Stefano Nitoglia, Cristianità n. 404 (2020)
La pubblicazione di una lettera dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò sul blog di Sandro Magister Settimo Cielo, il 6 luglio 2020 (1), ha rinfocolato — a proposito del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) — la polemica sulla cosiddetta «riforma nella continuità» esposta da Papa Benedetto XVI (2005-2013) nel discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005 (2). Sul tema è intervenuto anche il card. Walter Brandmüller, già presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, uno dei principali sostenitori della tesi di Papa Ratzinger, con una conferenza tenuta nel corso di un seminario di studi organizzato dalla Scuola Ecclesia Mater, pubblicata nella sua versione integrale anche in video il 24 giugno 2020 sul blog Stilum Curiae di Marco Tosatti (3) e il 6 luglio sul blog Settimo Cielo, di Magister (4), nella quale il novantunenne porporato tedesco dà un’articolata lettura storico-teologica del Concilio Ecumenico Vaticano II e dei concili in generale.
Riportiamo di seguito un’ampia sintesi dell’intervento dell’illustre cardinale, rimandando alle citate pubblicazioni per coloro che volessero leggere o ascoltarne il testo integrale.
L’interpretazione dei documenti conciliari «[…] è e rimane un’impresa audace» — ha esordito il card. Brandmüller — citando il noto episodio, raccontato da sant’Agostino di Ippona (354-430), del bambino che voleva svuotare l’acqua del mare con un secchiello: infatti, non si può «mai cogliere la pienezza della verità divina».
Il Vaticano II, che appare «come un concilio dei superlativi» — per il numero dei vescovi partecipanti e per quello dei giornalisti presenti, che lo hanno reso «un evento mediatico di prima categoria», e per la mole dei documenti prodotti — ha anche dato forma «ad un nuovo tipo di concilio»: un concilio pastorale, che non ha espresso condanne dottrinali, ma ha usato la medicina della misericordia, venendo incontro alle necessità del mondo moderno ed esponendo più chiaramente le verità di fede, invece che esprimere condanne.
Però, ha tenuto a precisare il porporato, a cinquant’anni dalla sua conclusione sappiamo che «[…] il concilio avrebbe scritto una pagina più gloriosa se, sulle orme di Pio XII [1939-1958], avesse trovato il coraggio di una ripetuta ed espressa condanna del comunismo. La paura di pronunciare condanne dottrinali e definizioni dogmatiche, invece, ha portato a far sì che alla fine del concilio ci fossero delle affermazioni conciliari dal grado di autenticità, e pertanto anche dal carattere vincolante, completamente diverso. Così, per esempio, le Costituzioni “Lumen gentium” sulla Chiesa e “Dei Verbum” sulla rivelazione divina hanno senz’altro la natura e il carattere vincolante di insegnamenti dottrinali autentici — sebbene anche qui nulla sia stato definito in modo vincolante in senso stretto — mentre per esempio già la Dichiarazione sulla libertà di religione “Dignitatis humanae” secondo Klaus Mörsdorf [1909-1989] “prende posizione su questioni del tempo senza un chiaro contenuto normativo”. Di fatto, ciò vale per i documenti disciplinari, che regolano la prassi pastorale. Il carattere vincolante dei testi conciliari è quindi di grado diverso».
Il cardinale ha sostenuto, contro i teorici della «rottura», l’esistenza di uno stretto rapporto fra il Vaticano II e tutta la Tradizione della Chiesa. Una prova di ciò la troviamo analizzando quanto i testi conciliari hanno attinto alla Tradizione. La Costituzione conciliare Lumen gentium, per esempio, contiene numerosi richiami ai concili e ai Pontefici precedenti, come pure ai Padri e ai Dottori della Chiesa. «Si può così constatare che all’interno del documento vengono citati addirittura dieci concili precedenti. Tra questi, il Vaticano I viene portato come riferimento 12 volte, il Tridentino ben 16. Già da questo si evince che, per esempio, un “distacco da Trento” va escluso in maniera assoluta».
Nella sua interpretazione non si può parlare di concilio «evento», ma dei documenti del concilio. «Una preoccupazione centrale tangibile in molte affermazioni di Benedetto XVI è stata quella di mettere in risalto lo stretto collegamento organico del Vaticano II con il resto della Tradizione della Chiesa, evidenziando così che un’ermeneutica che crede di scorgere nel Vaticano II una rottura con la tradizione sbaglia».
