Come seguire le tracce del fascino che Cristo continua a esercitare nel mondo degli audiovisivi, dalle origini ai giorni nostri.
di Luca Finatti
Sta crescendo, attraverso il passaparola tra amici fidati, la diffusione della web serie The Chosen, dedicata alla vita di Gesù, che si può guardare sul sito della casa di produzione oppure sull’applicazione specifica per smartphone, tenendo conto che l’opera è in originale inglese con i sottotitoli, il che non rende sempre agevole seguire la storia, vista la verbosità, la velocità e a volte l’approssimazione della traduzione italiana.
I numeri di visualizzazioni in rete variano da 150.000.000 a un miliardo, ma è meglio non esagerare.
In Italia ci sono già recensioni lusinghiere di autorevoli critici cinematografici cattolici come Armando Fumagalli e Franco Olearoi, cui rimando per competenza e chiarezza nell’analisi tecnica e contenutistica dei pregi e dei difetti.
Vorrei proporre invece una riflessione sul fascino della personalità di Gesù Cristo nel mondo degli audiovisivi, attraverso una sommaria carrellata storica, anche per aiutarci a comprendere che cosa, forse, apporti di nuovo questa serie recente, giunta alla seconda stagione, ma che vorrebbe continuare ancora a lungo. Ciò potrà però avvenire soltanto grazie a quel sistema di finanziamento collettivo (crowdfunding nel gergo tecnico anglofono) che ha permesso finora di raggiungere la cifra di 10.000.000 di dollari per ciascuna stagione, grazie alle donazioni di più di 125.000 persone: un metodo che rende una produzione indipendente dal possibile conformismo culturale delle grandi piattaforme digitali e dai condizionamenti della pubblicità.
Cenni di Storia del genere cristologico
Fin dalle origini della storia del cinema, la vita di Gesù Cristo ha ispirato film variegati, intrigando anche artisti importanti e dando origine a un vero e proprio “genere cristologico”ii, di volta in volta cartina di tornasole delle diverse interpretazioni teologiche e sociologiche sulla figura di Gesù che hanno caratterizzato il secoloXX.
Ai tempi del cinema muto, furono autentici capolavori Christusiiidi Giulio Antamoro (1877-1945), l’episodio della Passione in Intoleranceiv di David Wark Griffith (1875-1948) e la prima parte di Pagine dal libro di Satanav di Carl Theodor Dreyer (1889-1968), pionieri di una nuova arte che ancora doveva molto alla teatralità della costruzione scenica e a una recitazione che puntava tutto sull’accentuata stilizzazione dei gesti e sulla sacralità della rappresentazione, intesa come radicale alterità tra il Dio-uomo e il resto dei personaggi.
Venne poi l’epoca del cinema cosiddetto classico perché dominato dal modello hollywoodiano che s’impose in tutto il mondo occidentale: artificiosità e fasto della messinscena, linearità narrativa coinvolgente e accattivante, chiarezza nella distinzione tra i buoni e i cattivi, trionfo del divismo.
La più grande storia mai raccontatavidi George Stevens (1904-1975) è probabilmente il miglior esempio di questo modello dove Gesù, interpretato dallo statuario Max von Sydowvii (1929-2020), sembra a volte più un pretesto per esaltare lo splendore delle spettacolari scenografie naturali, mentre la recitazione e la regia s’incagliano spesso in un’enfasi estetizzante che rendono la storia assai poco verosimile, nonostante la bontà delle intenzioni e il rispetto del testo evangelico.
Con la modernità cinematografica, che inizia verso la fine degli anni 1950, ci si ribella al modello estetico e produttivo precedente, in genere legato a preoccupazioni industriali e commerciali, puntando invece a “un abbondante uso di attori non professionisti o alla ricerca di attori lontani dal divismo consolidato, dove le scene sono il più possibile realistiche, il racconto si indebolisce, la spettacolarità scompare e dove l’estensione delle sequenze tende a limitare la forza del montaggio. Tutto ciò serve essenzialmente nell’opera di denuncia dell’inautenticità della finzione”viii.
Il Vangelo secondo Matteoixdi Pier Paolo Pasolini (1922-1975), preceduto da La ricottax che ne anticipava alcuni temi, è l’esempio più suggestivo e riuscito dal punto di vista artistico, fatta la tara all’ideologia marxista di fondo, che però non scalfisce la forza del testo evangelico, rispettato alla lettera, mentre la severità da icona bizantina del volto dell’attore Enrique Irazoqui Levi (1944-2020) dà vigore alle parole del Cristo, facendo emergere, soprattutto dal tono della recitazione, l’insistenza sulla virtù della giustizia.
