Marco Invernizzi, Cristianità 366 (2012)
George Weigel nasce nel 1951 a Baltimora, nello Stato del Maryland, dove studia al St. Mary’s Seminary and University. Perfezionati gli studi presso l’University of St. Michael’s College di Toronto, in Canada, nel 1975 si trasferisce a Seattle, nello Stato di Washington, dov’è assistente alla cattedra di teologia presso la St. Thomas Seminary School of Theology di Kenmore e “studioso residente” presso il World Without War Council of Greater Seattle, prima di tornare a Washington, D.C., come ricercatore al Woodrow Wilson International Center for Scholars. Attualmente è Distinguished Senior Fellow, cioè consigliere anziano, dell’Ethics and Public Policy Center of Washington, oltre che uno dei principali commentatori cattolici delle questioni religiose attinenti alla vita pubblica e uno dei capofila della corrente cosiddetta theocon, teoconservatrice, la cui caratteristica è quella di rileggere alcuni temi tipici del neoconservatorismo ma in chiave religiosa. È autore di oltre venti libri; in italiano si possono leggere: L’ultima rivoluzione: la Chiesa della resistenza e il crollo del comunismo, (trad. it., Mondatori, Milano 1994); Neocons cattolici americani (trad. it., a cura di Flavio Felice, Rubbettino, Soveria Mannelli [Catanzaro] 2003); La Cattedrale e il Cubo. Europa, America e politica senza Dio (trad. it., a cura di F. Felice e con Prefazione di Luca Volontè, Rubbettino, 2006); Benedetto XVI. La scelta di Dio (trad. it., a cura di F. Felice, Rubbettino, 2006); La Chiesa spiegata a chi non crede (e a chi desidera capire di più per credere meglio) (trad. it., Rubbettino, 2008); e Lettere a un giovane cattolico (trad. it., Rubbettino, 2009). La sua opera più nota è la biografia del Papa beato Giovanni Paolo II (1978-2005), Testimone della speranza. La vita di Giovanni Paolo II (trad. it., Mondatori, Milano 2005), pubblicata in prima edizione nel 1999, un autentico bestseller internazionale, alla quale mancano però gli ultimi cinque anni di pontificato, appunto concludendosi alle soglie del Giubileo del 2000.
Nel 2012 è uscita La fine e l’inizio. Giovanni Paolo II: la vittoria della libertà, gli ultimi anni, l’eredità, che non è un’edizione accresciuta della celebre biografia, perché affronta soltanto due aspetti della vita di Karol Wojtyła: il suo lungo rapporto con il comunismo — Nemesi. Karol Wojtyla e il comunismo. 1945-1989 (pp. 35-216) — e i cinque anni finali del pontificato, Kenosi. Gli ultimi anni di Papa Giovanni Paolo II. 2000-2005 (pp. 219-577). Le due parti sono precedute da un prologo, Il Papa del millennio (pp. 15-32), nel quale l’autore sottolinea ciò che ha particolarmente segnato la vita del Pontefice: le radici polacche, il profondo legame con il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) e le linee portanti del pontificato, fra cui in particolare quella costituita dal suo ministero itinerante.
La prima parte è articolata in quattro capitoli: La mossa iniziale (pp. 35-64), Defensor civitatis (pp. 65-107), Lo scontro (pp. 109-165) e Vittoria (pp. 167-216).
Fin dall’esordio della sua vita sacerdotale, dopo aver trascorso quasi tutti gli anni di seminario in clandestinità a causa dell’occupazione nazionalsocialista della Polonia, Wojtyła sceglie di contrastare il regime comunista non con una contrapposizione frontale, che lo avrebbe condotto inevitabilmente in prigione, ma ritagliandosi spazi di libertà. Un modo è quello di utilizzare il teatro come forma di resistenza culturale, che permetteva di salvaguardare e di tramandare ai giovani la storia delle profonde radici nazionali cristiane della patria polacca; un altro modo consiste nel mantenere la memoria, con tutti i mezzi possibili, delle recenti eroiche vicende di un popolo che aveva combattuto ed era rimasto stritolato dai due totalitarismi del secolo XX, il nazionalsocialismo e il comunismo sovietico. In questa Polonia, che passa dall’occupazione dell’esercito tedesco a quella dell’Armata Rossa, i patrioti cercavano di trasmettere alle generazioni future l’esempio dell’eroismo dei combattenti dell’Armia Krajowa o AK, “Esercito Nazionale”, l’esercito segreto di militanti antinazisti prima e anticomunisti poi. In tale clima culturale e politico il giovane Karol viene ordinato il 1° novembre 1946 dal principe Adam Stefan Sapieha (1867-1951), arcivescovo di Cracovia, poi cardinale, che aveva seguito i seminaristi clandestinamente. Nello stesso anno il giovane sacerdote si reca a Roma per approfondire il proprio curriculum di studi e ritorna in Polonia nel 1948, dopo che i comunisti si erano installati al potere, e comincia come viceparroco il suo ministero pastorale, mentre diventa primate della Chiesa polacca colui che incarnerà la resistenza al regime, il card. Stefan Wyszyński (1901-1981), il primate del Millennio. Continua a studiare presso l’Università Jagellonica, quindi insegna nell’Università Cattolica di Lublino, che il regime non fa chiudere ritenendola un innocuo “residuo medioevale”.
