte le diverse posizioni dei bioeticisti, sottolineando previamente un aspetto fondamentale: il dibattito fra cognitivisti e non cognitivisti sul rapporto fra fatti naturali e valori. I primi ritengono che esista una fondazione oggettiva e razionale delle norme morali, i secondi sostengono che i valori non possono essere oggetto di conoscenza e non sono classificabili come “veri” o “falsi”. I modelli in bioetica rientrano in questi due gruppi.
Secondo l’utilitarismo “[…] bisognerebbe agire sempre in vista del maggior bene possibile per il maggior numero di persone, considerando egualmente gli interessi di ciascuno” (p. 26). Approccio che rischia una “deriva economicista” (ibidem) che mette sullo stesso piano valori non omologhi — utilità economica e valori inerenti la vita — misurandoli con lo stesso metro.
Secondo il principismo, a fronte del pluralismo della bioetica internazionale, va cercato un minimo comun denominatore fra le varie correnti, risultando però oltremodo debole per mancanza di riferimenti a un’ontologia e a un’antropologia solidamente fondate.
Il soggettivismo, massima espressione del non cognitivismo, riconosce all’individuo la più grande libertà di scelta e di autonomia con l’unico limite di non intaccare la libertà altrui, ma difficilmente l’assenza di direzione “[…] può ordinare adeguatamente il vivere sociale” (p. 27).
Viene poi il personalismo che si fonda sulla “considerazione della persona come valore massimo” (p. 29), ma non assoluto, e si suddivide in relazionale, ermeneutico e ontologico.
Il personalismo relazionale, come esposto dal filosofo ebreo lituano, naturalizzato francese, Emmanuel Lévinas e lo storico della filosofia Pietro Prini, sottolinea appunto l’aspetto relazionale fra gli individui; il personalismo ermeneutico del filosofo tedesco Hans Georg Gadamer (1900-2002) attribuisce importanza alla ricerca personale della verità; e quello ontologico, propugnato dal bioeticista mons. Elio Sgreccia e dallo storico spagnolo della medicina Diego Gracia fa propria la concezione di persona elaborata dalla filosofia scolastica.
“Il personalismo — nota Petrini — ha elaborato criteri di valutazione per giudicare le diverse situazioni che le pratiche biologiche e mediche richiedono di affrontare. Il principio di globalità (o terapeutico) implica che gli interventi sul corpo umano sono eticamente leciti solo se volti al bene di tutta la persona […]. Il principio di libertà e responsabilità chiama in causa le scelte libere e coerenti dell’uomo. Il principio di socialità e sussidiarietà considera la vita e la salute come beni sociali: lo Stato ha pertanto doveri di assistenza, ma allo stesso tempo ogni cittadino ha doveri di tutela e promozione della salute” (ibidem).
Ultimo modello preso in esame da Petrini è il comunitarismo che, nei suoi aspetti più radicali, “[…] sembra talvolta sacrificare i valori personali a beneficio della collettività” (ibidem). Non facendo riferimento a scale di valori oggettive, la comunità diventa valore assoluto e, criticando il liberalismo, il comunitarismo cade nell’eccesso opposto.
Petrini, con questa descrizione, dà un quadro completo delle diverse teorie e offre anche i criteri per un giudizio sulle stesse, criteri che saranno alla base di tutti gli articoli di cui si compone l’opera.
Un articolo è dedicato alla descrizione comparativa dei Codici Deontologici di alcune professioni sanitarie (pp. 31-35). Tre sono dedicati alle normative nazionali e internazionali: la posizione della Commissione Europea sul principio di precauzione e pratiche sanitarie (pp. 49-56), i rapporti con la bioetica europea del Comité Consultatif National d’Ethique francese (pp. 139-146), i documenti dell’ONU relativi alla bioetica e la dichiarazione dell’UNESCO — l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura — sul Genoma Umano (pp. 271-296). Infine viene trattato l’approccio bioetico negli Stati Uniti d’America (pp. 369-383) e in Canada (pp. 385-397) con le ripercussioni a livello legislativo e negli studi universitari.
In Italia l’insegnamento della Bioetica dovrebbe entrare a far parte dei programmi scolastici (pp. 65-71) anche se questo importante ““studio sistematico della condotta umana, nell’ambito delle scienze della vita e della salute, esaminata alla luce dei valori e dei principi morali” — secondo la definizione che Warren T. Reich ne ha dato nella prima edizione dell’Encyclopedia of Bioethics nel 1978″ (p. 66) — risente della mancanza di una indicazione “[…] su quale etica debba essere insegnata. […] Le diverse posizioni sono per molti aspetti inconciliabili. […] Il problema della decisione di quali valori verranno trasmessi agli alunni è pertanto grave: è molto difficile che a bambini e ragazzi si possa presentare l’intero scenario in modo che essi stessi possano consapevolmente scegliere con motivazioni profonde” (p. 70). “I problemi posti dalla bioetica chiamano […] in causa consapevolezza, libertà e responsabilità. Queste dovrebbero maturare con l’aiuto della scuola. Occorre però che la scuola trasmetta valori veri, e che lo faccia nei modi e nei tempi adatti per gli alunni” (ibidem).
