Benedetto XVI, Cristianità n. 328 (2005)
Omelia nella Concelebrazione Eucaristica in occasione dell’insediamento sulla Cathedra Romana nella Basilica Cattedrale di San Giovanni in Laterano, del 7-5-2005, in L’Osservatore Romano, Città del Vaticano 9/10-5-2005. Titolo redazionale.
Attraverso i testimoni è stata costruita la Chiesa — a cominciare da Pietro e da Paolo, e dai Dodici, fino a tutti gli uomini e le donne che, ricolmi di Cristo, nel corso dei secoli hanno riacceso e riaccenderanno in modo sempre nuovo la fiamma della fede. Ogni cristiano, a suo modo, può e deve essere testimone del Signore risorto. Quando leggiamo i nomi dei santi possiamo vedere quante volte siano stati — e continuino ad essere — anzitutto degli uomini semplici, uomini da cui emanava — ed emana — una luce splendente capace di condurre a Cristo.
Ma questa sinfonia di testimonianze è dotata anche di una struttura ben definita: ai successori degli Apostoli, e cioè ai Vescovi, spetta la pubblica responsabilità di far sì che la rete di queste testimonianze permanga nel tempo. Nel sacramento dell’ordinazione episcopale vengono loro conferite la potestà e la grazia necessarie per questo servizio. In questa rete di testimoni, al Successore di Pietro compete uno speciale compito. Fu Pietro che espresse per primo, a nome degli Apostoli, la professione di fede: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt. 16, 16). Questo è il compito di tutti i Successori di Pietro: essere la guida nella professione di fede in Cristo, il Figlio del Dio vivente.
La Cattedra di Roma è anzitutto Cattedra di questo credo. Dall’alto di questa Cattedra il Vescovo di Roma è tenuto costantemente a ripetere: Dominus Iesus — “Gesù è il Signore”, come Paolo scrisse nelle sue lettere ai Romani (10, 9) e ai Corinzi (1 Cor. 12, 3). Ai Corinzi, con particolare enfasi, disse: “Anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra… per noi c’è un solo Dio, il Padre…; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui” (1 Cor. 8, 5).
La Cattedra di Pietro obbliga coloro che ne sono i titolari a dire — come già fece Pietro in un momento di crisi dei discepoli — quando tanti volevano andarsene: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv. 6, 68ss). Colui che siede sulla Cattedra di Pietro deve ricordare le parole che il Signore disse a Simon Pietro nell’ora dell’Ultima Cena: “… e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli…” (Lc. 22, 32).
Colui che è il titolare del ministero petrino deve avere la consapevolezza di essere un uomo fragile e debole — come sono fragili e deboli le sue proprie forze — costantemente bisognoso di purificazione e di conversione. Ma egli può anche avere la consapevolezza che dal Signore gli viene la forza per confermare i suoi fratelli nella fede e tenerli uniti nella confessione del Cristo crocifisso e risorto. Nella prima lettera di san Paolo ai Corinzi, troviamo il più antico racconto della risurrezione che abbiamo. Paolo lo ha fedelmente ripreso dai testimoni. Tale racconto dapprima parla della morte del Signore per i nostri peccati, della sua sepoltura, della sua risurrezione, avvenuta il terzo giorno, e poi dice: “Cristo apparve a Cefa e quindi ai Dodici…” (1 Cor. 15, 4). Così, ancora una volta, viene riassunto il significato del mandato conferito a Pietro fino alla fine dei tempi: essere testimone del Cristo risorto.
Il Vescovo di Roma siede sulla sua Cattedra per dare testimonianza di Cristo. Così la Cattedra è il simbolo della potestas docendi, quella potestà di insegnamento che è parte essenziale del mandato di legare e di sciogliere conferito dal Signore a Pietro e, dopo di lui, ai Dodici. Nella Chiesa, la Sacra Scrittura, la cui comprensione cresce sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, e il ministero dell’interpretazione autentica, conferito agli apostoli, appartengono l’una all’altro in modo indissolubile.