Nel 1958 viene consacrato vescovo ausiliare di Cracovia, il più giovane della Polonia. Le modalità dello scontro fra la Chiesa e il regime sono cambiate. Due anni prima, nel 1956, mentre i carri armati sovietici massacravano gli ungheresi reprimendo la rivolta di Budapest, che tanto infiamma gli anticomunisti occidentali ma non produce alcun aiuto autentico agl’insorti da parte dei governi dell’Occidente, in Polonia si verifica una sorta di compromesso. Preoccupato dalle rivolte operaie a Poznań e dall’insofferenza presente nel Paese contro il regime, il segretario comunista Władysław Gomułka (1905-1982) richiama a Varsavia dagli arresti domiciliari il primate Wyszyński, convinto che soltanto la sua autorità avrebbe potuto sedare la rivolta che stava covando. Si determina così una sorta di accordo per cui la Chiesa ottiene la reintroduzione dell’insegnamento della religione come opzione nelle scuole, il ritorno di tutti i vescovi nelle rispettive sedi, la possibilità di aprire propri circoli culturali e anche un piccolo numero di parlamentari cattolici. La situazione migliora ma non si normalizza. Il regime combatte la Chiesa in modo più sofisticato, istituendo una divisione speciale nei propri apparati, mentre la Chiesa approfitta degli spazi senza illudersi. Non ogni compromesso è un tradimento, l’importante è non considerarlo un ideale.
È anche importante conoscere il modo con cui Wojtyła viene eletto dalla Santa Sede alla sede di Cracovia dopo la morte del suo predecessore, il 30 dicembre 1963. Per diciotto mesi il regime comunista aveva rifiutato tutti i candidati, accettando solo l’allora vescovo ausiliare, quando era stato finalmente proposto dal primate, che lo riteneva un poeta, poco adatto a incarichi pastorali. Colui che contribuirà in maniera importante a far cadere il socialismo reale, anni dopo, diventa arcivescovo di Cracovia grazie al partito, che lo ritiene il più malleabile fra i possibili candidati. Sono gli anni del Concilio Vaticano II, a cui Wojtyła partecipa assiduamente, portando un contributo significativo nella stesura della costituzione pastorale Gaudium et spes e nella dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, entrambe del 1965, nonché nei documenti che trattano la vocazione del laico. Nel 1967 diventa cardinale, mentre è già in atto l’Ostpolitik guidata dal card. Agostino Casaroli (1914-1998), alla quale il futuro Pontefice porterà un contributo assolutamente originale.
I servizi segreti dei Paesi comunisti si erano accorti che la previsione di malleabilità riferita all’arcivescovo di Cracovia da parte del partito comunista polacco non aveva fondamento per cui manifestano immediatamente la loro preoccupazione quando, nel 1978, diventa Papa. Da Varsavia parte un rapporto dei servizi polacchi per il KGB, il servizio informazioni e sicurezza dell’Unione Sovietica, nel quale vengono indicate le pericolose caratteristiche dell’anticomunismo del nuovo Pontefice, mentre il grande scrittore russo Aleksandr Isaevič Solženicyn (1918-2008), in esilio nello Stato del Vermont, commenta così l’elezione di Giovanni Paolo II: “È un miracolo! È il primo evento positivo dalla prima guerra mondiale e cambierà la faccia della terra” (p. 117).
