Circa duecento anni or sono, nell’ottobre del 1800, la caduta di Arezzo insorgente nelle mani della Francia napoleonica chiudeva la prima fase dell’Insorgenza italiana, apertasi nel 1792 con la sollevazione popolare contro l’aggressione della Francia rivoluzionaria al Regno di Sardegna. Si tratta di un periodo della storia italiana sconosciuto a molti, ma la cui memoria si è conservata comunque al di fuori dei canali della cultura egemone, molto più attenta alla storia delle repubbliche giacobine. Allo scopo di riflettere sulla storia del Triennio Giacobino (1796-1799) e di studiare in modo organizzato e con metodiche adeguate i fenomeni d’insorgenza popolare nell’autunno del 1995 nasce a Milano l’ISIN, l’Istituto per la Storia delle Insorgenze, fra i principali animatori dell’operazione di riscoperta e di rivalutazione di quelle vicende. Al termine del primo quinquennio di attività l’Istituto ha voluto offrire un saggio di quello che è stato il suo contributo all’opera di commemorazione di una pagina volutamente taciuta della storia del paese, ripresentando una silloge degli articoli, dei saggi, delle relazioni a convegno, delle recensioni librarie e di altri materiali che i suoi collaboratori hanno realizzato fra il 1996 e il 2000.
Apre la raccolta una breve Prefazione (pp. 7-8) di Marco Invernizzi, presidente dell’ISIN, che sottolinea come “[…] una parte della missione che spettava all’Istituto sia stata compiuta. Almeno la parte iniziale, che consisteva nel mettere un tema volutamente dimenticato accanto agli altri, perché la storia d’Italia potesse venire studiata nella sua completezza cronologica e logica, senza salti, senza censure ideologiche” (p. 8). Segue una Premessa redazionale, altrettanto breve (pp. 9-10), nella quale si rileva che attraverso i testi presentati — non sempre omogenei — “[…] si possono ripercorrere le grandi linee dello scontro che a cavallo dei due secoli ha luogo in Italia fra la dinamica modernizzatrice e rivoluzionaria scaturita dagli eventi del 1789-1790 in Francia e le energie sprigionatesi a loro volta dall’organismo dell’Antico Regime europeo ed italiano per difendere il nucleo d’istituti e di valori che caratterizzava la civiltà europea nata nel Medioevo” (p. 10). Infine, nel saggio introduttivo Cinque anni d’impegno per il ricupero della memoria storica: l’Istituto per la Storia delle Insorgenze (pp. 13-21), Oscar Sanguinetti, direttore dell’ISIN, illustra l’attività svolta dall’Istituto e auspica che continui “la riflessione sul significato dell’Insorgenza nella più ampia vicenda della storia del nostro paese” (p. 21), concludendo: “Questo non per mera accademia ma per evitare che all’Italia che verrà siano tagliati “vestiti” politici fuori misura, vestiti magari di foggia esotica e a lungo andare insopportabili perché non adatti alla “corporatura” della nazione italiana e che magari, anche volendolo, sia impossibile togliersi di dosso” (ibidem).
Seguono quindi una trentina di saggi, raccolti in sette parti. La Parte I, Patria terrena e patria celeste (pp. 25-33), propone la riflessione Sull’amor di patria (pp. 29-33), di Mauro Ronco, il quale, rivisitando quanto affermano in proposito Marco Tullio Cicerone (106-43 a. C.) e san Tommaso d’Aquino (1225 ca.-1274), osserva che dopo la tragedia delle due guerre mondiali e il crollo degli Stati istituzionalmente basati sul socialcomunismo, il fondamento unificatore della società non può essere individuato nel concetto di Stato o in quello della sovranità della legge, ma s’impone il ricupero delle nozioni di patria e di amor di patria. “Il ritorno all’amore di patria, dopo una così lunga eclisse, costituisce la miglior medicina contro ogni forma di laicismo ingiustificato e contro ogni forma di vuoto legalismo, che vogliono vanamente fondare la convivenza civile sul rifiuto di Dio o sull’indifferenza religiosa, pretendendo al contempo dal cittadino una moralità pubblica che è impossibile mantenere senza la grazia che viene dall’alto e l’alimento concreto che fluisce dalle radici di una tradizione storica ricevuta e vissuta con gratitudine verso gli antenati che hanno contribuito a formarla” (p. 33).
