Mons. Marcel Lefebvre, Cristianità, 3 (1974)
San Paolo: “Non c’è autorità che non venga da Dio”
In una allocuzione pubblica dell’ottobre 1966, il Santo Padre Papa Paolo VI metteva in guardia circa l’interpretazione erronea di certe affermazioni del Concilio relative alla dignità della persona umana, interpretazione che condurrebbe al rifiuto dell’autorità e al disprezzo dell’obbedienza.
I fatti che manifestano le conseguenze di queste false interpretazioni sono tanto numerosi in questo periodo post-conciliare da giustificare ampiamente i timori del Santo Padre. Non siamo forse turbati da aperte rivolte di alcuni gruppi di Azione Cattolica contro i loro vescovi, di seminaristi contro i loro superiori, di preti, di religiosi, di religiose che manifestano un atteggiamento di disprezzo verso l’autorità e ne rendono impossibile l’esercizio?
La dignità umana, l’esaltazione della coscienza personale divenuta regola suprema della moralità, i carismi personali, sono i pretesti per ridurre l’autorità a un principio d’unità senza potere alcuno. Come non accostare questo fermento, preludio di ribellione, al libero esame che è stato la fonte delle grandi calamità degli ultimi secoli?
Ci pare più che mai opportuno ristabilire la vera nozione di autorità, e a questo fine mostrarne i benefici voluti dalla Provvidenza nelle due società naturali di diritto divino che hanno quaggiù su ciascun individuo un’influenza primordiale: la famiglia e la società civile.
NATURA DELL’AUTORITÀ
Ci pare opportuno ricordare che l’autorità è la causa formale della società. È proprio della sua natura, dunque, dirigere e orientare tutto quanto concorre al fine della società, vale a dire al bene comune di tutti i suoi membri. Poiché i membri di una società sono esseri intelligenti, l’autorità li condurrà verso il loro fine comune con direttive o leggi, veglierà alla loro applicazione e punirà quanti vi si oppongono.
Il soggetto dell’autorità potrà essere designato in diversi modi, ma il potere di questo soggetto, cioè la facoltà di dirigere altri esseri umani, non può essere altro che una partecipazione all’autorità di Dio. Poiché le società sono molteplici, i regolamenti riguardanti l’esercizio dell’autorità potranno essere molto diversi, ma non potranno mai far sì che l’autorità non sia di origine divina: “Non c’è autorità che non venga da Dio” (1). “Tu non avresti su di me nessun potere, se non ti fosse stato dato dall’Alto“, dice Nostro Signore a Pilato (2).
Nel suo Trattato di filosofia, Jolivet così ci descrive la fonte prima dell’autorità: “Dio solo ha il diritto assoluto di comandare, perché un tale diritto, che consiste nell’obbligare le volontà, non può appartenere ad altri che a colui il quale dona l’essere e la vita. Dicevamo appunto che Dio è il Diritto vivente, perché egli è il principio primo di tutto ciò che è. Da ciò deriva che ogni autorità, in qualsiasi società, non può essere esercitata se non a titolo di delegazione di Dio” (3).
Poiché l’autorità ha per fine il bene comune dei membri e i membri stessi desiderano ottenere questo bene di loro propria determinazione, non vi dovrebbe mai essere urto tra l’autorità e i membri che perseguono lo stesso fine. Non vi dovrebbe essere di per sé opposizione tra il capo e il suddito, tra l’autorità e la libertà.
Vi è urto o disaccordo perché l’autorità non ricerca più il vero bene comune o perché il suddito prepone il suo bene personale al vero bene comune. Fino a prova contraria, l’autorità legittima e prudente è giudice del bene comune e i membri devono sottomettersi a priori a questo giudizio. Preporre il giudizio personale a quello dell’autorità legittima significa distruggere la società. Sottomettersi alle direttive dell’autorità legittima significa esercitare la virtù d’obbedienza di cui Nostro Signore ci ha dato un esempio commovente sacrificando per obbedienza anche la vita, “oboediens usque ad mortem“.
