San Pio X, Cristianità n. 329 (2005)
Il 28 giugno 2005 Papa Benedetto XVI ha reso pubblico il Catechismo della Chiesa Cattolica. Compendio, portando così a compimento l’opera intrapresa da Papa Giovanni Paolo II (1978-2005) di contrasto del “rifiuto del catechismo e […] [del] crollo della catechesi classica”, denunciati nel 1983 dal card. Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (Trasmissione della fede e fonti della fede, trad. it., in Cristianità, anno XI, n. 96, aprile 1983, pp. 5-11, I, 1, p. 6). Qualche tempo prima è caduto il centesimo anniversario dell’enciclica Acerbo nimis, sull’insegnamento della dottrina cristiana, pubblicata appunto il 15 aprile 1905 da Papa san Pio X (1903-1914). Il documento è tratto da Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740. 250 anni di storia visti dalla Santa Sede, a cura di Ugo Bellocchi, vol. VII, Pio X (1903-1914), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1999, pp. 149-158. Titolo e sottotitoli sono redazionali.
Ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi e agli altri Ordinari locali che hanno pace e comunione con la Sede Apostolica.
Il Papa Pio X. Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.
L’ignoranza religiosa: causa precipua dell’odierno rilassamento
In tempi oltremodo crudeli e difficili, l’arcana volontà di Dio ha elevato la Nostra pochezza all’incarico di supremo pastore, con il compito di governare tutto il gregge di Cristo. Il nemico infatti già da tempo si aggira attorno allo stesso gregge e lo insidia con sottilissima astuzia, tanto che ora, più che mai, sembra compiersi quell’evento che l’Apostolo preannunciava ai maggiorenti della Chiesa di Efeso: “Io so che entreranno tra voi lupi rapaci che non risparmieranno il gregge” (l). Chiunque sia ancora ispirato dall’amore per la gloria divina cerca le cause e le ragioni di questa decadenza della religione; e mentre gli uni esprimono pareri diversi dagli altri, ciascuno, secondo il proprio punto di vista, segue vie diverse per tutelare e ristabilire il regno di Dio su questa terra. A Noi, Venerabili Fratelli, pur non respingendo altre ragioni, sembra di poter soprattutto concordare con il parere di coloro che riconducono principalmente alla ignoranza delle cose divine il presente rilassamento degli spiriti e quella sorta di fiacchezza da cui derivano mali gravissimi. Ciò corrisponde pienamente a quanto Dio stesso disse per bocca del profeta Osea: “Non vi è scienza di Dio sulla terra. La maledizione, e la menzogna e l’assassinio e il furto e l’adulterio dilagarono, e il sangue toccò il sangue. Perciò la terra piangerà e cadrà infermo chiunque abita in essa” (2).
L’ignoranza religiosa: piaga comune ai nostri tempi
E in verità sono comuni e — purtroppo! — non infondati i lamenti in quanto, in questa nostra età, moltissimi sono i cristiani che vivono in una estrema ignoranza di tutto ciò che occorre conoscere per la salvezza eterna. E quando diciamo popolo cristiano, non solo ci riferiamo alla plebe o a persone di ceto inferiore, che spesso meritano qualche giustificazione se sono ignoranti, perché, sottomessi al comando di padroni inumani, a malapena possono provvedere a se stessi e alle proprie necessità, ma soprattutto a coloro che, sebbene non privi d’ingegno e di cultura, e siano largamente provvisti di erudizione profana, vivono tuttavia in modo del tutto sconsiderato e alla cieca per quanto concerne la religione. È difficile dire in quali profonde tenebre essi si aggirino; e ciò che più addolora è il fatto che in esse riposano tranquillamente! Costoro non si danno alcun pensiero di Dio, sommo Autore e Reggitore dell’universo, né della sapienza riposta nella fede cristiana. Perciò nulla sanno della incarnazione del Verbo di Dio, né della redenzione del genere umano da Lui compiuta; nulla sanno della Grazia, che è il principale aiuto che consente di conseguire i beni eterni; nulla del divino Sacrificio o dei Sacramenti in virtù dei quali acquistiamo e conserviamo la Grazia stessa. Non considerano affatto quanta nequizia e quanta turpitudine sia insita nel peccato; quindi non si fanno scrupolo di evitarlo e di liberarsene: e così si giunge fino al giorno supremo in cui il sacerdote, affinché non venga meno la speranza della salvezza, riserva gli estremi momenti di chi è prossimo al trapasso — e che sarebbe necessario dedicare soprattutto ad alimentare l’amore verso Dio — ad una sommaria istruzione religiosa; quantunque accade spesso che il moribondo non sia afflitto da colpevole ignoranza al punto di considerare inutile l’assistenza del sacerdote e, senza riconciliarsi con Dio, affronti con animo tranquillo il tremendo viaggio verso l’eternità. Perciò a ragione scrisse Benedetto XIV, Nostro Predecessore: “Affermiamo che gran parte di coloro che sono dannati ai tormenti eterni subiscono tale perpetua sventura per aver ignorato i misteri della fede che è necessario conoscere e accettare per essere accolti tra gli eletti” (3).