La Parte II, Il tempo della patria-città: l’Italia pre-unitaria (pp. 35-58), è incentrata su due scritti di Francesco Pappalardo, “L’Italia una e diversa nel sistema degli Stati europei (1450-1750)” (pp. 37-44) — recensione di uno studio del 1998, avente lo stesso titolo, dello storico Giuseppe Galasso, — e La cultura politica italiana preunitaria e il concetto di “nazione spontanea” (pp. 45-53), recanti un profilo delle ragioni della “diversità” italiana alla fine del secolo XVIII. Sono messi in evidenza alcuni caratteri dell’antico “abito” sociale e politico — secondo una felice metafora di Giovanni Cantoni — che rivestiva l’Italia durante l’Antico Regime, ed è sottolineata quella coesistenza di amore per il particolare e di anelito verso l’universale che esprime una vocazione della nazione italiana e che ha fatto dell’Italia — secondo le parole di Papa Giovanni Paolo II — “quasi un laboratorio dello spirito europeo”. Questi caratteri, che illuminano la realtà e la profondità delle radici della nazione, vengono messi in rilievo proprio dall’Insorgenza, anche se in negativo, come una cartina al tornasole.
Nella Parte III, L’Ottantanove (pp. 59-79), viene presentato il carattere di svolta epocale della Rivoluzione del 1789 mediante due saggi di Cantoni, La Rivoluzione francese nel processo rivoluzionario (pp. 61-74) e L’abolizione del “regime feudale” come specifico politico della Rivoluzione francese (pp. 75-79), che per evidenti motivi fanno eccezione rispetto ai limiti cronologici imposti. Essi illuminano nelle sue cause più profonde il secolare processo di scristianizzazione di cui la Rivoluzione francese costituisce un episodio fra i più carichi di conseguenze, poiché ha dato origine all’individualismo e all’egualitarismo politici e all’individualismo economico, che hanno fatto seguito all’individualismo e all’egualitarismo religiosi promossi dal protestantesimo. Alla rottura che la Rivoluzione francese rappresenta nella storia della civiltà cristiana, dal punto di vista specificamente sociopolitico, socioeconomico e generalmente culturale, si può porre autentico rimedio mediante interventi non puramente cosmetici: battersi per una collaborazione fra Chiesa e Stato sulla base di un rapporto privilegiante, fatta salva la dottrina sulla libertà religiosa; promuovere una concezione della nazione non come “messa insieme di individui” — secondo la definizione di Emmanuel-Joseph Siéyès (1748-1836) —, ma come insieme gerarchico e storico di gruppi; valorizzare nella vita sociopolitica non solo l’uguaglianza fondamentale fra gli uomini ma anche le loro differenze tradizionali e vocazionali, avendo perciò attenzione ai corpi intermedi, a partire dalla famiglia; infine, rivalutare il mandato imperativo contro l’uso indiscriminato e mistificante di quello ampio e indeterminato.
Nella Parte IV, La Rivoluzione “francese” e l’Italia (pp. 81-121), viene tracciato, con rapide pennellate, il quadro drammatico della prima occupazione francese con attenzione non soltanto alle brutalità compiute contro gl’insorgenti e contro i popolani in genere, ma anche alle sistematiche spoliazioni del patrimonio artistico e devozionale della penisola. Lo studio di Marco Albera, “I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre” (pp. 87-91) — recensione dell’opera, con lo stesso titolo, dello studioso tedesco Paul Wescher (1896-1974) —, documenta il saccheggio di moltissimi capolavori da parte delle armate di Napoleone Bonaparte (1769-1821) e la nascita in Italia del museo moderno, frutto anche delle soppressioni degli enti ecclesiastici susseguitesi per tutto il periodo risorgimentale. “La spoliazione sistematica prodotta dalla Rivoluzione francese ha ragioni profondamente ideologiche, al fine di dimostrare la superiorità della sua pretesa civiltà illuminata dalla ragione, nella contemporanea umiliazione di ogni tradizione sacra e civile delle nazioni sottomesse con la forza” (p. 91).
La Parte V, L’Insorgenza (pp. 121-142), contiene una preziosa Cronologia dell’Insorgenza italiana (pp. 123-125) e il saggio d’insieme di Sanguinetti su Le insorgenze contro-rivoluzionarie in Italia: un profilo storico (1796-1814) (pp. 127-142), che ribadisce la necessità e l’obbligo di riscoprire e far conoscere l’Insorgenza, innanzitutto perché alla scienza storica compete il massimo sforzo verso la conoscenza e verso l’obiettività; quindi perché tale riscoperta è un dovere morale, “[…] soprattutto per lo storico cristiano, che, se deve mantenere sempre un atteggiamento spassionato anche nei confronti degli antenati ed essere pronto all’eventuale “purificazione della memoria”, è tenuto a praticare in primis l’esercizio della pietas verso di loro, dei valori da loro “indossati” e delle loro scelte” (p. 142); infine, perché riparlare d’Insorgenza “[…] è un passaggio obbligato se si vuole finalmente affrontare correttamente il problema dell’identità nazionale e approdare a una visione non più conflittuale, ma condivisa della memoria nazionale” (ibidem).