La verità di questa affermazione si sarebbe manifestata in occasione del primo viaggio in Polonia del Papa polacco, dal 2 al 10 giugno 1979, che incide profondamente sulla storia del mondo. Il pellegrinaggio apostolico mostra come il nuovo Pontefice intende l’Ostpolitik vaticana, fino ad allora praticata con modesti risultati sotto la regia del card. Casaroli. Papa Giovanni Paolo II non era contrario a instaurare un rapporto diplomatico fra la Santa Sede e i regimi comunisti, ma ciò doveva permettere al Pontefice, contemporaneamente, di rivolgersi direttamente ai popoli soggetti ai regimi comunisti, invitandoli a riflettere sulle rispettive radici culturali, ad amarle e a tenerne conto nelle relazioni umane, convinto che quest’opera di rinascita culturale avrebbe presto o tardi avuto conseguenze anche politiche. Naturalmente questo processo si verifica subito e in maniera clamorosa in Polonia, mentre è più graduale e meno esteso e profondo in altri Paesi comunisti oltre la Cortina di Ferro; comunque tale era la vera Ostpolitik del Pontefice.
Quest’ultima negli anni precedenti aveva ottenuto qualche successo, consentendo di ristabilire le relazioni diplomatiche con la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia e di restaurare la Gerarchia, per esempio a Praga e a Budapest. Ma aveva suscitato diverse critiche, anche fra cardinali, in particolare in Polonia, dove il primate non la vedeva con favore. Forse il risultato più utile per il dissenso, secondo gli stessi dissidenti sovietici — come ricorda la studiosa Marta Dell’Asta in Una via per incominciare. Il dissenso in Urss dal 1917 al 1990 (La Casa di Matriona, Seriate [Bergamo] 2003) —, erano stati gli accordi di Helsinki del 1975, nei quali la Santa Sede aveva avuto una parte importante nel mettere al centro il rispetto dei diritti umani, fra cui quello di professare liberamente la propria religione anche all’interno di uno Stato marxista.
Dal celebre viaggio pastorale in Polonia nasce Solidarność, che è qualcosa di più di un sindacato libero e la cui protesta permette di mostrare al mondo che la classe operaia di un Paese comunista combatte con coraggio contro il regime del “Paese dei lavoratori”. Ciò sarà devastante per il comunismo, anche se era ancora presto per la caduta dei regimi del socialismo reale. Viene infatti il drammatico 1981, nel quale si verificano l’attentato al Pontefice, il 13 maggio, la morte del card. Wyszyński, il 28 maggio, la dichiarazione dello “stato d’assedio” e l’imposizione della legge marziale in Polonia, fra il 12 e il 13 dicembre, da parte del nuovo segretario del partito comunista, generale Wojciech Witold Jaruzelski. Sembra ripetersi il copione del 1956, ma non è così.
Papa Giovanni Paolo II torna ancora in Polonia, nel giugno 1983, e il mese successivo viene abolita la legge marziale. Come ricorda Weigel, è la violenza cieca del regime a favorirne la caduta. Nell’ottobre 1984 viene assassinato don Jerzy Popiełuszko (1947-1984), oggi beato della Chiesa Cattolica, che per un anno era stato la voce del Papa, mantenendo vivo il motivo dominante dei due precedenti pellegrinaggi pontifici, “Vivere nella verità” (p. 193). Lo aveva fatto con le “Messe della patria”, celebrate a Varsavia davanti a decine di migliaia di persone provenienti da tutta la Polonia; e lo aveva fatto in un momento difficile per l’opposizione di Solidarność, costretta a vivere in clandestinità, divisa sul da farsi, confusa in seguito a una situazione di profonda demoralizzazione della società. La sua vita e la sua morte “[…] restituirono l’energia a un popolo demoralizzato” (p. 193). Tre anni dopo, in seguito al terzo viaggio del Papa in Polonia, nel giugno 1987, Solidarność viene legalizzata e si giunge agli Accordi della Tavola Rotonda con il regime per una transizione. In effetti, le elezioni del 4 giugno 1989 sanciscono la vittoria schiacciante del sindacato e il 12 settembre un suo esponente, Tadeusz Mazowieccki, diventava primo ministro. Il regime comunista è finito.
Nella seconda parte dell’opera, dedicata ai cinque ultimi anni del pontificato, Weigel mette in evidenza come il passaggio di Millennio sia sempre stato ritenuto cruciale dal Pontefice, fin dall’inizio ma soprattutto dopo la fase storica dominata dalla Guerra Fredda (1946-1989). Nei capitoli su Il grande giubileo del 2000. Fino a Gerusalemme (pp. 219-257) e Il grande giubileo del 2000. Prendere il largo (pp. 259-295) viene descritta innanzitutto la preparazione in vista del nuovo Millennio, iniziata già nel 1994 con la lettera apostolica Tertio millennio adveniente e quindi con la bolla d’indizione del Giubileo Incarnationis mysterium, del 29 novembre 1998: finalmente, il 24 dicembre 1999, Papa Giovanni Paolo II apre la Porta Santa della basilica di San Pietro.