Dall’ignoranza religiosa deriva l’odierna corruzione dei costumi anche fra i cristiani
Stando così le cose, Venerabili Fratelli, perché meravigliarsi se crescono ogni giorno di più tanta corruttela di costumi e depravazione delle abitudini e non già, diciamo, tra le nazioni barbare, ma fra le genti che si chiamano cristiane? L’Apostolo Paolo, scrivendo agli Efesi, dichiarava: “La fornicazione poi, ed ogni impurità o l’avarizia neppure siano nominate tra voi, come si addice ai santi; e così pure la turpitudine o il turpiloquio” (4). Ma egli pose a fondamento di questa santità, e del pudore che modera le passioni, la conoscenza del soprannaturale: “Considerate dunque, o fratelli, come dobbiate procedere con cautela, non da stolti ma da uomini saggi… Perciò non vogliate essere avventati ma capaci di intendere quale sia la volontà di Dio” (5).
E ciò con ragione. Infatti la volontà umana conserva poco di quell’amore dell’onestà e della giustizia che lo stesso Dio Creatore le infuse e per il quale era sospinta al bene non simulato ma sincero. Depravata in seguito al peccato originale, e quasi dimentica di Dio Creatore, quella volontà volge ogni suo impulso alla vanità e al mendacio. A questa volontà fuorviata e accecata da perverse passioni occorre quindi assegnare una guida che indichi il cammino, in modo che essa ritrovi i sentieri della giustizia disgraziatamente abbandonati. La guida, poi, non va cercata altrove, ma è data dalla natura e consiste nell’intelletto; il quale, se manca di vera luce, cioè della conoscenza delle cose divine, sarà come un cieco che guidi un altro cieco: entrambi cadranno nella fossa. Il santo re Davide, lodando Dio per la luce di verità che aveva acceso nelle menti umane, diceva: “Il lume del tuo volto, o Signore, è impresso su di noi” (6). E precisò quale fosse la conseguenza di questo dono di luce: “Hai infuso gioia nel mio cuore”; una gioia la quale dilata il nostro cuore e percorre la via dei divini comandamenti.
La conoscenza delle cose religiose non è soltanto lume all’intelletto, ma guida e stimolo della volontà
Che così sia in realtà, appare evidente a chi sia disposto alla riflessione. Infatti, la sapienza cristiana ci rivela Dio e le sue infinite perfezioni con ben maggiore certezza che non le facoltà naturali. Che altro ancora? Quella sapienza ci comanda di onorare il sommo Dio con la fede, che è propria dell’intelletto; con la speranza, che è propria della volontà; con la carità, che appartiene al cuore. In tal modo lega tutto l’uomo al suo supremo Creatore e Reggitore. Parimenti, la dottrina di Gesù Cristo è la sola che manifesta la vera e suprema dignità dell’uomo in quanto figlio del Padre celeste che è nei cieli, fatto a sua immagine, e chiamato a vivere con Lui eternamente beato. Ma da questa stessa dignità e dalla conoscenza di essa, Cristo fa derivare l’obbligo, per gli uomini, di amarsi a vicenda come fratelli, di vivere quaggiù come si addice ai figli della luce, “non in stravizi e in ubriachezze; non fra impurità e licenze; non in contese e gelosie” (7). Egli comanda inoltre di riporre in Dio ogni nostra sollecitudine, poiché Egli ha cura di noi; comanda di soccorrere i poveri, di far del bene a coloro che ci odiano, di anteporre i vantaggi spirituali ai beni effimeri di questo tempo. Ma per non trattare singolarmente ogni argomento, non è forse la dottrina di Cristo che all’uomo superbo consiglia e prescrive l’umiltà, origine della vera gloria? “Chiunque si sarà umiliato… sarà il più grande nel regno dei cieli” (8). Da questa dottrina impariamo la prudenza dello spirito, e per essa rifuggiamo dalla prudenza della carne; la giustizia, per cui riconosciamo a ciascuno i suoi diritti; la fortezza, per cui siamo pronti a sopportare ogni avversità con animo invitto in nome di Dio e della beatitudine eterna; la temperanza infine, per la quale siamo condotti ad amare anche la povertà in nome del regno di Dio, e anzi ci gloriamo della croce, non curando il disprezzo. Dipende dunque dalla sapienza cristiana se il nostro intelletto riceve non solo la luce che ci guida alla verità, ma anche la volontà che si accende di quell’ardore che ci porta a Dio, e a Lui ci uniamo per praticare la virtù.