L’ermeneutica della rottura, teorizzata sia dai progressisti sia da alcune correnti tradizionaliste, è sbagliata. «La presunzione di una rottura nell’insegnamento e nell’azione sacramentale della Chiesa è impossibile anche solo per ragioni teologiche. Se crediamo alla promessa di Gesù Cristo di rimanere con la sua Chiesa sino alla fine dei tempi, di inviare lo Spirito Santo che ci introdurrà nella ricchezza della verità, allora è addirittura assurdo pensare che l’insegnamento della Chiesa, trasmesso in modo autentico, nel tempo si possa dimostrare sbagliato nell’uno o l’altro punto, o che un errore da sempre rigettato si possa in qualche momento, rivelare come verità. Chi lo ritenesse possibile, sarebbe vittima di quel relativismo per il quale la verità è essenzialmente soggetta alla mutevolezza, ossia in realtà non esiste affatto».
Ogni concilio dà alla Tradizione un proprio contenuto specifico, attraverso un «[…] processo di sviluppo, chiarimento, discernimento, e ciò con l’aiuto dello Spirito Santo, un processo che porta a far sì che ogni concilio, con le sue dichiarazioni dottrinali definitive, entri come parte integrante nella Tradizione complessiva della Chiesa».
Da questo punto di vista, i concili sono sempre aperti in avanti, verso un annuncio dottrinale più completo, chiaro e attuale, mai rivolti all’indietro. «Un concilio non potrà mai contraddire quelli che lo hanno preceduto, ma può integrare, precisare, proseguire».
Il Vaticano II è un concilio «tra, accanto e dopo gli altri»; né al di sopra né al di fuori. Il magistero post-conciliare ha tolto le basi a qualsiasi interpretazione errata del Vaticano II, sia a quelle progressiste sia a quelle di stampo tradizionalista. Tutti i testi conciliari nascono da una situazione particolare e sono determinati da essa. L’orizzonte ermeneutico si sposta in funzione della distanza dell’interprete attuale da quello di allora.
«L’elemento decisivo dell’orizzonte interpretativo è la trasmissione autentica, non lo spirito del tempo. Ciò non può assolutamente significare rigidità e immobilità. Lo sguardo all’oggi non deve venir meno. Sono le domande attuali quelle che esigono una risposta. Ma gli elementi che compongono la risposta non possono che provenire dalla Rivelazione divina, offerta una volta e per sempre, che la Chiesa ci trasmette autenticamente nei secoli. Tale trasmissione costituisce dunque anche il criterio al quale deve rifarsi ogni nuova risposta se vuole essere vera e valida».
La verità della rivelazione è certamente eterna e immutabile, ma è altrettanto vero che il processo del riconoscere questa verità da parte dell’uomo è soggetto al cambiamento, come lo è l’uomo: nasce bambino e diventa adulto, ma è sempre lo stesso. La comprensione più profonda si ha nel tempo. Non si può interpretare il Vaticano II come se fossimo nel 1965.
Le dichiarazioni conciliari Nostra aetate e Unitatis redintegratio, criticate dai tradizionalisti, nascono dall’esperienza del totalitarismo del secolo XX e dalla persecuzione degli ebrei e vanno letti in quel contesto.
La dichiarazione Dominus Iesus (5) ha tolto ogni possibilità di errore in merito indicando in modo inequivocabile Gesù Cristo come unica via per la salvezza eterna e la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica di Gesù Cristo come unica comunità di salvezza per ogni uomo.
«A tale proposito, è bene assicurare ai sostenitori della “assoluta a-storicità della verità” che nessun teologo o filosofo dotato di buonsenso parlerebbe di mutevolezza, di volubilità della verità. Ciò che invece cambia, che è sottoposto a mutamento, è il riconoscimento, la consapevolezza della verità da parte dell’uomo, il quale cambia totalmente. Occupa qui un posto di eccellenza la professione di fede del Popolo di Dio, che Paolo VI ha proclamato nel momento culminante della crisi postconciliare».
Simili considerazioni valgono a proposito del significato dell’espressione «subsistit in» (6). «Se nel discorso ecumenico c’erano state affermazioni che potevano suscitare l’impressione che la Chiesa cattolica fosse solo uno tra i molteplici aspetti della Chiesa di Gesù Cristo, l’interpretazione di “subsistit in”, anch’essa confermata da Dominus Jesus, ha eliminato ogni malinteso».
