MAURO RONCO, Cristianità n. 285-286 (1999)
1. In uno stupendo passo di Marco Tullio Cicerone (106-43 a. C.) si definisce la pietà come “[…] l’esatto compimento dei nostri doveri verso i parenti e i benefattori della patria” (1). Nel pensiero del filosofo di Arpino, che qualcuno ha giustamente definito “padre dell’umanesimo occidentale” (2), la pietà è una parte o forma della giustizia, per il carattere di obbligo che possiede, come la “religione”, onore e ringraziamento dovuto a Dio, la “gratitudine”, riconoscenza e compenso dovuto a chi ci ha fatto del bene, la “vendetta”, come proporzionata retribuzione del colpevole, la “riverenza”, come onore e deferenza verso coloro che sono costituiti in autorità, la “verità”, come rispetto del reale e lealtà nel rapportarsi agli altri.
San Tommaso d’Aquino (1225 ca.-1274), trattando delle virtù riconducibili alla giustizia e riconnettendosi a Cicerone come a fonte filosofica determinante, ritiene che la pietà, avente per oggetto comportamenti doverosi di onore e di rispetto, nonché di servizio e di sacrificio, abbia per destinatari, dopo Dio, i genitori e la patria “[…] dai quali e nella quale siamo nati e siamo stati allevati”, “[…] a quibus et in qua et nati et nutriti sumus” (3).
La patria possiede invero per la filosofia classica e cristiana un’importanza cruciale, sì da costituire un tema essenziale per la dottrina politica e sociale della Chiesa. La scomparsa di questa categoria morale è forse — come nota acutamente padre Lorenzo Perotto O.P. — meno casuale di quanto si possa comunemente pensare: infatti, mentre i teologi hanno preso a trascurarla o a disprezzarla come un residuo medievale superato, le ideologie politiche moderne l’hanno puntualmente combattuta, per la valenza religiosa di cui essa è pregna e per la ricchezza sociale di cui è veicolo insostituibile (4).
2. Il pensiero moderno ha utilizzato il socialismo marxista per demolire l’amore di patria: se la patria, così ragiona il socialismo con sottile sofisma, è il retaggio ereditato dagli antenati attraverso la tradizione, allora il lavoratore dipendente, che non possiede nulla di suo, non trae alcun vantaggio dalla patria. Essa va respinta come vuoto sentimentalismo, che le classi dominanti sfruttano per meglio asservire i popoli e di cui i proletari debbono sbarazzarsi per il progresso del mondo.
I nazionalismi, sia nella versione nata dalla Rivoluzione francese, sia in quella rivisitata all’inizio del secolo XX con l’intento di combattere il socialismo, hanno sostituito al concetto di patria quello di nazione, facendo di quest’ultimo lo strumento per esportare nel mondo la rivoluzione della borghesia imprenditrice, ovvero per affermare imperialisticamente la supremazia di una particolare struttura statuale sulle altre. Entrambe le forme di nazionalismo, sia quello di matrice democraticistica, che quello di matrice liberal-autoritaristica, si caratterizzano per l’odio contro le piccole patrie, che costituiscono, invece, l’humus indispensabile su cui le patrie grandi fioriscono. Come, riguardo alla proprietà, sulla diffusione del diritto in tutti gli strati sociali cresce la cultura della proprietà come bene comune di tutto il popolo, così, riguardo alla patria, sul rispetto delle comunità minori cresce la cultura della patria come retaggio comune del popolo unito.
3. Dopo la tragedia delle due guerre mondiali e il crollo degli Stati istituzionalmente basati sul comunismo, il fondamento unificatore della società è stato dapprima individuato nel concetto di Stato — magari enfaticamente denominato come “di diritto” — e poi in quello della sovranità della legge, quasi che l’uomo nascesse in nessun luogo, privo di padre e di madre, al di fuori di una qualsiasi famiglia, e come se potesse vivere senza attingere dalle radici del proprio passato il nutrimento necessario per la crescita spirituale e culturale.
In realtà, l’odio contro la tradizione e la negazione della giustizia, da cui scaturisce l’amore per la patria, sono il frutto di una volontà pervicace, che opera plurisecolarmente nella storia, in guise diverse, ma ultimamente convergenti, con l’obiettivo di estinguere il fondamento sacrale della convivenza civile, che sta alla base del vero patriottismo.
Ricorda infatti san Tommaso che i destinatari della pietà, parte della giustizia, sono due, distinti tra loro: i genitori, con i parenti, da un canto, e, dall’altro, la patria, comprensiva dei concittadini e dei promotori della convivenza civico-politica, che ben possono essere definiti come gli “amici della patria” (5).
Il fondamento etico dell’amor di patria — spiega padre Perotto — “[…] è la nozione globale di paternità rapportata a Dio stesso” (5): la paternità si riferisce in modo eminente alla creazione di Dio, ma include altresì la generazione, e si prolunga tanto nella crescita fisica, pedagogica e intellettuale, quanto nella autorealizzazione della vita lavorativa.