Con ciò siamo ben lontani dall’affermare che la perversione dell’animo e la corruttela dei costumi non possano coesistere con la cultura religiosa. Volesse il cielo che i fatti non provassero ciò anche troppo! Tuttavia siamo convinti che l’intelletto, qualora sia avvolto dalle tenebre di una crassa ignoranza, non può assolutamente indirizzare verso un retto volere e onesti costumi. Infatti, chi procede ad occhi aperti potrà certamente deviare dal retto e sicuro cammino; chi invece soffre di cecità, sicuramente va incontro al pericolo. E ancora: se il lume della fede non è del tutto estinto, è aperta la speranza che la corruzione possa essere corretta; ma se si congiungono entrambe, la dissolutezza dei costumi e la mancanza di fede causata dall’ignoranza, allora non vi è quasi rimedio e si spalanca la via alla rovina.
A chi spetti l’obbligo dell’insegnamento religioso
Molti, dunque, e molto gravi sono i danni che derivano dall’ignoranza della religione. D’altra parte, essendo rilevanti la necessità e l’utilità dell’istruzione religiosa, è vano sperare che chi la ignora possa adempiere i doveri del cristiano; resta ora da chiedersi a chi poi appartenga il compito di sradicare dalle menti questa esiziale ignoranza, e di infondere negli animi una scienza così necessaria. A questo punto, Venerabili Fratelli, non vi è alcun dubbio: il gravoso compito spetta a quanti sono pastori di anime. Questi, infatti, per mandato di Cristo hanno il dovere di conoscere e pascere le pecore loro affidate; e pascere significa anzitutto insegnare: “Darò a voi” (tale la promessa di Dio per bocca di Geremia) “pastori secondo il cuor mio, e vi pasceranno con la scienza e con la dottrina” (9). Perciò l’Apostolo Paolo diceva: “Cristo non mi ha mandato per battezzare, ma per evangelizzare” (10), volendo con ciò indicare che il primo dovere di coloro che in qualche modo sono posti al governo della Chiesa, è quello di istruire i fedeli nelle sacre dottrine.
Encomio dell’insegnamento del catechismo
Ci sembra superfluo insistere nel lodare tali insegnamenti e mostrare quanto valgano presso Dio. Certamente la compassione che dimostriamo per i poveri, a sollievo delle loro angustie, riceve grande lode da Dio. Ma chi vorrà negare che ben più alto riconoscimento meritano lo zelo e la fatica con cui procuriamo non già effimeri vantaggi materiali ma piuttosto, insegnando e ammonendo, il bene eterno delle anime? Nulla è certamente più desiderabile, nulla è più caro a Gesù Cristo, salvatore delle anime, il quale per bocca di Isaia disse di sé: “Io sono stato mandato ad evangelizzare i poveri” (11).