Sulla scia della rivoluzione culturale sessantottina, non mancarono poi ricostruzioni ancora più ideologiche e trasgressive come il musical Jesus Christ Superstarxi di Norman Jewinson, oppure opere stilisticamente sciatte e superficialmente umanistiche come Il Messiaxii di Roberto Rossellini (1906-1977).
Proprio in questo periodo, a metà degli anni 1970, la televisione cominciò a investire in modo massiccio su opere esplicitamente religiose: Gesù di Nazarethxiii di Franco Zeffirelli (1923-2019) fu la prima miniserie tv – allora si chiamavano sceneggiati – trasmessa in 5 puntate su RAI 1 nel 1977..
In quest’opera incede un Cristo solenne, dove tradizione pittorica rinascimentale, sincero afflato religioso e una certa dose di oleografia, confezionarono un prodotto molto amato dal pubblico e abbondantemente utilizzato per la catechesi parrocchiale, che spinse la televisione pubblica verso progetti di più ampio respiro, dedicati a vari personaggi della Bibbia, grazie soprattutto alle opere della casa di produzione Lux Vide, fondata nel 1992 da Ettore Bernabei (1921-2016), che scelse come modello produttivo e cifra estetica proprio quello sperimentato da Zeffirelli.
Dopo il periodo classico e quello moderno,a partire dagli anni 1980 anche nel cinema si parla di postmodernità, caratterizzata spesso dalla ripresa di opere e autori del passato, reinterpretati in chiave nichilista o relativista. Nel caso di Gesù fecero scalpore e scandalo alcuni film esplicitamente eretici come Je vous salue, Mariexiv di Jean-Luc Godard e L’ultima tentazione di Cristoxvdi Martin Scorsese.
Il postmoderno però è un periodo storico contraddittorio, in cui a chiari segni di decomposizione della civiltà cristiana, si affiancano interessanti esperimenti di revival e segnali di resistenza come La Passione di Cristoxvi di Mel Gibson che, attraverso un linguaggio cinematografico classico, restituisce la verità delle ultime ore del sacrificio di Gesù, mescolando il rispetto dell’ortodossia dei Vangeli alla pia tradizione della Via crucis; riferimenti iconografici all’uomo della Sindone, illuminati da sprazzi di luce caravaggesca; una recitazione ieratica e sacrale, in latino, ebraico e aramaico, con inserimenti di visioni della beata Anna Katharina Emmerick (1774-1824).
Il fenomeno dei Christian Film
Il successo e le polemiche che accompagnarono il film di Gibson non diedero seguito ad altre operazioni culturali di questo tipo e negli ultimi vent’anni il volto di Cristo sembra sparito, sia dal cinema popolare che da quello autoriale, mentre si è sviluppato tutto un sottobosco di prodotti audiovisivi ispirati cristianamente, nati all’interno delle comunità cristiane protestanti statunitensi, che ogni tanto arrivano anche in Italia, ma che sono rivolti anzitutto a un pubblico di nicchia, appunto quelle stesse comunità che li producono e li fanno girare nei propri ambienti, anzitutto per accrescere il fervore di chi crede.
Sono opere che raramente entrano nei circuiti commerciali ordinari perché il livello tecnico, estetico e retorico – inteso come costruzione del racconto – quasi mai arriva a emozionare e convincere coloro che già non sono predisposti a opere del genere, ma rimangono comunque tentativi encomiabili di evangelizzazione dei mediaxvii.
The Chosen nasce proprio all’interno di questo crogiuolo culturale e dall’idea di Dallas Jenkins che recentemente ha dichiarato: “All’inizio il nostro pubblico principale era quello dei credenti perché erano più attratti dalla storia di Gesù; man mano però che il ronzio è cresciuto, sentiamo continuamente atei, agnostici, persone del settore, anche le famiglie e gli amici del nostro cast, molti dei quali non sono credenti, che hanno semplicemente adorato la serie”.
L’ attore Jonathan Roumie, che interpreta Gesù, è un cattolico newyorkese di padre egiziano che l’11 agosto scorso, insieme a Dallas Jenkins, ha partecipato all’udienza generale nell’aula Paolo VI, scambiando poi qualche parola con Papa Francesco e rilasciando una lunga intervista sulla sua fede e sul suo pellegrinaggio alla tomba di san Pio da Pietrelcina (1887-1968) a cui è particolarmente devoto.
Gli sceneggiatori della serie sono due, oltre all’ideatore, e si avvalgono della consulenza di Doug Huffman, docente di Teologia ed esegesi biblica, del sacerdote cattolico David Guffey e del rabbino messianico Jason Sobelxviii. Non è un caso, dunque, che la ricostruzione storica dell’ambiente ebraico sia accurata: uno dei personaggi più riusciti della prima stagione è certamente il rabbino Nicodemo, in particolare nella scena del dialogo con Gesù.