San Pio X scrive: “Non ha forse bisogno ogni società formata di creature indipendenti e dissimili per natura, di una autorità che diriga la loro attività verso il bene comune e che imponga la sua legge? […] possiamo forse affermare, con un minimo di ragione, che vi è incompatibilità fra autorità e libertà, a meno che non ci si sbagli grandemente sul concetto di libertà? Si può forse insegnare che l’obbedienza è contraria alla dignità umana e che sarebbe l’ideale sostituirla con “l’autorità acconsentita”? Forse che l’apostolo Paolo non guardava all’umana società e a tutte le sue tappe possibili, quando prescriveva ai fedeli di essere sottomessi ad ogni autorità? […] Forse che lo stato religioso fondato sull’obbedienza è contrario all’ideale della natura umana? I santi, che sono stati gli uomini più obbedienti, furono forse degli schiavi e dei degenerati? […]” (4).
È dunque evidente che l’autorità è la chiave di volta di ogni società.
BENEFICI DELL’AUTORITÀ NELLA SOCIETÀ FAMILIARE
Se vi è un periodo della vita umana durante il quale l’autorità ha una parte considerevole, è proprio quello che va dalla nascita alla maggiore età. La famiglia è una meravigliosa istituzione divina in seno alla quale l’uomo riceve l’esistenza, ma un’esistenza talmente limitata che gli necessiterà un lungo periodo d’educazione, impartita anzitutto dai genitori, poi da quanti vi concorrono con i genitori.
Il bambino dal padre e dalla madre riceve tutto: nutrimento corporale, intellettuale, religioso, educazione morale e sociale. Essi si fanno aiutare da maestri, che, nello spirito dei bambini, partecipano dell’autorità dei genitori. Sia attraverso la mediazione dei maestri, sia attraverso quella dei genitori, la scienza che il bambino acquisisce è molto più una scienza appresa, ricevuta, accettata, che una scienza acquisita con l’intelligenza, l’evidenza dei giudizi e dei ragionamenti. Il giovane studente crede ai suoi genitori, ai suoi maestri, ai suoi libri, e così le sue conoscenze si estendono, si moltiplicano con una certezza perfettamente legittima. La sua scienza propriamente detta, quella che può documentare il suo sapere, è molto limitata. Se si pensa all’infanzia e alla giovinezza, nell’umanità di oggi e di ieri, si constata che la trasmissione delle conoscenze fa appello molto di più all’autorità che trasmette che non all’evidenza personale della scienza acquisita.
Certamente, se si tratta di studi superiori, la gioventù acquisisce conoscenze più personali e si sforza di conoscere le discipline studiate come le conoscono i suoi maestri. Ma l’abbondanza delle conoscenze oggi richieste permette allo studente di verificare fino al fondo le prove e le esperienze? D’altronde, scienze come la storia, la geografia, l’archeologia, le arti non possono che riposare sulla fede negli insegnanti e nei libri. Se si tratta delle conoscenze religiose, della pratica della religione, dell’esercizio della morale conforme alla religione, alle tradizioni, ai costumi, questo è ancor più vero che per le altre scienze! Gli uomini generalmente vivono secondo la religione che hanno ricevuto dai genitori, soprattutto se si tratta di una religione rivelata, fondata sull’autorità. La conversione a un’altra religione trova un’enorme ostacolo nella rottura con la religione ancestrale. Un essere umano rimane sempre sensibile al richiamo della religione materna.
Questa educazione segnata dalla famiglia, dall’esempio dei maestri che completano l’educazione familiare, ha un’influenza considerevole nella vita umana. Niente sopravvive tanto nell’individuo quanto le sue tradizioni familiari. Questo è vero su tutta la superficie del globo.
Questa straordinaria influenza della famiglia e dell’ambiente educatore è provvidenziale. Essa è voluta da Dio. È normale che i bambini mantengano la religione dei loro genitori, così come è normale che se si converte il capo famiglia, si converta tutta la sua famiglia. Ne danno esempio frequentemente il Vangelo e gli Atti degli Apostoli.