Ogni sacerdote ha il dovere di ammaestrare i fedeli
Ma in questo momento, Venerabili Fratelli, importa soltanto perseguire con urgenza questo solo scopo; in quanto per un sacerdote non esiste impegno più serio né obbligo più stretto. Infatti, chi potrebbe negare che in un sacerdote la dottrina debba associarsi alla santità della vita? “Le labbra del sacerdote custodiranno la scienza” (12). E perciò la Chiesa la richiede, con particolare severità, in coloro che sono iniziati al sacerdozio. E perché mai? Perché da essi il popolo cristiano attende di conoscere la legge divina e perché Dio li ha destinati ad insegnarla: “E chiederanno la legge dalla sua bocca perché egli è l’angelo del Signore degli eserciti” (13). Perciò il Vescovo, nella ordinazione sacra, rivolgendosi ai candidati al sacerdozio, dice: “La vostra dottrina sia medicina spirituale per il popolo di Dio; siano provvidi i cooperatori del nostro ordine, affinché, meditando giorno e notte sulla sua legge, credano in ciò che hanno letto e insegnino ciò in cui hanno creduto” (14).
L’insegnamento della religione: obbligo specialissimo da parte dei parroci
Se tutto ciò compete ad ogni sacerdote, che cosa dovremo pensare di coloro che, insigniti del titolo e dell’autorità di parroci, esercitano la funzione di guida delle anime col prestigio del loro incarico e quasi per convenuto accordo? Essi, in un certo senso, sono da ascrivere fra i pastori e i dottori che Cristo assegnò, affinché i fedeli non siano dei fanciulli malfermi, esposti ad essere travolti da qualsiasi vento dottrinale per la nequizia degli uomini, ma, perseguendo la verità nella carità, crescano in ogni senso in colui che è il capo, Cristo (15).
Perciò il sacrosanto Concilio di Trento, trattando dei pastori delle anime, stabilisce che il loro primo e più importante impegno consiste nell’istruire il popolo cristiano (16). Quindi prescrive loro, almeno nelle domeniche e nelle feste più solenni, di parlare di religione al popolo, e ogni giorno o almeno tre volte alla settimana nel sacro tempo dell’Avvento e della Quaresima. Non solo: aggiunge, anche che i parroci sono tenuti, almeno nelle domeniche e nei giorni festivi, ad insegnare personalmente, o delegando altri, le verità della fede ai fanciulli, e ad educarli all’obbedienza a Dio e ai genitori. Quando poi si devono somministrare i Sacramenti, il Concilio prescrive che si spieghi la loro efficacia, con facile linguaggio corrente, a coloro che vi si accostano.
La spiegazione del Vangelo e il catechismo sono due obblighi distinti del parroco
Queste prescrizioni del sacrosanto Concilio furono così riassunte e meglio definite da Benedetto XIV, Nostro Predecessore, nella sua Enciclica Etsi minime: “Due anzitutto sono gli obblighi che dal Concilio Tridentino sono imposti a chi ha cura delle anime. Il primo comporta che nei giorni festivi tengano il sermone sulle cose divine; il secondo, che istruiscano i bambini e i più sprovveduti sui rudimenti della legge divina e della fede”. Giustamente il sapientissimo Pontefice distingue questo duplice obbligo: cioè quello di pronunciare il sermone, che comunemente chiamano spiegazione del Vangelo, e quello di insegnare la dottrina cristiana. Forse non mancano coloro che, desiderando ridurre il proprio impegno, si convincono che l’omelia possa sostituire la catechesi. A chi rifletta, appare evidente quanto sia errata questa opinione. Infatti il discorso sul sacro Vangelo è rivolto a coloro che già hanno appreso le prime nozioni sulla fede. È il pane, per così dire, che si spezza per gli adulti. L’istruzione catechistica invece è quel latte che l’Apostolo Pietro voleva fosse desiderato con semplicità dai fedeli, come bambini appena nati. Questo è dunque il dovere del catechista: affrontare l’esposizione di una verità che concerna la fede o la morale cristiana, e chiarirla in ogni sua parte; poiché il fine dell’insegnamento deve essere il rinnovamento della vita, occorre che il catechista faccia un confronto tra quanto da Dio fu prescritto e l’effettivo comportamento degli uomini; poi, ricorrendo a opportuni esempi, che saggiamente avrà tratto o dalle sacre Scritture o dalla storia della Chiesa o dalla vita dei Santi, dovrà convincere gli ascoltatori e quasi segnare a dito come debbano regolare la loro condotta; e concludere infine esortando gli astanti a detestare e ad abbandonare i vizi ed a seguire la virtù.