Dopo le necessarie chiarificazioni storiche (pp. 233-245) e terminologiche (pp. 247-256), alcuni articoli sono dedicati a temi di stretta attualità.
Il principio di precauzione (pp. 49-55, 107-114 e 297-328) viene affrontato dal punto di vista storico, legislativo e nei suoi sviluppi scientifici e politici. “Non è raro che il principio di precauzione venga interpretato come un dovere dell’autorità competente di vietare (o di non autorizzare) una tecnologia o un procedimento finché non sia provato che la tecnologia o il procedimento stesso siano innocui” (p. 111). Un primo aspetto che viene sottolineato a questo proposito è che la scienza non può “[…] dimostrare in modo certo e definitivo che un agente sia completamente innocuo” (ibidem). A livello europeo si è tentata una strada per conciliare le esigenze di garanzie della popolazione associando al principio di precauzione quello di partecipazione. Principi che possono funzionare se standardizzati per evitare differenze da regione a regione che disorientano i consumatori. Inoltre la precauzione “[…] dovrebbe essere in primo luogo una gestione dell’attesa di informazioni” (p. 113) sulle nuove evidenze scientifiche che continuamente si producono.
“Una delle maggiori sfide che il principio di precauzione richiede di affrontare è la definizione di un livello di rischio accettabile” (ibidem) definizione che non spetta agli scienziati che “[…] devono […] offrire il miglior supporto tecnico possibile per comprendere, inquadrare e quantificare i rischi” (ibidem) ben sapendo che la sicurezza assoluta e il rischio zero sono irrealizzabili. “Il principio di precauzione mira, infatti, soltanto a gestire l’incertezza cercando di minimizzare i rischi potenziali” (p. 321).
Un articolo è dedicato alle critiche mosse al principio di precauzione, definito in un editoriale della storica rivista britannica di medicina The Lancet come un potente strumento per le lobby ambientaliste per raccogliere consenso politico oppure — secondo la rivista scientifica statunitense, di riferimento per il mondo delle biotecnologie, Nature Biotechnology — come “[…] un lupo travestito da agnello, che ha già provocato enormi sprechi e che è destinato a mutilare il mondo scientifico e l’industria” (p. 317). Viene citata, a questo proposito, la battaglia combattuta da certi ambientalisti negli anni 1980 contro la clorazione delle acque, sulla base di dati risultati erronei. L’esito fu un’epidemia di colera che colpì il Perù e causò diecimila morti. Sempre da questa rivista viene la critica alle posizioni della Commissione Europea sul problema degli OGM, gli Organismi Geneticamente Modificati. In un editoriale del 2001, Precaution without principle, gli autori vedono una continuità “[…] tra il secolare miglioramento genetico praticato […] con metodi tradizionali ed il moderno […] ottenuto con tecniche di DNA ricombinante, essi sottolineano anche come le tecniche di ingegneria genetica siano molto più precise e controllabili, e conseguentemente sicure, rispetto a antiche tecniche universalmente accettate” (ibidem). Oltre che da riviste scientifiche le critiche giungono anche da convegni scientifici. Fra questi uno tenutosi ad Harward nel giugno del 1999 sottolinea i rischi di un freno posto allo sviluppo e il danno che questo porterebbe agli stessi cittadini che si vorrebbero tutelare.
Per parte sua, il quotidiano di Toronto The National Post riporta la querelle sulle antenne della telefonia cellulare svoltasi in Canada. L’estensore dell’articolo, “considerando le incertezze sui possibili effetti dell’esposizione alle radiofrequenze” (p. 318), si chiede cosa sia l’incertezza. Osserva, pertanto, “[…] come non si consideri il fatto che una prova di completa innocuità non possa mai essere ottenuta” (ibidem). Altro punto importante: tutti possiedono un cellulare, esigono un servizio, “pretendendo però che il presunto inquinamento associato al servizio stesso venga localizzato in terreno altrui” (p. 319): è la cosiddetta “sindrome NIMBY (not in my backyard)” (ibidem).
Il principio di precauzione, nato in relazione alla protezione dell’ambiente, applicato alla salute potrebbe portare “[…] a rafforzare la tendenza, già in atto, verso la cosiddetta “medicina difensiva”. Essa consiste nel privilegiare l’astensione, nel dubbio di poter causare danni. Il medico invece, secondo il codice deontologico, ha il dovere di dedicare tutto il suo impegno alle possibili cure, ricercando in ogni modo i metodi scientifici più adatti” (p. 323). “[…] l’obbligo dei mezzi (eticamente irrinunciabile) non va confuso con quello dei risultati (eticamente e scientificamente inconsistente)” (p. 324). L’articolo sulle critiche si conclude con un’altra definizione del principio presa a prestito dall’economia: “[…] secondo l’economista Treich la prevenzione mira a gestire i rischi, la precauzione mira a gestire l’attesa di informazioni. La precauzione nasce cioè dallo scarto temporale tra la necessità di un’azione immediata e il momento in cui le conoscenze scientifiche disponibili si modificheranno” (p. 325) e, pertanto, necessita di autorità che “[…] promuovano programmi di ricerca volti ad apportare nuove conoscenze in un arco di tempo ragionevole” (pp. 325-326).