Dio ha voluto che i Suoi benefici si trasmettano agli uomini anzitutto attraverso la famiglia. Perciò ha concesso al padre di famiglia quella grande autorità, che gli conferisce un potere immenso sulla società familiare, sulla sua sposa, sui suoi figli. Più i beni da trasmettere sono grandi, più è grande l’autorità. Il bambino alla nascita è tanto debole, così imperfetto, si potrebbe dire così incompleto, che se ne può dedurre la necessità assoluta della continuità del focolare, della sua indissolubilità.
Esaltare la personalità e la coscienza personale del bambino a detrimento dell’autorità familiare, significa fare il male dei figli, spingerli alla rivolta, al disprezzo dei genitori, mentre è promessa la longevità a coloro che onorano i loro genitori. Certamente san Paolo domanda ai padri di non provocare la collera dei loro figli, ma aggiunge di educarli nella disciplina e nel timore del Signore (5).
Ci si allontana dalla via stabilita da Dio se si sostiene che la verità da sola, per forza e luce propria, debba indicare agli uomini la vera religione. In realtà Dio ha previsto che la religione si trasmetta attraverso i genitori e testimoni degni della fiducia di coloro che li ascoltano. Se si dovesse attendere d’avere l’intelligenza della verità religiosa per credere e convertirsi, al momento attuale vi sarebbero solo pochissimi cristiani. Si crede alle verità religiose perché i testimoni sono degni di credito per la loro santità, il loro disinteresse, la loro carità. Si crede alla religione vera perché soddisfa i desideri profondi di un’anima umana retta: in particolare dando a essa una madre divina, Maria, un padre visibile, il Papa, un nutrimento celeste, l’Eucarestia. Nostro Signore non ha chiesto a coloro che ha convertito se capivano, ma se credevano. Quindi la fede viva dà l’intelligenza, come dice sant’Agostino.
È evidente che, nel caso della società familiare prevista dalla carità di Dio per il primo periodo di ogni vita umana, i benefici dell’autorità sono immensi, indispensabili e la via più sicura per una educazione completa che prepara alla vita adulta nella società civile e nella Chiesa. Va da sé che non dimentichiamo l’aiuto considerevole apportato dalla Chiesa alla famiglia, aiuto indispensabile alla vita cristiana e alla perfezione umana.
Ma viene il momento in cui la famiglia si eclissa e dà il cambio alle due società, la società civile e la Chiesa, perché è evidente che, anche educato, l’essere umano è incapace di perseguire la sua,vocazione senza l’aiuto dell’una e dell’altra.
BENEFICI DELL’AUTORITÀ NELLA SOCIETÀ CIVILE
Si può infatti affermare che l’uomo, giunto alla sua maggiore età, non ha più bisogno di aiuti per continuare a progredire nelle sue conoscenze, a conservarsi nella virtù e a svolgere il suo ruolo nella società? Se la famiglia ha finito la sua funzione essenziale, è chiaro che la società civile e la Chiesa rimangono i mezzi normali per dargli, questa i mezzi spirituali, quella l’ambiente sociale favorevole a una vita virtuosa e orientata verso il fine ultimo al quale tutto quaggiù è ordinato dalla Provvidenza divina.
A questo punto bisogna ricordare, con l’insegnamento tradizionale della Chiesa e con tutti i Papi del secolo scorso, che lo Stato, la società civile, ha un ruolo considerevole da svolgere verso i cittadini per aiutarli e incoraggiarli nella fede e nella virtù. Non si tratta assolutamente di costrizione nell’atto di fede, non si tratta di coazione sulla coscienza della persona nei suoi atti interni e privati. Si tratta del ruolo naturale della società civile voluto da Dio per aiutare gli uomini a raggiungere il loro fine ultimo.
“Di fatto l’umana società – dice Papa Leone XIII -, o si consideri nelle parti che la compongono, o nell’autorità che n’è il principio formale, o nello scopo a cui è ordinata, o nei grandi vantaggi che all’uomo ne provengono, non può dubitarsi che essa è da Dio” (6).
