di Vladimir Rozanskij da AsiaNews del 09/12/2020
La leader in esilio ha inviato una lettera al pontefice ricordando l’opera di mediazione di mons. Tadeusz Kondrusiewicz, in esilio forzato. Il richiamo alla “Fratelli tutti”. Nell’opposizione cresce un “Movimento cristiano”, a cui partecipano sacerdoti, teologi e semplici credenti ortodossi, cattolici e protestanti.
Mosca (AsiaNews) – Le proteste in Bielorussia stanno assumendo un carattere sempre più marcatamente “cristiano” a causa degli arresti di alcuni sacerdoti cattolici e ortodossi. La “leader in esilio” Svetlana Tikhanovskaja, come lei stessa si definisce, ha reso pubblica una lettera al papa di Roma Francesco, in cui spiega che la crisi della Bielorussia “è una questione non soltanto politica, ma anche morale, che riguarda la vita e la fede”. Nella lettera, Tikhanovskaja fa riferimento all’arcivescovo metropolita di Minsk, Tadeusz Kondrusiewicz, anch’egli in esilio, definendolo “il vero mediatore per la soluzione della crisi politica nel Paese” per i suoi immediati appelli al dialogo e all’interruzione delle violenze. A suo parere, l’arcivescovo rappresenta “la Chiesa che si mette al servizio del popolo, che esce di casa e dalle mura delle proprie chiese e sacrestie, per accompagnare la vita della gente, sostenere la speranza, essere segno di unità, costruire ponti e distruggere le barriere, per far crescere i semi della riconciliazione”.
Nel Comitato di coordinamento dell’opposizione bielorussa, nota la ex-candidata presidenziale, è attivato un gruppo di lavoro chiamato il “Movimento cristiano”, a cui partecipano sacerdoti, teologi e semplici credenti ortodossi, cattolici e protestanti, “che sognano di vivere insieme pacificamente, come veri fratelli”. La Tikhanovskaja intende proprio sintonizzarsi con l’enciclica di papa Francesco “Fratelli tutti”, in risposta alla quale ha deciso di inviare la sua lettera al papa.
A suo parere, il popolo bielorusso si è trovato per lunghi decenni nella condizione denunciata dall’enciclica, quando al n. 53 parla del fatto che “non c’è peggiore alienazione che sperimentare di non avere radici, di non appartenere a nessuno”. Dopo le tragedie e le oppressioni del secolo scorso, i bielorussi avevano scelto un governo “che garantisse la stabilità e la sicurezza, ma come si è visto, tutto questo a scapito della libertà, del diritto di scegliere, dell’autonomia”.
La lettera enumera i tanti interventi del clero e dei credenti di tutte le confessioni a sostegno della protesta popolare, e conclude augurando che le repressioni possano cessare quanto prima, e l’arcivescovo Kondrusiewicz possa tornare al suo gregge. Quindi la Tikhanovskaja si rivolge a papa Francesco: “A nome del popolo bielorusso, chiediamo a Sua Santità di rinnovare le sue preghiere e continuare a rivolgere a tutti le sue parole di verità e giustizia, che sono per noi tutti la vera benedizione”.
Nel Paese continuano intanto le contro la presidenza di Lukašenko. Il 6 dicembre le dimostrazioni hanno preso il titolo di “Marcia della Saggezza”, e si sono svolte secondo le modalità dell’ultima settimana, cioè attraverso riunioni di cortile e di caseggiato, per evitare scontri con le squadre degli Omon. Questo ha evitato eccessi di violenze durante gli arresti, ma non la loro quantità: anche stavolta sono state fermate 344 persone, secondo i comunicati ufficiali della polizia, per i quali sono stati arrestati tutti i “sabotatori e gli attivisti con la bandiera proibita della Bielorussia”, quella bianco-rosso-bianca.
In particolare, la polizia ha bloccato coloro che esponevano la bandiera con la scritta Volnaja Loshitsa, “Libera Cavallina”, dal nome di un popoloso quartiere periferico (appunto Loshitsa) della capitale Minsk, dove sorge l’ippodromo. Il titolo è diventato simbolico per tutti gli oppositori della capitale, ed è stato adottato anche dai molti bielorussi all’estero, che si uniscono ogni domenica alle proteste dei loro compatrioti nei luoghi di residenza.
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