Di grande interesse metodologico è l’articolo sull’etica dell’ambiente: scuole di pensiero e orientamenti. “Schematicamente le etiche dell’ambiente si possono distinguere in anti-antropocentriche e antropocentriche” (p. 57). Le prime “[…] considerano che tutta la natura ha un valore intrinseco e che tale valore non è inferiore o addirittura è prioritario rispetto all’uomo” (ibidem). Per le antropocentriche “[…] l’uomo è considerato come detentore di un ruolo principale all’interno del mondo naturale” (p. 61) con una “[…] responsabilità morale. Le entità naturali non umane hanno una loro dignità ma si trovano ad un livello differente rispetto all’umanità” (ibidem). L’etica ambientale cattolica è antropocentrica e riconosce all’uomo il ruolo “[…] di custodire e costruire un mondo in cui le varie componenti sono nel loro naturale equilibrio. Il dominio dell’uomo dunque non è un potere assoluto” (p. 62). “Ogni intervento sulla natura è considerato legittimo se rispettoso dell’armonia intrinseca dell’ecosistema, se finalizzato allo sviluppo dell’uomo e se volto alla promozione dei valori umani e sociali fondamentali” (ibidem).
Una ricca bibliografia al termine di ciascuno dei 45 articoli costituisce una preziosa raccolta d’informazioni, di leggi e di dichiarazioni internazionali, utili non solo ai biologi ma anche a quanti, a vario titolo, s’interessano di una bioetica orientata da un raro equilibrio nei giudizi.
A questo proposito risulta particolarmente utile la lettura del paragrafo conclusivo dell’articolo Alcuni aspetti di etica relativi al “Progetto Genoma Umano” (pp. 37-47) dove Petrini, premesso che “[…] l’aumento delle nostre conoscenze genetiche non rappresenta un problema etico in sé” (p. 46), sottolinea che “[…] il “catalogo finale” del genoma fornirà un mosaico di un ipotetico individuo che in realtà non corrisponde a nessuno” (ibidem). E, pertanto, “occorre […] rispondere […] ad alcuni interrogativi pedagogici ed antropologici […]:
“· L’uomo saprà educare se stesso e le generazioni successive a vivere ed accettare i propri limiti?
“· L’immagine che l’uomo ha di se stesso diverrà sempre più riduttiva con l’aumentare delle conoscenze scientifiche e tecniche?
“· Le conoscenze e le tecnologie disponibili saranno gestite saggiamente dall’uomo, in modo da coltivare il giusto equilibrio tra la nozione di “programma” e la nozione di “responsabilità” della natura umana?” (ibidem).
Per gestire correttamente questi problemi sarà necessaria “una buona informazione, accompagnata anche da una solida formazione” (ibidem) evitando di estremizzare le critiche, “[…] dipingendo le ricerche biotecnologiche come un’attività nefasta: esiste una certa corrente culturale che sembra identificare un pomodoro transgenico come il mostro Frankenstein […].
“Altri hanno una visione estremamente ottimista […].
“Una visione più equilibrata parte invece dalla constatazione che la ricerca bio-tecnologica indaga in modo empirico gli esseri viventi, al fine di conoscere e descrivere la realtà, per poi contribuire al bene comune attraverso la cura del bene dei singoli individui” (pp. 46-47).
Questo vale sia per il Progetto Genoma che per tutti gli altri ambiti della ricerca che hanno per oggetto l’uomo e l’ambiente che lo circonda.
La nuova edizione dell’opera è arricchita da dieci nuovi articoli, dedicati agli aspetti etici della sperimentazione sull’uomo, sulla questione delle cellule staminali fino all’”ecologia politica” e all’olismo in biologia e in ecologia.
Nell’articolo sull’“ecologia politica” (pp. 495-512) si completa quanto già detto in un articolo precedente soffermandosi sulla “gestione politica del rapporto tra uomo e natura” (p. 495) attraverso l’analisi dei riferimenti culturali dei vari modelli di ambientalismo: quello del libero mercato, quello conservativo, quello del mercato verde e quello liberale. La seconda parte dell’articolo è dedicata all’ambientalismo socialista, all’ecologia sociale, al bioregionalismo e all’ambientalismo radicale con i suoi elementi più estremistici quali l’”animalismo” militante.
L’opera si pone, fra le molte che trattano di bioetica e “in un contesto in cui sembra dominare la ricerca di tutto ciò che è Nuovo” (p. 30), in una prospettiva che tende a privilegiare maggiormente “ciò che è Vero” (ibidem) e questo la rende sicuramente degna di una particolare attenzione.
Andrea Bartelloni