Nobiltà dell’incarico di catechista
Sappiamo certamente che siffatto dovere di divulgare la dottrina cristiana è malvisto da molti, perché comunemente è considerato di poco conto e non idoneo a conquistare il consenso popolare. Noi tuttavia pensiamo che questo sia il parere di coloro che si lasciano guidare più dalla leggerezza che dalla verità. Certo Noi non neghiamo il Nostro consenso agli oratori sacri che, con il sincero intento di glorificare il Signore, si dedicano alla esaltazione e alla difesa della fede o alle lodi dei Santi. Ma in verità il loro impegno ne presuppone un altro, ossia quello dei catechisti; se questo manca, mancano le fondamenta e invano si affaticano coloro che costruiscono la casa. Troppo spesso le più faconde prediche, pur riscuotendo il plauso di gremite adunanze, conseguono il solo risultato di solleticare le orecchie; per nulla commuovono gli animi. Al contrario, l’istruzione catechistica, per quanto umile e semplice, reca quella parola che Dio stesso conferma per bocca di Isaia: “Come scendono la pioggia e la neve dal cielo, e lassù più non tornano ma inebriano la terra e la imbevono e la fanno germinare e danno il seme al seminatore e il pane a chi mangia, così sarà la mia parola che uscirà dalla mia bocca: non ritornerà a me vuota, ma farà ciò che io volli e sarà feconda in coloro ai quali io l’ho mandata” (17). Riteniamo che tale debba essere il giudizio su quei sacerdoti che, per illustrare le verità della religione, scrivono libri che costano molta fatica: certamente essi sono degni di molte lodi. Ma quanti sono poi coloro che leggono siffatti volumi e ne traggono un frutto proporzionato alla fatica e ai desideri degli autori? Invece, l’insegnamento della dottrina cristiana, se svolto a dovere, reca sempre beneficio agli ascoltatori.
Si deplora di nuovo l’universale ignoranza delle cose religiose
In realtà (giova ripeterlo per accrescere lo zelo dei ministri di Dio) è eccessivo e cresce ogni giorno il numero di coloro che nulla sanno della religione, o che di Dio e della fede cristiana hanno soltanto quella nozione che consente loro di vivere come idolatri entro la luce della verità cattolica. Quanti sono, purtroppo, e non soltanto i fanciulli, ma anche gli adulti e i vecchi che ignorano del tutto i principali misteri della fede e che, udendo il nome di Cristo, rispondono: “Chi è... perché debbo credere in lui?” (18). Conseguentemente, non considerano peccato concepire e nutrire odio verso gli altri, stringere patti scellerati, concludere contratti disonesti, impossessarsi dei beni altrui con pesante usura, e altre simili azioni malvagie. Perciò, ignorando la legge di Cristo che non solo condanna i turpi misfatti ma anche la meditata intenzione e il desiderio di compierli, sebbene, per qualsivoglia motivo, si astengano da osceni piaceri, tuttavia, privi di qualsiasi nozione religiosa, nutrono torbidi pensieri, moltiplicando i peccati più che i capelli del capo. Giova ripetere che ciò non accade soltanto nelle campagne o tra la povera gente ma anche e forse più spesso tra le persone di ceto più elevato e perfino tra coloro che sono colmi di scienza e che, sorretti da vacua erudizione, credono di poter farsi beffe della religione e di “bestemmiare tutto ciò che ignorano” (19).
La fede infusa nel battesimo ha bisogno di coltura
Ora, se è vano sperare le messi da una terra che non ha ricevuto il seme, come aspettarsi generazioni moralmente sane se a tempo debito non furono educate nella dottrina cristiana? Con ragione possiamo concludere che, languendo a tal segno la fede nei giorni nostri, al punto che in molti è quasi spenta, il dovere di trasmettere la sacra catechesi o è assolto con eccessiva negligenza, oppure è del tutto ignorato. Né vale come scusa il dire che la fede è a noi donata gratuitamente e infusa in ciascuno col sacro battesimo. È vero che quanti fummo battezzati in Cristo fummo dotati di un più ricco patrimonio di fede, ma questo divinissimo seme non “cresce… né sviluppa ampi rami” (20) per virtù nativa se abbandonato a se stesso. Anche nell’uomo, fin dalla nascita, esiste la capacità d’intendere; essa tuttavia ha bisogno della parola della madre per manifestarsi e, come dicono, tradursi in atto. Non altrimenti accade per l’uomo cristiano che, rinascendo dall’acqua e dallo Spirito Santo, reca con sé la fede che gli fu infusa; tuttavia ha bisogno dell’insegnamento della Chiesa perché essa venga alimentata, accresciuta e possa fruttificare. In proposito scriveva l’Apostolo: “La fede dipende dalla predicazione, e la predicazione si attua per la parola di Cristo” (21). E per dimostrare la necessità dell’insegnamento aggiunge: “Come potranno udire senza un predicatore?” (22).