Le molte puntate finora realizzate permettono inoltre di ben caratterizzare gli apostoli, di immaginare il loro passato, di raccontare l’amicizia e le baruffe all’interno del gruppo degli apostoli, ritratti verosimilmente come giovani inconsapevoli e stupiti di ciò a cui sono stati chiamati.
“Voi chi dite che io sia?” (Mt 16,15)
Considerando che la seconda serie si conclude con l’inizio ufficiale della Sua missione, qui fatta coincidere con il discorso delle beatitudini, quale immagine di Gesù ci offre questo interessante prodotto audiovisivo?
Credo anzitutto quello di un uomo buono, quasi sempre sorridente, che abbraccia le persone in difficoltà e scherza con gli amici. Ma questo non significa che venga tralasciata la sua divinità, come spesso accade nei film dell’epoca moderna e postmoderna del cinema, anzi, più volte Gesù sottolinea la sua necessità di appartarsi e pregare, oltre a dire e a fare capire chiaramente, in alcuni episodi, di essere il Figlio di Dio.
Certo è un Cristo al di fuori di ogni iconografia tradizionale, sia pittorica che cinematografica; a volte sembra che il genere a cui la serie principalmente s’ispiri sia il western classico, per l’amicizia virile degli apostoli, i personaggi ben incastonati in ambienti naturali suggestivi, il pudore e la tenacia delle donne.
Il livello artistico non raggiunge (ancora) quello delle serie più famose, ma poco ci manca, e l’intenzione di realizzare un’opera intrisa di fede è evidente.
“Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15, 14-15).
Ecco, questo Gesù è narrato come l’Amico che tutti vorremmo avere, perché ricco di umanità e perché ci accompagna a scoprire la misericordia del Padre.
Sabato, 6 novembre 2021
i Si può leggere sia la recensione alla prima che alla seconda stagione.
iiCfr. Paola Dalla Torre – Claudio Siniscalchi, Il “genere cristologico”: un canone cinematografico, in Iidem (a cura di), Cristo nel cinema. Un canone cinematografico, Ente dello Spettacolo, Roma, 2004, p. 35.
iiiCfr. Christus, regia di G. Antamoro, Italia, 1916.
ivCfr. Intolerance, regia di D. W. Griffith, USA, 1916.
vCfr. Pagine dal libro di Satana (Blade af Satans Bog), regia di C. T. Dreyer, Danimarca, 1920.
viCfr. La più grande storia mai raccontata (The Greatest Story Ever Told), regia di G. Stevens, USA, 1965.
vii L’attore fu il protagonista di un capolavoro della spiritualità cristiana di ben altra bellezza artistica e profondità culturale: Il settimo sigillo (Det sjunde inseglet), regia di Ingmar Bergman (1918-2007), Svezia, 1957.
viii P. Dalla Torre – C. Siniscalchi, cit., p. 40.
ixCfr. Il Vangelo secondo Matteo, regia di P. P. Pasolini, Italia-Francia, 1964.
xCfr. La ricotta, regia di P. P. Pasolini, terzo episodio del film collettivo Ro.Go.Pa.G., Italia-Francia, 1963.
xiCfr. Jesus Christ Superstar, regia di N. Jewison, USA, 1973.
xiiCfr. Il Messia, di R. Rossellini, Italia- Francia, 1975.
xiiiCfr. Gesù di Nazareth, regia di F. Zeffirelli, Italia-Regno Unito, 1977.
xivCfr. Je vous salue, Marie, regia di J.L. Godard, Francia, 1985. Ricordiamo che san Giovanni Paolo II (1920-2005), dopo avere voluto vedere personalmente il film, il 4 maggio 1985 presiedette a un rosario di espiazione nella basilica di San Giovanni in Laterano.
xvCfr. L’ultima tentazione di Cristo (The Last Temptation of Christ), regia di M. Scorsese, USA, 1988.
xviCfr. La passione di Cristo (The Passion of the Christ), regia di M. Gibson, USA, 2004.
xviiUna canzone per mio padre, regia di Andrew Erwin e Jon Erwin, USA, 2018 e Unplanned – La storia vera di Abby Johnson, regia di Chuck Konzelman e Cary Solomon, USA, 2019, sono due tra gli esempi più riusciti di quello che è stato appunto denominato il genere cinematografico dei Christian Film.
xviii Per quanto riguarda le caratteristiche del rabbinismo messianico si può leggere questo interessante articolo: https://www.terrasanta.net/2008/07/gli-ebrei-che-credono-in-gesu/