A sua volta Pio XI afferma: “[…] Dio ha […] ordinato l’uomo anche alla società civile, richiesta dalla sua stessa natura. Nel piano del Creatore la società è un mezzo naturale, di cui l’uomo può e deve servirsi per il raggiungimento del suo fine […]” (7); e altrove: “[…] i Principi e i governanti, avendo ricevuto la potestà da Dio affinché con l’opera loro si sforzino, ciascuno nei limiti della propria autorità, ad attuare i disegni della divina Provvidenza, cooperando con essa, […] non solo non debbono fare o ordinare cosa alcuna la quale possa riuscire in detrimento delle leggi della giustizia e della carità cristiana, ma anzi debbono rendere ai sudditi più agevole la via a conoscere e a conseguire beni non caduchi” (8).
Anche Pio XII dice: “Dalla forma data alla società, consona o no alle leggi divine, dipende e s’insinua anche il bene o il male nelle anime, vale a dire, se gli uomini, chiamati tutti ad esser vivificati dalla grazia di Cristo, nelle terrene contingenze del corso della vita respirino il sano e vivido alito della verità e della virtù morale o il bacillo morboso e spesso letale dell’errore e della depravazione” (9).
Il p. Jolivet conclude il suo studio sull’origine del potere nella società civile in un modo chiarissimo: “Qualunque punto di vista si adotti circa la causa efficiente della realtà sociale, la dottrina dell’origine naturale della società implica il principio essenziale che la società politica, riunendo in modo permanente, in vista del bene comune temporale, i gruppi particolari di famiglie e di individui, è un’istituzione voluta da Dio, autore della natura, o, in altri termini, che essa è di diritto divino naturale” (10).
L’autore completa l’argomento spiegando il fine dello Stato: “Per “felicità temporale” non bisogna intendere semplicemente la prosperità materiale od economica. […] Ciò significa […] diminuire grandemente la funzione generale dello Stato e farsi della felicità temporale un’idea materialistica. La felicità temporale, in realtà, dipende in gran parte dalle virtù intellettuali e morali dei cittadini, dalla moralità pubblica, dell’incremento delle lettere e delle arti, vale a dire dal felice sviluppo di tutte le attività spirituali e morali dell’uomo, ed innanzitutto dalla vita religiosa della nazione. […] Tale compito ha un aspetto negativo ed uno positivo” (11).
Dobbiamo insistere sul legame intimo della funzione temporale dello Stato con la religione. In ciò è la chiave di numerosi problemi che preoccupano oggi i governi e la Chiesa stessa: problemi di giustizia sociale, problemi della fame, della pace, problemi della regolamentazione delle nascite, ecc.. Trattare questi problemi al di fuori di una concezione cattolica della città è illusorio: si cercherà di calmare momentaneamente qualche disordine, si risolverà qualche problema locale, ma non si giungerà alla radice delle piaghe dell’umanità. Bisogna dire e ridire quello che la Chiesa ha sempre proclamato: la soluzione dei problemi sociali è nel Regno sociale di Nostro Signor Gesù Cristo come ci è insegnato dal Vangelo e dal Magistero della Chiesa. “Senza di me non potete far niente” dice Nostro Signore (12).
È sufficiente enumerare le piaghe sociali attuali per accorgersi rapidamente che hanno la loro origine nell’ignoranza o nella negazione della vera giustizia sociale e della morale familiare e individuale. E quando questa ignoranza o questa negazione si esprime nella legislazione, il male diventa permanente e a livello di tutta la nazione.
Voler instaurare una giustizia sociale tra i dipendenti e i datori di lavoro senza i principi della giustizia cristiana, significa giungere al capitalismo totalitario che tende all’egemonia finanziaria e tecnocratica mondiale o al totalitarismo comunista. Fare del benessere materiale il solo fine della società civile e dell’attività sociale significa andare rapidamente verso la decadenza intellettuale e morale.
Nel caso del matrimonio e di tutto ciò che lo concerne, solo la dottrina cattolica preserva realmente questa istituzione, base stessa della società civile che, di conseguenza, è a essa interessata a un grado elevatissimo. Divorzio, limitazione delle nascite, contraccezione, omosessualità, poligamia … sono piaghe mortali per lo Stato. Solo la Chiesa vi apporta i veri rimedi.
