Giovanni Grou S. I., Cristianità n. 71 (1981)
Manuale delle anime interiori, trad. it., 4ª edizione riveduta e corretta, Casa Editrice Serafino Majocchi, Milano 1948, pp. 240-243.
Bisogna pregare sempre e non stancarsi mai, diceva Gesù Cristo, e S. Paolo raccomanda ai primi cristiani di pregare, senza interruzione. A qual sorta di preghiere allude questo precetto, o, piuttosto, questo consiglio? E come sarà possibile adempirlo?
È evidente che non deve intendersi la preghiera vocale la quale è soltanto riservata a certi momenti. Nemmeno è possibile dedicarsi sempre ad un unico esercizio della mente e tener in continuo occupato lo spirito nel pensiero di Dio e delle cose divine. Una non interrotta attenzione alla presenza di Dio è al di sopra delle umane forze; è incompatibile colle molteplici cure di questa vita. Allora con qual altro genere di preghiera si potrà assolvere alle intenzioni di Gesù Cristo? Colla preghiera del cuore, la quale consiste in una disposizione abituale e costante all’amor di Dio; colla fiducia in Lui; colla sommissione alla sua volontà in tutti i casi della vita; in un’assidua attenzione alla voce che si fa udire nel fondo del nostro cuore e incessantemente ci incita al bene ed alla perfezione. Tale disposizione d’animo dovrebbe essere comune a tutti i cristiani, come lo fu a tutti i santi, e come tale dovrebbe costituire da sola la vita interiore.
Dio certamente invita tutti a questa disposizione di cuore, poiché a tutti indistintamente i cristiani fu inculcato di pregar sempre, ed è certo, inoltre, che tutti la raggiungerebbero se corrispondessero fedelmente all’attrattiva della grazia. Supponiamo che l’amor di Dio domini veramente in un cuore in modo da essere divenuto per così dire, l’ospite naturale; che questo cuore escluda non solo tutto quanto sia contrario a Dio, ma attenda continuamente ad aumentarne le grazie cercando di piacere a Lui anche nelle minime cose e mai rifiutando nulla di quanto egli esige; che prenda, dalla mano di Lui egualmente i beni ed i mali; che si mantenga fermo nella determinazione di non commettere mai volontariamente nessuna colpa, sia pure lieve: che infine, se disgraziatamente cade in qualche mancanza, con tutta sollecitudine si rialzi; allora io dico che questo cuore si attiene scrupolosamente alla pratica della continua preghiera. Questa preghiera non cesserà mai né durante le occupazioni, né durante i trattenimenti e neanche durante le nostre innocenti ricreazioni. La cosa non è quindi tanto disagevole e impraticabile come sulle prime parrebbe. In queste condizioni il nostro pensiero non è sempre diretto a Dio, ma non è neppure distratto da scopi inutili, o peggio ancora difettosi o cattivi. Non si fanno atti continui, né si pronunciano continue preghiere; ma il cuore è sempre rivolto a Dio, sempre attento a Lui, sempre pronto a fare la sua santa volontà.
Si inganna a partito colui che crede non ci sia una vera preghiera all’infuori di quella che viene pronunciata, la quale è reale e sensibile e di cui può rendere testimonianza a sé stesso. Per conseguenza avviene che molti e molti hanno la persuasione di non far nulla nell’orazione, quando mediante essa non provano nulla di formale e quando il cuore e lo spirito non vi scoprono né vi sentono nulla, trovando in questo un pretesto per tralasciare l’esercizio. Costoro invece dovrebbero riflettere che Dio, come diceva Davide, vede la preparazione dei nostri cuori; che egli non ha bisogno né di parole né di pensieri per conoscere l’intima disposizione dell’anima nostra; che la nostra preghiera, prima ancora di venire concretata dalla parola o dal pensiero, si trova già, in germe ed in sostanza, nel fondo della nostra volontà; in conclusione ogni atto interno e diretto precede la riflessione, e questo non viene avvertito se non vi si presta una speciale attenzione. Richiesto infatti a S. Antonio quale fosse il miglior modo di pregare, rispose: È quello di pregare senza accorgersene. Il pregio principale di questa preghiera sta nel distruggere l’amor proprio, mentre l’uomo non trova più nulla su cui appoggiarsi, né può coi suoi peccaminosi sguardi macchiarne la purezza.
La continua preghiera non è dunque, in sé stessa, difficile, tuttavia è rarissima, perché rarissimi sono i cuori che si trovano nella disposizione necessaria per applicarvisi e che abbiano coraggio bastevole e fedeltà perfetta per perseverarvi. Noi ci troviamo in condizioni favorevoli solo quando si è fatto intieramente dono di sé stesso a Dio. Or bene poche sono le anime che si danno a Dio senza riserva; questo dono non va quasi mai esente da segrete restrizioni. L’amor proprio c’entra quasi sempre per qualche cosa e le conseguenze ben presto lo dimostrano. Ma se avviene che questa offerta sia piena ed intiera, Dio rimunera all’istante l’animo col donarle in ricambio sé stesso. Egli si stabilisce allora in quel cuore e forma quella preghiera continua che consiste nella pace, nel raccoglimento, nel mirare a Dio sia riguardo al morale proprio, che alle solite occupazioni giornaliere.
GIOVANNI GROU S. J.