Paolo VI, Cristianità n. 189 (1991)
Omelia nella Messa per i Laureati Cattolici d’Italia, del 3-1-1965, in Insegnamenti di Paolo VI, vol. III, pp. 9-10. Titolo redazionale.
[…] la professione del nome cristiano non ci esonera dalla professione di quelle virtù elementari e naturali, che sembrano prescindere dalla religione, ma che definiscono l’uomo nelle sue linee fondamentali, propriamente umane, le virtù morali, primissima l’onestà del pensiero e della parola, la veracità, la lealtà, l’est-est, non-non caratteristico di chi attribuisce alla verità e alla giustizia il loro carattere assoluto; e poi quindi la purità della vita, il disinteresse e la rettitudine nell’esercizio dei pubblici uffici, lo spirito di dedizione, di civismo, di concordia, e così via. Non ci esonera: “Se la vostra giustizia — dice il Signore — non sarà superiore a quella dei formalisti, degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (cfr. Matth. 5, 20); non ci permette di accontentarci della moralità corrente, ambientale, così detta “della situazione”, anche se suffragata da autorevoli consensi e da forme abituali; ci obbliga a dire: non basta, e a dirlo a noi stessi, facendo sorgere un inquieto e continuo proposito interiore di miglioramento, di indipendenza, di coraggio, caratteristico in chi segue il Vangelo. Non ci esonera, ripetiamo; ché anzi doppiamente ci obbliga, e come uomini e come cristiani; a tal punto che potremmo dire essere il contributo di questi basilari valori morali l’apporto più caratteristico del cristiano alla vita sociale, l’apporto più atteso dal pubblico, che da tale apporto spontaneo, generoso, perseverante, giudica se la nostra religiosità sia sincera, o ipocrita, e se il titolo di cristiano sia per noi titolo d’onore, o di condanna.
ComprendeteCi […], o amici: una cosa Ci preme e attendiamo da voi, che diate pieno significato al nome cristiano, e che ne sappiate documentare la misteriosa bontà con l’irradiazione di virile e gentile senso morale, e con l’esercizio di quelle primissime virtù umane, su cui si fonda l’ordine della vita presente, e che perciò cardinali si chiamano, e di cui il cristiano dev’essere alunno e modello, se vuole meritare d’essere assunto alla sfera delle virtù superiori, quelle teologali, che a Dio lo uniscono.
E una cosa vi auguriamo: che dando al nome cristiano questa sua morale pienezza siate voi stessi i primi a sperimentare e a godere ciò che è detto oggi del nome di Cristo: non est in alio aliquo salus; non vi è salvezza che in questo nome (Act. 4, 12). Era così che affermava San Pietro agli inizi dell’evangelizzazione dell’umanità: è così che vi ripete l’ultimo umile suo successore e vostro amico: non v’è altro nome che quello di Cristo, che ci possa salvare.
Paolo VI