Le relazioni sociali tra amministratori e amministrati, tra lo Stato e i cittadini, il vero amor di patria, le relazioni internazionali sono intimamente e profondamente dipendenti dalla concezione della morale sociale. Solo la religione cattolica vi apporta i principi di giustizia, di equità, di coscienza professionale, di dignità umana, conformi alla vita sociale come Dio l’ha voluta e la vuole sempre.
L’educazione e i mezzi di comunicazione sociale che oggi la completano e la continuano, hanno legami molto stretti con i costumi onesti, con la virtù e il vizio e di conseguenza con la vera religione.
È prova di ignoranza, o di finta ignoranza, non voler constatare che tutte le religioni, a eccezione di quella vera, la religione cattolica, portano con sé un seguito di tare sociali, che sono la vergogna dell’umanità: si pensi al divorzio, alla poligamia, alla contraccezione, all’unione libera ecc., per quanto concerne la famiglia; si pensi inoltre, nel campo stesso dell’esistenza della società, alle due tendenze che la rovinano: una tendenza rivoluzionaria, distruttrice dell’autorità, tendenza demagogica, fermento di continui disordini, frutto del libero esame, e una tendenza totalitaria e tirannica che fa del partito o della persona al potere il fondamento del diritto. La storia degli ultimi secoli è una dimostrazione lampante di questa realtà.
È dunque inconcepibile che i governi cattolici si disinteressino della religione o che ammettano per principio la libertà religiosa in campo pubblico. Significherebbe misconoscere e il fine della società, l’estrema importanza della religione in campo sociale, e la differenza fondamentale tra la vera religione e le altre in campo morale, elemento capitale per il raggiungimento del fine temporale dello Stato.
Questa è la dottrina insegnata da sempre nella Chiesa. Essa conferisce alla società una funzione capitale nell’esercizio della virtù dei cittadini, dunque indirettamente nel raggiungimento della loro salvezza eterna. Ora, la fede è la virtù fondamentale che condiziona le altre. Dunque fa parte dei doveri dei governi cattolici proteggere la fede e conservarla, favorendola soprattutto nel settore dell’educazione.
Non si insisterà mai troppo sulla funzione provvidenziale dell’autorità dello Stato per aiutare e sostenere i cittadini nel conseguimento della loro salvezza eterna. Ogni creatura è stata ordinata e resta ordinata a questo fine sulla terra. Le società, famiglia, Stato, Chiesa, ciascuna al loro posto, sono state create da Dio in vista di questo fine. Non si può negare che la storia delle nazioni cattoliche, la loro conversione alla fede cattolica, manifesta la funzione provvidenziale dello Stato a tal punto che si deve legittimamente affermare che la sua partecipazione alla salvezza eterna dell’umanità è capitale, se non preponderante. L’uomo è debole, il cristiano è vacillante. Se tutto l’apparato e il condizionamento sociale dello Stato sono laici, atei, areligiosi, ancor più se persecutori della Chiesa, nessuno oserà dire che sarà facile per i non cattolici convertirsi e per i cattolici restare fedeli. Oggi più che mai, con i mezzi moderni di comunicazione sociale, con i rapporti sociali che si moltiplicano, lo Stato ha un’influenza considerevole sul comportamento dei cittadini, sulla loro vita interiore ed esterna, di conseguenza sul loro atteggiamento morale e in definitiva sul loro destino eterno. Questo è tragicamente vero soprattutto per coloro che intellettualmente, moralmente ed economicamente sono più deboli.
Sarebbe criminale incoraggiare gli Stati cattolici a laicizzarsi, a disinteressarsi della religione, a lasciare che si diffondano, considerandoli indifferenti, l’errore e l’immoralità, e, sotto il falso pretesto della dignità umana, a introdurre un fermento dissolvitore della società. Una libertà religiosa eretta in diritto pubblico in nome di un sedicente diritto naturale, un’esaltazione della coscienza individuale che giunga fino a legittimare l’obiezione di coscienza, sono evidentemente contrari al bene comune. È quanto il Magistero tradizionale della Chiesa ha sempre insegnato come una dottrina immutabile.
Il Papa Pio XII diceva: “La sovranità civile, di fatti, è stata voluta dal Creatore […], perché […] rendesse più agevole alla persona umana, nell’ordine temporale, il conseguimento della perfezione fisica, intellettuale e morale e l’aiutasse a raggiungere il fine soprannaturale” (13).