Si determina e s’impone quanto ogni parroco deve fare per l’istruzione religiosa dei fedeli
Se da ciò che si è detto finora risulta quanto sia importante l’istruzione religiosa del popolo, deve essere massimo il Nostro impegno affinché l’insegnamento della sacra Dottrina, di cui — secondo le parole del Nostro Predecessore Benedetto XIV (23) — nulla di più prezioso è stato istituito per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime, si mantenga sempre in vigore o, là dove è trascurato, torni a rifiorire. Volendo dunque, Venerabili Fratelli, adempiere questo importantissimo dovere del supremo apostolato e introdurre ovunque uniformità di condotta in questa rilevantissima materia, con la Nostra suprema autorità stabiliamo ed espressamente ordiniamo che in tutte le diocesi siano rispettate ed osservate le seguenti prescrizioni.
- Tutti i parroci, e in generale tutti coloro che hanno cura d’anime, nelle domeniche e nelle feste annuali, nessuna eccettuata, per un’ora intera, utilizzando il testo del catechismo, insegnino ai fanciulli e alle fanciulle tutto ciò che ciascuno deve credere ed operare per salvarsi.
- Gli stessi, in determinati periodi dell’anno, preparino i fanciulli e le fanciulle a ricevere i Sacramenti della Penitenza e della Confermazione, con una istruzione prolungata per più giorni.
IlI. Similmente e con particolare attenzione, in tutti i giorni feriali della Quaresima e, se sarà necessario, anche nei giorni successivi alle feste Pasquali, istruiscano gli adolescenti e le adolescenti con opportuni insegnamenti ed esortazioni, in modo che ricevano santamente dall’altare la Comunione per la prima volta.
- In tutte e nelle singole parrocchie si istituisca, secondo i canoni, la Congregazione comunemente detta della Dottrina Cristiana. Con essa i parroci, soprattutto dove il numero dei sacerdoti è esiguo, avranno come coadiutori, nell’insegnamento del catechismo, i laici che si dedicheranno a questo magistero sia per amore della gloria divina, sia per lucrare le sacre indulgenze che i Romani Pontefici concessero con larghezza.
- Nelle città più grandi, e soprattutto in quelle ove esistono le università, i licei, i ginnasi, siano istituite scuole di religione per preparare alle verità della fede e ai princìpi della vita cristiana la gioventù che frequenta le scuole pubbliche, dove non si fa menzione alcuna della religione.
- Siccome, soprattutto in questi tempi, l’età adulta, non diversamente dalla prima età, ha bisogno di una formazione religiosa, tutti i parroci e coloro che hanno cura di anime, oltre la consueta omelia sul Vangelo, che deve essere detta in tutti i giorni festivi durante la Messa parrocchiale, nell’ora che riterranno più opportuna per l’affluenza della gente, ma escludendo quella in cui si istruiscono i fanciulli, spieghino il catechismo ai fedeli con semplici parole, adatte alla intelligenza degli uditori. Usino a questo scopo il Catechismo Tridentino, in modo che nel volgere di un quadriennio o di un quinquennio possano trattare tutta la materia sul Simbolo, sui Sacramenti, sul Decalogo, sulla Preghiera e sui precetti della Chiesa.
Spetta ai Vescovi vigilare accuratamente sull’osservanza di quanto prescritto
Tali, Venerabili Fratelli, le prescrizioni e gli ordini che Noi impartiamo con apostolica autorità. Ora tocca a voi provvedere in modo che, nelle vostre diocesi, tali ordini siano eseguiti senza indugio e integralmente; vigilate dunque, e con la vostra autorità impedite che i Nostri precetti cadano nell’oblio o, (il che equivale), siano applicati fiaccamente e apaticamente. E perché si eviti un tal comportamento, occorre che raccomandiate e pretendiate che i parroci non spieghino il Catechismo sprovvedutamente, ma si provvedano prima di una adeguata preparazione, in modo da non pronunciare parole di umana sapienza ma “con semplicità di cuore e nella grazia di Dio” (24). Seguano l’esempio di Cristo il quale, benché rivelasse “misteri nascosti fin dall’origine del mondo” (25), tuttavia parlava “alle turbe con parabole, e senza parabole non parlava loro” (26). Sappiamo che altrettanto fecero gli Apostoli, ispirati dal Signore. Di essi Gregorio Magno diceva: “Ebbero somma cura di predicare ai popoli sprovveduti cose semplici e intelligibili, non sublimi e difficili” (27). Ora, per ciò che riguarda la religione, gli uomini, per la maggior parte, ai giorni nostri sono da considerare ignoranti.
