GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai Vescovi canadesi dell’Ontario in visita ad limina, del 4-5-1999, nn. 1-3, in L’Osservatore Romano, 5-5-1999. Traduzione dall’originale inglese e titolo redazionali.
Come in altri momenti significativi della sua storia, la Chiesa è sottoposta a giudizio; sarà giudicata in base al fatto che riesca o meno a riconoscere e a rispondere alle esigenze di questa “ora di grazia”.
L’Esortazione [Apostolica Ecclesia in America] osserva che “l’evangelizzazione della cultura urbana costituisce una sfida formidabile per la Chiesa, che come per secoli seppe evangelizzare la cultura rurale, così è chiamata oggi a portare a compimento un’evangelizzazione urbana metodica e capillare” (n. 21). Quanto i Padri Sinodali hanno auspicato è stata proprio l’evangelizzazione che ho descritto come “nuova nell’ardore, nei metodi, nell’espressione” (Discorso all’Assemblea del CELAM, 9-3-1983, III) e tale evangelizzazione è certamente richiesta all’alba del terzo millennio cristiano, in particolare nei grandi centri urbani dove vive attualmente una percentuale crescente della popolazione. Come hanno osservato i Padri Sinodali, in passato la Chiesa in Europa e altrove è riuscita a evangelizzare la cultura rurale, ma questo non è più sufficiente. Ora si profila un nuovo e grande compito ed è impensabile che falliamo nell’evangelizzazione delle città. “Colui che vi chiama è fedele, e farà tutto questo!” (1 Ts. 5, 24).
Il fenomeno delle megalopoli esiste da molto e la Chiesa non ha indugiato nel considerare il modo migliore per reagire. Nella sua Lettera Apostolica del 1971, Octogesima adveniens, Papa Paolo VI osservò quale grande sfida alla saggezza, all’immaginazione e alla capacità organizzativa dell’uomo fosse l’urbanizzazione irreversibile e crescente (cfr. n. 10). Sottolineò in che modo l’urbanizzazione in una società industriale sconvolgesse i modi tradizionali e le strutture di vita causando negli uomini “[…] una nuova solitudine […] in una folla anonima […] in mezzo alla quale si sentono stranieri” (ibidem). Essa produce anche quanto il Papa chiamò “nuovi proletariati” (ibidem), nelle periferie delle grandi città, “cintura di miseria che già assedia in una protesta ancora silenziosa il lusso troppo sfacciato delle città consumistiche e sovente scialacquatrici” (ibidem). Sorge in tal modo una cultura di discriminazione e d’indifferenza che “fomenta nuove forme di sfruttamento e di dominio” (ibidem) che minano profondamente la dignità dell’uomo. Questa non è tutta la verità circa le moderne megalopoli, ma ne è una parte cruciale e lancia alla Chiesa, in particolare ai suoi Pastori, una sfida ineludibile. È vero che l’urbanizzazione offre nuove opportunità, crea nuovi modi di comunità, stimola molte forme di solidarietà, ma “nella lotta contro il peccato” (Eb. 12, 4) è spesso il lato oscuro dell’urbanizzazione a occupare la vostra immediata attenzione pastorale.
Negli anni a partire dal 1971, la verità delle osservazioni di Papa Paolo VI è divenuta più evidente, man mano che il processo di urbanizzazione è andato avanti ed è aumentato. I Padri Sinodali hanno osservato che la migrazione delle persone verso le città è causata il più delle volte dalla povertà, dalla mancanza di opportunità e dai servizi carenti delle aree rurali (cfr. Ecclesia in America, n. 21). L’attrazione aumenta sempre più perché le città promettono occupazione e divertimento e sembrano essere la risposta alla povertà e alla noia quando, di fatto, esse generano nuove forme di entrambe.
Per molte persone, in particolare i giovani, la città diventa un’esperienza di sradicamento, di anonimato e di disuguaglianza, con conseguente perdita di identità e del senso della dignità umana. Il risultato è spesso la violenza che ora segna così tante grandi città […]. Al centro di questa violenza vi è un nucleo di protesta generata da una profonda delusione: la città promette così tanto e dà così poco a così tanti. Questo senso di delusione è legato anche a una perdita di fiducia nelle istituzioni politiche, giuridiche ed educative, ma anche nella Chiesa e nella famiglia. In un mondo siffatto, un mondo di grandi assenze, sembra chi i cieli siano chiusi (cfr. Is. 64, 1) e che Dio sia molto lontano. Diventa un mondo profondamente secolare, un mondo a una sola dimensione che a molte persone può apparire come una prigione. In questa “città dell’uomo”, siamo chiamati a edificare la “città di Dio”; e di fronte a un compito così difficile, siamo tentati forse, come il profeta Giona a Ninive, di scoraggiarci, e di fuggire lontano dalla missione (cfr. Gio. 4, 1-3; Octogesima adveniens, n. 12). Tuttavia, come nel caso di Giona, il Signore stesso ci guiderà con sicurezza lungo il cammino che ha scelto per noi.
Giovanni Paolo II