Di Francesco Ognibene da Avvenire del 10/07/2019. Foto da articolo.
Gentile direttore, penso sia utile una precisazione in ordine alle notizie che anche il suo giornale pubblica circa la condizione clinica di Vincent Lambert. Restando in campo strettamente scientifico, il giovane francese non si trova nella condizione definita «stato vegetativo», né permanente, né – tanto meno – irreversibile, considerati i casi sempre più numerosi di ripresa funzionale variabile anche dopo molti anni. La corretta terminologia attuale parla di «disturbi prolungati di coscienza» o «sindrome della veglia senza comunicazione», a dire un fatto di grande rilevanza, scientifica ed etica, che ha definitivamente cancellato le vecchie dizioni di «coma irreversibile» o «coma apallico»: la persona in oggetto è vigile, è dotata di una qualche forma di consapevolezza, ma non è in grado di comunicare. Si parla anche di «coscienza sommersa, primaria, non comunicabile». Siamo giunti a questa acquisizione grazie allo sviluppo delle conoscenze che la risonanza magnetica funzionale, la Pet e l’Eeg ad alta densità hanno reso possibile in tema di funzione cosciente. È anche su questa base che si è sviluppato il dibattito circa l’abolizione di quel brutto ed errato termine di ‘vegetativo’ che evoca immagini che fanno paragonare una persona umana a un vegetale. Sappiamo bene che ‘un uomo è sempre un uomo’, con la sua assoluta e intrinseca dignità che non dipende dalla capacità di svolgere azioni o funzioni, ma l’evocazione del ‘vegetale’ è pericolosissima proprio nel dibattito pubblico, inducendo in molti – quasi in tutti – una giustificazione di forme eutanasiche dato che ‘è una pianta e non un uomo’. Il suo giornale qualche tempo fa pubblicò un’intera pagina – molto rigorosa e dettagliata – su quest’argomento che può essere facilmente ripresa da chi volesse capire e conoscere di più. Vorrei concludere sottolineando che Lambert – da come appare nelle immagini che ci arrivano – non è in stato vegetativo, bensì in «stato di minima coscienza», non è attaccato a nessuna macchina, non è oggetto di nessun accanimento terapeutico, gode di vita biologica autonoma salvo l’alimentazione e l’accudimento igienico: pertanto morirà di inanizione (cioè a seguito della mancanza di sostentamento idrico e alimentare) esattamente come accadrebbe a ciascuno di noi se smettessimo di alimentarci. Purtroppo si tratta del ‘classico’ esempio di omicidio legale di Stato, sulla base della considerazione che si tratta di «vita indegna di essere vissuta» (Hoche e Binding, 1922, anni del Terzo Reich). Mi consenta, direttore, una chiosa finale di profonda amarezza: questa è civiltà? Grazie
Massimo Gandolfini
Neurochirurgo e Psichiatra
Gentile professore, le argomentazioni che sviluppa da specialista esperto e documentato sono ineccepibili, e chi conosce la sua competenza medica vi può trovare argomenti solidi. Per questo, invitato dal direttore Tarquinio a dialogare con lei sul tema (e la notizia) che – come sa – seguo da anni, mi sorprende notare nella sua lettera che avverta l’esigenza di una «precisazione» rispetto a quel che ‘Avvenire’ ha scritto nei giorni di questo drammatico capitolo conclusivo della vicenda di Vincent Lambert, e in particolare nell’editoriale di Marina Corradi «Questo calcolo letale e straniero» sulla prima pagina di ieri. La definizione riportata nel commento – «stato vegetativo permanente irreversibile» – suona gelidamente tombale ma è la citazione testuale di ciò che di Lambert dicono «i medici dell’ospedale di Reims», come correttamente riferisce Marina proprio per mostrare il volto disumano che può assumere la medicina quando si piega a logiche che le sono estranee. Chi frequenta il nostro giornale sa che ‘Avvenire’ per definire compiutamente pazienti come Vincent mai utilizza un’espressione di questa inesorabile asprezza, strumento lessicale per condannare le persone che ne portano il marchio al ruolo – direbbe papa Francesco – di ‘scarti’ eliminabili a discrezione di medici e parenti. Per noi – come per lei – non potrà mai esistere un’umanità sacrificabile con procedure che oggi si usa ormai definire di «morte medicalmente assistita» per non parlare più di eutanasia. Le riflessioni attrezzate in punta di scienza e di antropologia sono sempre benvenute, e dunque anche la sua, ma lei sa bene che da molti anni su queste pagine documentiamo con costanza gli avanzamenti delle conoscenze nel campo delle alterazioni di coscienza, purtroppo quasi sempre in assoluta solitudine, interrotta solo episodicamente quando i media si ‘accorgono’ delle migliaia di disabili gravi nelle condizioni di Lambert al deflagrare di casi di cronaca ad alto tasso di emotività. Lo stesso dramma di Vincent viene seguito da’Avvenire’ sin dal suo approdo nelle aule di giustizia: il primo articolo – su ‘è vita’, a firma Daniele Zappalà, come decine di altri, sino a ieri – reca la data del 19 dicembre 2013. Abbiamo assicurato sul tetraplegico francese una conoscenza dei fatti continua e precisa, informando sulla condizione di «minima coscienza» accertata nel 2011 dal luminare belga Steven Laureys (anch’egli fatto conoscere in Italia da questo giornale). So che le sta a cuore come a noi l’esigenza di incidere efficacemente su questi e altri temi decisivi su un’opinione pubblica troppo spesso tenuta all’oscuro della verità dei fatti. Diamoci allora una mano per superare il muro del silenzio interessato e dell’interessamento ipocrita e strumentale innalzato da troppa parte dell’informazione, soprattutto di quella dedita a seminare discordia, sospetto e confusione tra chi si batte per la piena dignità della persona umana in ogni fase e condizione dell’esistenza. Insieme si può fare molto.
Avvenire