Anche i genitori, pertanto, come gli antenati e la patria partecipano, in modo derivato, alla paternità di Dio: se la pietà allora è dovuta in modo eminente a Dio, “[…] perchè infinitamente grande, e causa prima per noi dell’essere e dell’agire“, come dice san Tommaso (7), essa spetta anche ai genitori, ai parenti e alla patria, perché, per volontà di Dio inscritti nell’ordine della natura creata, pure essi partecipano al compito divino di generare, venendo al secondo posto come principio del nostro essere.
4. L’amore per la patria non è, pertanto, un sentimentalismo emotivo, attributo evanescente di qualche sensibilità particolare, né creazione arbitraria di una morale civile a beneficio di coloro che governano lo Stato, bensì “[…] una realtà naturale, oggettivamente fondata sulla concretezza innegabile di ciò che è e significa essere generati alla vita e cresciuti in una determinata terra, con il suo clima, il suo humus di usi, cibi, cultura” (8).
Quale sia il girovagare di ciascuno nel mondo o il luogo nel quale sia esercitata l’attività lavorativa, il richiamo della patria costituisce appello concreto alla sfera della vita etica, che impone, per ragione stretta di giustizia, contegni di rispetto e di devozione, di servizio e di sacrificio, fino all’estremo della donazione dei beni più preziosi, come la libertà e la vita.
L’amore per la patria si rapporta strettamente all’amore per i genitori e i parenti. Vero che pietà filiale e pietà per la patria sono forme etiche con oggetto distinto: ma non vi è patria senza padre, e non vi è padre senza patria. Etimologicamente patria è da pater: essa indica il retaggio e l’eredità familiare; il capitale di buone azioni che si sono costituite in santità, eroismo e cultura, veicolato da una generazione all’altra grazie alla tradizione, con l’apporto indispensabile che ciascun padre reca perché la catena non si interrompa e le radici non siano tagliate.
5. Nella nostra epoca, insieme materialistica e spiritualistica, si è persa l’idea dell’incarnazione, secondo cui, come l’uomo è composto di anima e di corpo, così l’eredità spirituale si trasmette attraverso il vincolo del sangue, in un legame che unisce, nella concretezza della famiglia presente, il passato storico degli antenati con la proiezione futura della famiglia formata dai figli dei figli.
Nella patria sono congiunte indissolubilmente le categorie del tempo e dello spazio, in un presagio di permanenza e di stabilità, che costituisce quasi figura della vita al di là del tempo, non a caso contemplata da san Tommaso come “Patria della gloria” (9). Nella benevolenza verso i compatrioti s’intravede l’orizzonte della patria proiettata verso il destino eterno. La distinzione tra patria terrena e Patria eterna non è separazione, né indifferenza dell’una rispetto all’altra: la Patria eterna consente di meglio comprendere il significato della patria terrena, il suo valore transeunte e non definitivo, la rilevanza della convivenza politica per la salvezza individuale, e, all’inverso, l’importanza decisiva della virtù dei singoli per la migliore costituzione politica, nonché la legittimità e la bellezza delle altre patrie, in un’armonia che soltanto il riferimento a Dio rende meno labile e tormentata.
Come la patria è il legame tra le generazioni nel tempo, così essa è il legame tra gli uomini che vivono nello stesso luogo. La nascita è un evento che avviene in un tempo e in luogo determinati: stretta è la relazione che unisce i genitori alla patria, “[…] dai quali e nella quale siamo nati e siamo stati allevati” (10). Il concetto della procreazione è da san Tommaso straordinariamente dilatato, “[…] per cui l’evento della nascita, imputabile esclusivamente ai genitori e determinabile a un preciso momento temporale, viene visto nella continuità della vita che cresce e si sviluppa: con l’educazione e l’autorealizzazione personale in un delimitato ambito territoriale, psicologico e sociale” (11).
Ai consanguinei, come cerchia di coloro che appartengono allo stesso ceppo familiare, corrispondono “gli amici della patria” (12), come gruppo di coloro che si rendono meritevoli, per le buone azioni compiute, verso l’insieme delle famiglie che vivono su un medesimo territorio. L’individuo singolo, situato in modo preciso nel tempo grazie alla continuità familiare, è così ancorato al territorio, mediante un legame che ne spiega le origini, ne orienta le potenzialità e ne moltiplica le energie. Il radicamento nel territorio, il ritorno alle radici, evocati da tanta letteratura moderna, trovano nella dottrina classica e cristiana sulla virtù della pietà il loro pieno compimento. L’uomo non nasce e non vive da solo: senza la madre che lo raccoglie dalla nuda terra, lo nutre e lo protegge per lungo tempo; senza i genitori che protraggono la generazione con l’educazione dell’esempio e la tradizione della legge naturale indispensabile per vivere in modo degno dell’uomo, il piccolo di uomo presto diventerebbe selvaggio e la società rischierebbe di dissolversi.