La Parte VI, Aspetti e figure dell’Insorgenza italiana (pp. 143-279), la più ampia, presenta una nutrita galleria — divisa su base geografica — di fatti, scene e figure dell’Insorgenza, con saggi di Sandro Petrucci sul Piemonte, di Sanguinetti, di Luca De Pero e di Renato Cirelli sulla Lombardia, sull’Emilia e sulle Venezie, di Giulio Dante Guerra, di Giuliano Mignini e di Benedetto Tusa sulla Toscana, ancora di Petrucci sull’Italia pontificia, di Pappalardo e di Sanguinetti sul Mezzogiorno borbonico; dunque su tutta la penisola, con l’eccezione della Sicilia e della Sardegna, dove continuano a regnare i legittimi sovrani, ma dove pure si registrano tumulti “anti-giacobini”. Dal quadro complessivo emergono gli elementi che rendono specifico il caso italiano: il radicamento del cattolicesimo, la presenza della Santa Sede, l’opera di rinascita religiosa operata dalle congregazioni missionarie, il radicato particolarismo, tutti fattori che fungono da moltiplicatori degli episodi di resistenza. Ma al di là del numero delle sollevazioni popolari e della brutalità degli occupanti, risalta come, proprio in occasione delle insorgenze, gl’italiani manifestarono di essere una nazione, rifiutando le “novità” della Francia rivoluzionaria non solo perché portate da stranieri ma soprattutto perché espressione di una concezione del mondo contraria alle radici religiose, culturali e politiche delle popolazioni italiane.
La necessità di ripercorrere la storia di quegli anni turbinosi con ipotesi di lavoro nuove e senza pregiudizi, allo scopo di ricollocare nella giusta luce l’esperienza storica e politica fatta dall’Italia allora, emerge dalla Parte VII, Problemi e interpretazioni (pp. 279-334), che contiene alcune riflessioni sulla storiografia dell’Insorgenza e qualche cenno interpretativo. Nel saggio di Petrucci, Insorgenza: le questioni sul tappeto (pp. 295-303), si osserva che la recente storiografia — che sta prendendo corpo in ambiti non istituzionali — “[…] legge le insorgenze italiane, inserite e comparate con analoghi fenomeni europei verificatisi nel periodo rivoluzionario e napoleonico, collocandole all’interno dei processi di affermazione della modernità, come reazione al perturbamento di un ordine tradizionale, reazione in cui la componente religiosa non è un elemento marginale o sovrastrutturale” (p. 302), ma piuttosto “[…] lo sfondo che chiarisce il quadro di riferimento umano e culturale in cui operarono gli insorgenti. L’interpretazione secondo cui esiste un fondo unitario delle insorgenze — che è stata suggerita anche in queste pagine — non deve però essere un’affermazione a priori, ma deve essere verificata sul campo” (p. 303).
L’Indice dei nomi (pp. 345-358) e un’Appendice (pp. 335-336) in memoria di Marzio Tremaglia (1959-2000), compianto assessore alla Cultura per la Regione Lombardia e sostenitore delle iniziative dell’ISIN, chiudono il volume, che ricostruisce una fisionomia multi-dimensionale — anche se non esaustiva — del fenomeno dell’Insorgenza, particolarmente utile per chi si accosti a esso per la prima volta e voglia capire com’è nata l’Italia contemporanea. In questa prospettiva opera appunto l’ISIN, che intende continuare ad approfondire la ricerca e a individuare le questioni ancora aperte, allargando l’orizzonte del proprio operato a ulteriori problematiche storiche dell’epoca moderna e contemporanea, tanto in ambito civile quanto in ambito religioso. A questo scopo il sodalizio nel 2001 muta la propria denominazione in ISIIN, Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale, da un lato mantenendo il legame con quella parte di pubblico il cui interesse è legato all’Insorgenza, dall’altro lato puntando la sua attenzione su un rinnovamento culturale — di cui la società italiana sente sempre più il bisogno — fondato sulla fedeltà alle radici e all’identità nazionale.