Il 19 gennaio 2001, a Saint-Marcel-d’Ardèche, nel Midi di Francia, è scomparso, quasi centenario, lasciando tre figli e nipoti, Gustave Thibon. Ed è scomparso nello stesso luogo in cui era nato il 2 settembre 1903, figlio e nipote di contadini. In occasione delle esequie il vescovo diocesano, S. E. mons. François Blondel, ordinario di Viviers, ha — fra l’altro — affermato in un messaggio che “la Chiesa di Francia gli è riconoscente” e, dopo averne citato due pensieri — “Porto in me dei morti più viventi dei viventi. Il mio più grande desiderio è di reincontrarli” e “Mio Dio, al momento della mia morte prendetemi come m’avete fatto e come mi sono disfatto, e abbiate pietà in me della Vostra immagine” —, ha auspicato “che il Signore della speranza esaudisca questa duplice preghiera”.
Testimone eminente del secolo XX, è stato definito “il filosofo-contadino”, in quanto autodidatta e vignaiolo almeno fino agli anni 1950. Tornato a venticinque anni alla fede cattolica dalla quale si era allontanato nel corso dell’adolescenza, compie studi di filosofia e di storia del pensiero ed è profondamente segnato — anche attraverso un rapporto dialettico — dallo stoicismo classico, da san Tommaso d’Aquino (1225 ca.-1274), da san Giovanni della Croce (1542-1591) e da Friedrich Nietzsche (1844-1900), nonché dall’amicizia con Jacques Maritain (1882-1973), con Marcel de Corte (1905-1994), con Gabriel-Honoré Marcel (1889-1973) e con Simone Weil (1909-1943). Con la Weil Thibon intesse un profondo dialogo spirituale: ebrea e trotzkysta, “filo-cristiana” ma mai convertitasi alla fede cattolica, ella deve al filosofo-contadino non solo la propria incolumità negli anni del secondo conflitto mondiale, ma anche, grazie alla pubblicazione postuma dei diari, l’ingresso nella vita culturale. Del sodalizio è testimonianza il volume Simone Weil come l’abbiamo conosciuta (trad. it., con una prefazione di Franco Ferrarotti, Àncora, Milano 2000), pubblicato a Parigi nel 1952 dal padre domenicano Joseph-Marie Perrin e dallo stesso Thibon.
Riflettendo con profondità e con semplicità non comuni su temi quali Dio, l’amore e la morte, Thibon è fra i più acuti critici del “mondo in frantumi” della modernità filosofica, al quale oppone la Croce di Cristo che sola salva, apprezzata pure nei suoi risvolti culturali, politici e sociali, e incarnatasi in una tradizione bimillenaria di cui Thibon impara progressivamente a riconoscersi come figlio.
Conferenziere brillante, è autore di numerosi saggi, articoli e interventi, talora raccolti in volumi a più mani. In lingua italiana sono stati editi, fra altri: Quel che Dio ha unito. Saggio sull’amore (Società Editrice Siciliana, Mazara del Vallo [Trapani] 1947); La scala di Giacobbe (Anonima Veritas, Roma 1947); Nietzsche o il declino dello spirito (Edizioni Paoline, Alba [Cuneo] 1963); e L’uomo maschera di Dio (SEI, Torino 1971).
Le sue opere più significative e più note sono Diagnostics. Essai de physiologie sociale, uscita nel 1940 con prefazione di Marcel, e il suo “seguito” Retour au réel. Nouveaux diagnostics, del 1943. A questi due scritti è principalmente legata la “fortuna” italiana di Thibon. Il primo, pubblicato a Brescia nel 1947 dalla Morcelliana con il titolo Diagnosi. Saggio di fisiologia sociale, viene ritradotto e riproposto nel 1973 a Roma, con il medesimo titolo, dall’editore Giovanni Volpe (1906-1984), facendo seguito alla prima edizione italiana di Ritorno al reale. Nuove diagnosi, del 1972.
La pubblicazione di quest’ultimo testo in Italia è frutto del rapporto culturale e spirituale nato, e negli anni sviluppatosi, fra il filosofo transalpino e Alleanza Cattolica, per la formazione dei cui militanti Thibon ha svolto e svolge un ruolo di autore di riferimento.
Le due opere sono state riproposte nel 1998 in un unico volume, Ritorno al reale. Prime e seconde diagnosi in tema di fisiologia sociale, con una premessa di Marco Respinti (Effedieffe, Milano).