Giovanni Grou S. I., Cristianità n. 1 (1973)
Caratteristiche della vera devozione, trad. it., 5ª ed. riveduta e corretta, Maiocchi, Milano 1951, cap. X, pp. 35-37.
Sarebbe illusione credere che la devozione possa essere soltanto interiore e con il pretesto che Dio vede nell’interno, sopprimere la preghiera vocale e le opere di culto esteriore. Noi non siamo puri spiriti, ma uomini. Perciò il nostro corpo deve unirsi all’anima per rendere omaggio e lode a Dio; esso ci fu dato per questo fine, e non potremmo usarne meglio. Tutto l’uomo è quindi obbligato ad adorare e pregare.
L’anima stessa ha bisogno di essere risvegliata e sostenuta nella pietà da qualche cosa che colpisca i sensi. L’apparato esteriore del culto, l’ordine e la maestà delle cerimonie, il profumo degl’incensi, la vista delle immagini e degli oggetti sacri, sono complementi necessari a mantenere la devozione. L’atteggiamento devoto ed umile del corpo, le ginocchia piegate, le mani congiunte, gli occhi modestamente abbassati od elevati verso il cielo, sono espressioni del rispetto e dell’attenzione dell’anima nella preghiera. Essa, senza accorgersi, segue anche esternamente i sentimenti dell’anima.
Il prossimo, che non può giudicare che dagli atti esterni, ne viene edificato. La religione, essendo il primo legame della società, esige un culto comune, pubblico, quindi esteriore, con cui gli uomini innalzano a Dio gli stessi voti e preghiere, e si animano a vicenda a cantarne le lodi. Il ministero ecclesiastico, istituito da Dio, è una evidente prova della necessità del culto esterno.
Non vi fu mai un vero devoto, sia pure nella solitudine, che non abbia sentito il bisogno di destinare alcune ore del giorno alla preghiera vocale. Di questo sono persuase anche le anime contemplative: così che, se in alcune sporadiche occasioni l’amore per il raccoglimento fosse pur tanto grande da far sospendere la preghiera esterna, bisognerebbe subito riprenderla, non appena lo spirito abbia ripreso la libertà.
Pregando, tanto in pubblico che in privato, l’orazione mentale non deve far dimenticare la vocale. La prima non potrebbe durare a lungo senza la seconda e diventerebbe un ozio superbo e pericoloso. È assai difficile far bene la preghiera vocale, se non vi si aggiunge la preghiera mentale nella quale si acquista lo spirito interiore; ma l’anima non può mantenersi in uno stato di contemplazione se non prega vocalmente. Avviene pure che l’anima nell’orazione non possa contenere gli slanci ed i sentimenti interni e sia costretta ad effondersi in parole, in lacrime, in sospiri, e ad abbandonarsi a certi movimenti involontari. Questa è una conseguenza dell’unione e della corrispondenza che esiste fra l’anima e il corpo, tra lo spirito e la materia.
PADRE JEAN NICOLAS GROU S. J.