L’insegnamento del catechismo richiede grande preparazione
Non vorremmo però che da questa ricerca della semplicità qualcuno traesse la convinzione che non occorre nessuna fatica e nessuna meditazione nell’affrontare un tal genere di predicazione; ché anzi essa richiede un impegno maggiore di qualunque altro genere. È assai più facile trovare un oratore che parli in modo eloquente e brillante piuttosto che un catechista che impartisca un insegnamento lodevole sotto ogni aspetto. Chiunque abbia avuto da natura una tal quale facilità di pensiero e di parola, abbia ben presente che non potrà mai spiegare ai fanciulli o al popolo la dottrina cristiana con profitto dell’anima se non sarà preparato e sicuro dopo un’adeguata riflessione. Certamente si ingannano coloro che, confidando nella ignoranza e nella ottusità della plebe, ritengono di poter agire, in questo caso, con una certa negligenza. Al contrario, quanto più sono inesperti gli ascoltatori, tanto più s’impongono lo studio e la diligenza per adeguare le più sublimi verità, tanto lontane da una comune intelligenza, alla mente più ottusa degli incolti, ai quali tali verità sono necessarie come ai sapienti, per conseguire l’eterna beatitudine.
Esortazione ai Vescovi
Ora dunque, Venerabili Fratelli, sia consentito parlarvi, in questa ultima parte della Nostra lettera, con le parole di Mosè: “Se qualcuno appartiene al Signore, si unisca a me” (28). Vi chiediamo e vi preghiamo di riflettere: quanta rovina di anime deriva dalla ignoranza delle cose divine! Forse molto utili e lodevoli iniziative sono state da voi adottate nella vostra diocesi, a vantaggio del vostro gregge; vogliate tuttavia in primo luogo e con tutto l’ardore, con tutto lo zelo, con tutta la costanza che sono in voi, fare in modo che la conoscenza della dottrina cristiana pervada e penetri profondamente gli animi di tutti. Ripetiamo le parole dell’Apostolo Pietro: “Ciascuno, come ha ricevuto la grazia, l’amministri a vantaggio del prossimo, come i buoni dispensieri della multiforme grazia di Dio” (29).
Per intercessione della beatissima Vergine Immacolata, sia propizia a voi e alla vostre iniziative l’Apostolica Benedizione che, come testimonianza della Nostra carità e auspicio di grazie celesti, impartiamo con grande affetto a voi, al clero e al popolo a voi affidato.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 aprile 1905, nel secondo anno del Nostro Pontificato.
Note:
(l) Act. XX, 29.
(2) Os. IV, 1, ss.
(3) lnstit. XXVI, 18.
(4) Ephes. V, 3 s.
(5) Ephes. V, 15, ss.
(6) Ps. IV, 7.
(7) Rom. XIII, 13.
(8) Matth. XVIII, 4.
(9) Ier. III, 15.
(l0) 1 Cor. I, 17.
(11) Luc. IV, 18.
(12) Malach. II, 7.
(13) Ib.
(14) Pontif. Rom.
(15) Ephes. IV, 14, 15.
(16) Sess. V, cap. 2 de ref.; Sess. XXII, cap. 8; Sess. XXIV, cap. 4 et 7 de ref.
(17) 1s. LV, l0, 11.
(18) Ioan. IX, 36.
(19) 1ud. l0.
(20) Marc. IV, 32.
(21) Rom. X, 17.
(22) Ib. 14.
(23) Constit. Etsi minime, 13.
(24) II Cor. I, 12.
(25) Matth. XIII, 35.
(26) Ib. 34.
(27) Moral. l. XVII, cap. 26.
(28) Exod. XXXII, 26.
(29) I Petr. IV, 10.