A proposito delle accuse di contraddizione fra il Sillabo e la Dignitatis humanae, lo storico della Chiesa ha fatto presente che i due documenti sono nati in un contesto storico diverso e devono rispondere a situazioni differenti. La verità non è a-storica. Bisogna contemplare i documenti conciliari nel loro contesto, ricercando le intenzioni di coloro che li hanno preparati e quindi interpretarli alla luce del magistero successivo.
«In sintesi: il “Syllabus” difendeva la verità, il Vaticano II la libertà della persona».
Il card. Brandmüller accenna infine «[…] all’ottimismo mondano, evidentemente un po’ ingenuo, che aveva animato i padri conciliari durante la redazione di “Gaudium et spes”». Appena terminato il concilio divenne sempre più evidente, però, che il «mondo» stava subendo un processo di secolarizzazione sempre più rapido: «Bisognava pertanto ridefinire il rapporto tra la Chiesa e “questo mondo” — come lo chiama Giovanni [Gv. 8,23] — e completare, interpretare, il testo conciliare, per esempio nel senso dei discorsi di Benedetto XVI durante la sua visita in Germania. Ciò significa però che una interpretazione attuale del concilio, che faccia emergere l’essenza dell’insegnamento conciliare rendendolo fecondo per la fede e l’insegnamento della Chiesa del presente, deve leggere i suoi testi alla luce di tutto il magistero postconciliare e intendere i suoi documenti come attualizzazione del concilio.
«Come evidenziato all’inizio: il Vaticano II non è il primo né sarà l’ultimo concilio. Ciò significa che le sue dichiarazioni magisteriali devono essere esaminate alla luce della tradizione, vale a dire interpretate in modo tale da poter individuare, rispetto ad essa, un ampliamento, un approfondimento o anche una precisazione, ma non una contraddizione».
Occorre leggere i testi conciliari alla luce di tutto il magistero post-conciliare. Non si tratta della consegna di un pacchetto ben sigillato ma di un processo organico.
«Bisogna andarci piano, dunque — è l’esortazione finale del cardinale — anche nel dibattito sul Vaticano II e la sua interpretazione, che deve a sua volta avvenire sullo sfondo della situazione mutata nel tempo. A tale riguardo il magistero dei papi postconciliari ha dato contributi importanti, di cui però non si è tenuto sufficientemente conto, mentre bisognerebbe prenderne atto proprio nel dibattito attuale.
«Poi, in questa discussione, è bene ricordare il monito alla pazienza e alla modestia di san Paolo a Timoteo (2 Tim 4,1 s.).
«Purtroppo, tali confronti continuano ad assumere forme che mal si accordano con l’amore fraterno. Dovrebbe essere possibile conciliare lo zelo per la verità con la correttezza e l’amore del prossimo. In particolare, sarebbe opportuno evitare quella “ermeneutica del sospetto” che accusa l’interlocutore in partenza di concezioni eretiche.
«In sintesi — conclude il porporato —: le difficoltà nell’interpretazione dei testi conciliari non derivano soltanto dal loro contenuto. Bisognerebbe tenere in considerazione sempre più il modo in cui si svolgono le nostre discussioni a riguardo».
Stefano Nitoglia
Note:
1) Cfr. La lettera dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò, del 3-7-2020, nel sito web <http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2020/07/06/sul-concilio-una-lettera-di-vigano-e-una-lezione-di-brandmuller-chi-ha-ragione-e-chi-no> (gl’indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 23-9-2020).
2) Cfr. Benedetto XVI, Discorso ai Cardinali, agli Arcivescovi, ai Vescovi e ai Prelati della Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi, del 22-12-2005.
3) Cfr. Brandmüller: il Vaticano II e le difficoltà dell’interpretazione, nel sito web <https://www.marcotosatti.com/2020/06/24/brandmuller-il-vaticano-ii-e-le-difficolta-dellinterpretazione>.
4) Cfr. La «lectio magistralis» del cardinale Walter Brandmüller, nel sito web <http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2020/07/06/sul-concilio-una-lettera-di-vigano-e-una-lezione-di-brandmuller-chi-ha-ragione-e-chi-no>.
5) Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione «Dominus Iesus» circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della chiesa, del 6-8-2000.
6) «Questa Chiesa [di Cristo], in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella [subsistit in] Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui […], ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica» (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa «Lumen gentium», del 21-11-1964, n. 8). Cfr. in proposito anche il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa, del 29-6-2007, pubblicato il 10 luglio di quell’anno con l’approvazione di Papa Benedetto XVI.