Giovanni Paolo II, Cristianità n. 310 (2002)
La trasmissione del messaggio evangelico nel mondo di oggi è particolarmente ardua, soprattutto perché i nostri contemporanei sono immersi in ambiti culturali spesso estranei a qualsiasi dimensione spirituale e d’interiorità, in situazioni dove dominano aspetti essenzialmente materialistici. Senza dubbio, più che in qualsiasi altro periodo della storia, si deve inoltre notare una rottura nel processo di trasmissione dei valori morali e religiosi fra le generazioni, che conduce a una sorta di eterogeneità fra la Chiesa e il mondo contemporaneo. In questa prospettiva, il Consiglio ha un ruolo particolarmente importante di osservatorio, da un lato per individuare lo sviluppo delle diverse culture e le questioni antropologiche che vi sorgono e dall’altro per prospettare le possibili relazioni fra le culture e la fede cristiana, in modo da proporre nuovi modi di evangelizzazione, a partire dalle aspettative dei nostri contemporanei. Di fatto, è importante raggiungere gli uomini laddove sono, con le loro preoccupazioni e i loro interrogativi, per permettere loro di scoprire i punti di riferimento morali e spirituali necessari a qualsiasi esistenza conforme alla nostra vocazione specifica, e di trovare nella chiamata di Cristo quella speranza che non delude (cfr. Rm. 5, 5), fondandosi sull’esperienza stessa dell’Apostolo Paolo nell’Areopago di Atene (cfr. At. 17, 22-34). È evidente, l’attenzione per la cultura permette di andare il più lontano possibile nell’incontro con gli uomini. È dunque una mediazione privilegiata fra comunicazione ed evangelizzazione.
Fra i più grandi ostacoli attuali si osservano le difficoltà incontrate dalle famiglie e dall’istituzione scolastica, che hanno il gravoso compito di trasmettere alle giovani generazioni i valori umani, morali e spirituali che permetteranno loro di essere uomini e donne desiderosi di condurre una vita personale degna e d’impegnarsi nella vita sociale. Parimenti, la trasmissione del messaggio cristiano e dei valori che ne derivano, e che conducono a decisioni e a comportamenti coerenti, costituisce una sfida che tutte le comunità ecclesiali sono chiamate a raccogliere, soprattutto nell’ambito della catechesi e del catecumenato. Altri periodi della storia della Chiesa, ad esempio al tempo di sant’Agostino oppure più di recente, nel corso del ventesimo secolo dove si è potuto registrare l’apporto di numerosi filosofi cristiani, ci hanno insegnato a radicare il nostro discorso e il nostro modo di evangelizzare in una sana antropologia e una sana filosofia. Di fatto, è dal momento in cui la filosofia passa a Cristo che il Vangelo può veramente cominciare a diffondersi in tutte le nazioni. È dunque urgente che tutti i protagonisti dei sistemi educativi si dedichino a uno studio antropologico serio, per considerare ciò che l’uomo è e ciò che lo fa vivere. Le famiglie hanno un grande bisogno di essere assecondate da educatori che rispettino i loro valori e che le aiutino a proporre riflessioni sulle questioni fondamentali che i giovani si pongono, anche se ciò sembra andare contro corrente rispetto alle proposte della società attuale. In tutte le epoche, uomini e donne hanno saputo far risplendere la verità con un coraggio profetico. Questo stesso atteggiamento è ancora necessario ai nostri giorni.
Il fenomeno della mondializzazione, divenuto oggi un fatto culturale, costituisce una difficoltà e al contempo un’opportunità. Pur tendendo a livellare le identità specifiche delle diverse comunità e a ridurle a volte a semplici ricordi folcloristici di antiche tradizioni spogliate del loro significato e del loro valore culturale e religioso originali, questo fenomeno permette di abbattere le barriere fra le culture e dà alle persone la possibilità di incontrarsi e di conoscersi; allo stesso tempo, obbliga i Dirigenti delle Nazioni e gli uomini di buona volontà a fare tutto il possibile per far sì che sia rispettato ciò che è proprio degli individui e delle culture, per garantire il bene delle persone e dei popoli, e per mettere in pratica la fraternità e la solidarietà. La società nel suo insieme deve così confrontarsi con temibili interrogativi sull’uomo e sul suo futuro, in particolare in ambiti quali la bioetica, l’uso delle risorse del pianeta, le deliberazioni in materia economica e politica, affinché l’uomo venga riconosciuto in tutta la sua dignità e rimanga sempre l’attore principale della società e il criterio ultimo delle decisioni sociali. La Chiesa non cerca assolutamente di sostituirsi a coloro che hanno il compito di gestire gli affari pubblici, ma desidera avere il suo posto nei dibattiti, per illuminare le coscienze alla luce del significato dell’uomo, inscritto nella sua stessa natura.
Giovanni Paolo II