È un anno ricchissimo di iniziative, com’era ovvio attendersi dal Pontefice, che vuole celebrare il Giubileo con il maggior numero possibile di categorie sociali. In particolare, il 5 marzo ricorda la santità della Chiesa, beatificando 44 martiri della fede, di diversi Paesi, laici, sacerdoti e religiosi. Una settimana più tardi, celebra invece la Giornata del Perdono, nella quale la Chiesa chiede perdono per i comportamenti sbagliati e peccaminosi dei suoi figli nel corso dei secoli. Il gesto incontra lo scetticismo di molti, anche prelati, come il card. Giacomo Biffi, che non poteva certo essere arruolato nella fazione progressista che avversava fin dall’inizio la pastorale del Pontefice. Il Papa ha tenuto conto, secondo Weigel, delle osservazioni del suo amico cardinale, arcivescovo di Bologna, ma ha ritenuto importante questa testimonianza di umiltà e di riconoscimento dei propri errori, perché “come era solito dire a chi si era confessato da lui, la dignità di un uomo aumenta nel momento in cui ci si inginocchia per riconoscere il proprio errore davanti a Dio” (p. 248). Dopo questo gesto parte per il pellegrinaggio nella Terra Santa, dal 20 al 26 marzo 2000.
L’anno giubilare vede altri eventi significativi, fra cui la canonizzazione di Faustina Kowalska (1905-1938), la “segretaria della Divina Misericordia”, una suora di Cracovia alla quale era sempre stato molto devoto, e dal cui Diario (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007) aveva appreso la strategia di Dio di fronte al male. Il 7 maggio celebra al Colosseo una commemorazione ecumenica dei martiri del secolo XX, auspicando che le vittime della comune persecuzione da parte delle ideologie atee favorissero, con la testimonianza fino all’effusione del sangue, il ritorno dei cristiani all’unità, superando le frattura verificatesi con gli ortodossi nel secolo XI e con i protestanti nel secolo XVI.
Nel mese di settembre vengono beatificati insieme i Papi Pio IX (1846-1878) e Giovanni XXIII (1958-1963), per sottolineare la continuità anche di Pontefici indubbiamente differenti o, almeno, diversamente percepiti dall’opinione pubblica, che anche in questa circostanza si sarebbe scandalizzata, nella sua componente intellettuale progressista, per la beatificazione di Pio IX, il Papa del Sillabo e della scomunica verso coloro che avevano strappato con la violenza Roma al potere temporale nel 1870. Ancora in settembre la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblica una dichiarazione assai controversa, la Dominus Jesus, che ribadiva una verità fondamentale della Rivelazione cristiana: l’unicità di Cristo come Salvatore. Weigel riporta diversi esempi d’intellettuali, di giornalisti e anche di cristiani delle diverse confessioni, che non compresero come sia normale che la salvezza di chi viene salvato da Dio passi attraverso il suo unico corpo, la Chiesa, anche se il beneficiato non ne è consapevole, “perché se Gesù è Signore, vero Dio e vero uomo, egli è il Signore di tutti, non solo di chi riconosce la sua signoria” (p. 284).
L’anno successivo al Duemila — che dà inizio a Il turbinio della storia. 2001-2002 (pp. 297-351) — viene ricordato per le tremila e più persone assassinate a New York nell’atto terroristico contro le Torri Gemelle, abbattute da due aerei, e per il contemporaneo attacco al Pentagono, colpito da un terzo aereo. Questo atto terroristico fa capire che la storia del mondo, dopo il 1989 e la fine della Guerra Fredda, non si è fermata in una placida valle paradisiaca dove ogni problema si sarebbe potuto facilmente risolvere, ma al contrario si sta verificando un complesso “scontro di civiltà” fra culture e religioni differenti, che fino al 1989 erano state subordinate al grande conflitto internazionale fra l’Impero del Male, come era stato definito dal presidente degli Stati Uniti d’America Ronald Reagan (1911-2004), e il mondo occidentale.