Così, sia che si tratti dell’autorità della famiglia che dell’autorità dello Stato o della Chiesa, non si può che ammirare il disegno della Provvidenza, della Paternità divina che, per mezzo di queste autorità, ci dona l’esistenza, la vita soprannaturale, l’esercizio della virtù e in definitiva la perfezione e la santità.
L’autorità in realtà è una partecipazione all’Amore divino che si espande e si diffonde per virtù propria. L’autorità non ha altra ragione di essere che quella di diffondere questa Carità divina che è Vita e Salvezza. Ma questa Carità è di sua natura esigente. Infatti, l’Amore divino non può volere che il Bene e il Bene Supremo, che è Dio. Dio, donandoci la Vita che è una partecipazione al suo Amore, ci orienta decisamente dirigendola verso il Bene. Egli ci obbliga, ci lega con il suo Amore al Bene e alla virtù. Egli ci trasmette l’orientamento del suo Amore attraverso le sue leggi. Ce ne comanda l’esecuzione e ci minaccia se rifiutiamo il suo Amore che è il nostro Bene.
Così è per le autorità. Ogni legislazione legittima è veicolo dell’Amore divino, ogni applicazione di questa legislazione non è altro che l’espressione dell’Amore divino nei fatti, negli atti e quindi una acquisizione di virtù. Queste leggi si indirizzano alla nostra intelligenza e alla nostra volontà, che purtroppo possono rifiutare di essere i veicoli dell’Amore di Dio. Tali rifiuti richiameranno sanzioni su coloro che in questo modo ostacolano l’Amore, la Vita e il Bene e in definitiva Dio. Non si può infatti, concepire l’autorità senza i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Queste tre manifestazioni trovano la loro sintesi nell’Amore divino che porta in sé stesso la sua manifestazione, il suo esercizio e la sua sanzione.
Per concludere queste considerazioni assai incomplete sulla grandezza dell’autorità nei disegni di Dio, possiamo far nostri i sentimenti di san Paolo e dire con lui: “Piego perciò le mie ginocchia dinanzi al Padre, da cui ogni famiglia, sia nei cieli che sulla terra deriva” (14).
+ MARCEL LEFEBVRE
già Arcivescovo-Vescovo di Tulle
Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X
Note:
(1) Rom. 13, 1.
(2) Gv. 19, 11.
(3) P. RÉGIS JOLIVET, Trattato di filosofia, trad. it., Morcelliana, Brescia 1960, vol. V, n. 329.
(4) SAN PIO X, Lettera apostolica Notre charge apostolique, del 25-8-1910 in La pace interna delle nazioni, Insegnamenti pontifici con introduzione e indici sistematici a cura dei monaci di Solesmes, trad. it., 2ª ed., Edizioni Paoline, Roma 1962, p. 280.
(5) Cfr. Ef. 6, 4.
(6) LEONE XIII, Enciclica Libertas, del 20-6-1888, in La pace interna delle nazioni, cit., p. 161.
(7) PIO XI, Enciclica Divini Redemptoris, del 19-3-1937, in Quello che i Papi dicono del comunismo, a cura di Salvatore Manna O.P. e di P. Reginaldo Iannarone O.P., Edizioni domenicane Italiane, Napoli 1967, p. 52.
(8) IDEM, Enciclica Ad salutem, del 20-4-1930, in La pace interna delle nazioni, cit., p. 369.
(9) PIO XII Radiomessaggio per il 50º della Rerum novarum, dell’1-6-1941, in Grandi Encicliche Sociali, a cura di p. Reginaldo Iannarone O.P., 6ª ed. ampliata rifatta e aggiornata, Edizioni Domenicane Italiane, Napoli 1972, p. 208.
(10) P. RÉGIS JOLIVET, Trattato di filosofia, cit., vol. V, n. 370.
(11) IDEM, ibidem, n. 407.
(12) Gv. 15, 5.
(13) PIO XII, Enciclica Summi pontificatus, in La pace interna delle nazioni, cit., p. 432.
(14) Ef. 3, 14-15.