6. L’amor di patria, allo stesso modo che l’amor filiale, possiede un carattere di naturale sacralità. Cicerone, vertice dell’umanesimo pre-cristiano, aveva ricordato che la pietà, già grande verso i parenti, “raggiunge il massimo verso la patria” (13). La patria, invero, continua nel tempo e rende possibile nello spazio il principio di essere, partecipato agli uomini dalla paternità fontale di Dio; essa protegge come “governo” l’humus in cui si forma ciascuna esistenza concreta e garantisce le condizioni in cui si attua, mercé soprattutto il lavoro, l’autorealizzazione creatrice di ogni singolo uomo.
La religiosità di cui è impregnata la pietà verso la patria non appartiene specificamente al cristianesimo o ad alcuna religione particolare; essa è propria dell’uomo naturalmente religioso, che si riconosce bisognoso, al di là e oltre le radici terrene, di ritrovare la Prima Radice: Dio Creatore, Redentore e termine ultimo del suo percorso terreno.
Per questo giustamente Jean Madiran ha definito Charles Maurras (1868-1952), che fu pensatore politico non cattolico, ma strenuo sostenitore del patriottismo terreno, “pius Maurras”, per aver insegnato, in un’epoca particolarmente carente di sensibilità religiosa, che sostanza spirituale di qualsiasi giustizia sociale è la virtù della pietà verso la patria (14).
Che l’uomo nasca debitore, e non padrone di ogni cosa, è verità naturale che l’antichità classica ci ha trasmesso e che soltanto le ideologie moderne hanno rinnegato, proclamando il culto dell’uomo assoluto, chiuso in se stesso, cui tutto è dovuto, ma che nessun dovere astringe. Ai genitori, agli antenati, alla patria, che ci hanno trasmesso la vita fisica e insegnato la legge naturale, dobbiamo la pietà che si deve al principio, seppur derivato e non primario, del nostro essere e del nostro agire: fondamento solido e insostituibile di ogni edificio sociale.
7. Il ritorno all’amore di patria, dopo una così lunga eclisse, costituisce la miglior medicina contro ogni forma di laicismo ingiustificato e contro ogni forma di vuoto legalismo, che vogliono vanamente fondare la convivenza civile sul rifiuto di Dio o sull’indifferenza religiosa, pretendendo al contempo dal cittadino una moralità pubblica che è impossibile mantenere senza la grazia che viene dall’alto e l’alimento concreto che fluisce dalle radici di una tradizione storica ricevuta e vissuta con gratitudine verso gli antenati che hanno contribuito a formarla.
La fine delle ideologie nella tragedia delle guerre mondiali e nella desolazione dei materialismi contemporanei, di matrice tanto socialista che edonista, costituisce il segno che è possibile e giusto riproporre l’amor di patria come fondamento di un rinnovato ordine politico e sociale.
Mauro Ronco
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(1) Marco Tullio Cicerone, 2 De Invent. Rhet., c. 53, cit. in san Tommaso d’Aquino, La Somma Teologica, II-II, questione 101, a. 1, trad. it. e commento a cura dei domenicani italiani, testo latino dell’edizione leonina, vol. XIX, Le altre virtù riducibili alla giustizia (II-II, qq. 101-122), ESD. Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1985, pp. 20-21.
(2) Luigi Alfonsi, voce Cicerone, Marco Tullio, in Centro di Studi Filosofici di Gallarate, Enciclopedia Filosofica, ristampa aggiornata della seconda edizione interamente rielaborata, II, EDIPEM, Roma 1979, coll. 250-254 (col. 253).
(3) San Tommaso d’Aquino, loc. cit.
(4) Cfr. padre Lorenzo Perotto O.P., La patria in S. Tommaso. Antinomie tra diritto all’autodeterminazione dei Popoli e pacifica convivenza fra gli Stati, in San Tommaso d’Aquino Doctor Humanitatis. Atti del IX Congresso Tomistico Internazionale, I, Pontificia Accademia di S. Tommaso-Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1991, pp. 280-293.
(5) San Tommaso d’Aquino, loc. cit., ibidem.
(6) Padre L. Perotto O.P., intervento cit., p. 284.
(7) San Tommaso d’Aquino, loc. cit., ibidem.
(8) Padre L. Perotto O.P., intervento cit., p. 285.
(9) Cit. ibid., p. 292.
(10) San Tommaso d’Aquino, loc. cit., ibidem.
(11) Padre L. Perotto O.P., intervento cit., pp. 286-287.
(12) San Tommaso d’Aquino, loc. cit., ibidem.
(13) Cit. in padre L. Perotto, intervento cit., p. 287.
(14) Cfr. Jean Madiran, Maurras, Nouvelles Éditions Latines, Parigi 1992, pp. 129-139.