Nel nuovo scenario internazionale, che si presenta come “nuovo disordine mondiale” (p. 317), Papa Giovanni Paolo II continua la sua missione nonostante l’aggravarsi della malattia, il morbo di Parkinson, e l’incrudelirsi della guerra al terrorismo, con le guerre prima in Afghanistan, poi in Iraq. Ma è il male dentro la Chiesa che probabilmente colpisce di più il Pontefice e i cattolici più attenti e sensibili: lo scandalo della pedofilia esplode infatti con la massima visibilità nella Quaresima del 2002, portando alla luce abusi sessuali di sacerdoti e di religiosi, negli Stati Uniti d’America, mal gestiti dalle autorità ecclesiastiche ed enfatizzati dai mezzi di comunicazione con la chiara volontà delle forze ostili alla Chiesa Cattolica di affondare il corpo di Cristo o, almeno, di assestargli un colpo rovinoso.
La valle che si fa oscura. 2003-2004 (pp. 353-417) è il titolo del capitolo dedicato agli ultimi anni di pontificato. È difficile sapere se il tema dell’eucaristia sia stato consapevolmente riservato a quegli anni, quasi a volervi attribuire la massima importanza. Il fatto è che il Papa pubblica il 17 aprile 2003 la sua quattordicesima e ultima enciclica, Ecclesia de Eucharistia, appunto nel corso dell’Anno dell’Eucaristia, che si svolge dall’ottobre del 2004 all’ottobre del 2005. Ma il suo pontificato missionario non si ferma: nel corso dell’anno visita la Spagna, la Croazia, la Bosnia Erzegovina e la Slovacchia, mentre nel 2004 è in Svizzera. Inoltre pubblica, il 28 giugno 2003, l’esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Europa, che fa seguito al Sinodo sull’Europa del 1999, e la Pastores gregis, del 16 ottobre, frutto della decima Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dedicato nel 2001 proprio alla figura del vescovo. Nel 2004 pubblica l’opera autobiografica Alzatevi, andiamo! (Mondatori, Milano 2004), che nasce dalla propria esperienza di vescovo, e la lettera apostolica Mane nobiscum Domine, del 7 ottobre, per l’apertura dell’Anno dell’Eucaristia.
Infine, la testimonianza straordinaria di un “uomo del dolore” che non smette fino all’ultimo respiro di portare a compimento il compito che Dio gli ha affidato. I ricoveri al Policlinico Gemelli, l’impossibilità di parlare alla folla radunata in piazza San Pietro la Domenica delle Palme, di partecipare alla Via Crucis del Venerdì Santo 25 marzo e di benedire i pellegrini, ancora durante la domenica di Pasqua, non fanno altro che accrescere la devozione verso questo Pontefice che conquista i cuori dei molti che accompagnano la sua agonia, così come verrà confermato dalla straordinaria presenza di milioni di persone, soprattutto giovani, al suo funerale. Ne L’ultima enciclica. Gennaio-aprile 2005 (pp. 419-448) Weigel descrive con il suo stile semplice e coinvolgente queste ultime fasi della vita del Papa, che muore il 2 aprile.
A conclusione l’opera propone una sorta di analisi della personalità del Papa alla luce delle virtù teologali e cardinali — Dal di dentro, pp. 449-478 —, dove l’autore esamina successi e sconfitte del pontificato alla luce di quella grande speranza che Giovanni Paolo II aveva coltivato e seminato con la sua vita. “[…] la sua speranza si fondava sulla fede pasquale secondo cui il disegno di Dio si sarebbe alla fine attuato” e quindi “non pretendeva di vedere risultati immediati nella storia: da quella speranza prendeva forma l’umiltà per cui era contento di piantare il seme, certo che altri avrebbero raccolti i frutti” (p. 457).
Infine, nonostante l’esiguità del tempo trascorso dalla morte di Giovanni Paolo II, lo studioso nordamericano tenta il Bilancio di un pontificato (pp. 479-577), riprendendo tutti i temi caratteristici del Magistero, da lui analizzati in questa opera e nella precedente. Ne viene fuori un’analisi non breve, nella quale sono esaminati gl’indubbi successi del pontificato, il più lungo della storia dopo quelli di san Pietro e di Pio IX (1846-1878), ma anche le difficoltà, i temi non affrontati e i veri e propri insuccessi.
L’opera si conclude con una Bibliografia (pp. 579-592), con i Ringraziamenti (pp. 593-597) e con un Indice analitico (pp. 599-621).
Marco Invernizzi