Di Giulio Meotti da Il Foglio del 13/05/2023
Roma. “Un dato su tutti: siamo al record negativo di 339 mila nascite a fronte di 700 mila morti. Se non cambia qualcosa, tra qualche anno, crollerà tutto”.Lo ha detto ieri il presidente della Fondazione per la Natalità, Gigi De Palo, aprendo la terza edizione degli Stati generali dal titolo “Sos-Tenere#quota500mila”, a cui hanno preso parte anche Papa Francesco e la premier Giorgia Meloni. Due numeri su tutti. Uno dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara: “Dati alla mano vediamo quale impatto il futuro demografico avrà sulla scuola e sull’istruzione per il prossimo decennio. Il quadro è effettivamente allarmante. Fra dieci anni dagli odierni 7,4 milioni di studenti, dato del 2021, nell’anno scolastico 2033/34 si scenderà a poco più di sei milioni, a ondate di 110/120mila ragazzi in meno ogni anno”. Negli ultimi otto anni, in base ai dati del ministero, in Italia sono state chiuse 1.301 scuole, il 13,3 per cento. Attualmente ce ne sono 8.029. Al ritmo di 100 all’anno che chiudono, nel 2050 rimarranno meno di 5.000 scuole. Perderemo 3.000 scuole in una sola generazione. Scenari alla Multedo, nel Ponente ligure, dove la scuola Alfieri non avrà più la prima elementare: non ci sono più bambini.Poi ci sono i numeri del presidente dell’Istat, Giancarlo Blangiardo: “Se le cose dovessero muoversi come abbiamo visto noi perderemo quasi 500 miliardi di pil”. Un terzo del totale.“La popolazione italiana si sta riducendo al ritmo più veloce dell’occidente ed è in prima linea in una tendenza demografica globale, lo ‘tsunami d’argento’” scriveva qualche settimana fa il New York Times, spiegando che l’Italia potrebbe “sparire”. E concludendo la sua inchiesta, il giornale americano sottolineava che siamo “un laboratorio per molti paesi occidentali con popolazioni che invecchiano”. Il crollo è davanti a noi. Pienza, la perla di Enea Silvio Piccolomini, con una perdita annuale di venti abitanti in due generazioni sarà disabitata. Matera, con un saldo negativo di duecento all’anno, sarà dimezzata. Se le dinamiche non cambieranno, il destino della Sardegna è di diventare un deserto: secondo lo studio del Sardinia socio-economic observatory entro il 2080 l’isola avrà appena un milione di residenti, un calo del 34 per cento. Ci sono province, come Biella, dove non si nasce praticamente più. A Cetara, sulla costiera amalfitana, su duemila abitanti appena tre nati in un anno. Cinquemila tra borghi e piccoli comuni – l’Italia di cui le città si accorgono quando è il momento delle “vacanze intelligenti” – spariranno. Come Laviano nell’Irpinia campana, 1.600 abitanti. Quando il sindaco Falivena è stato eletto due numeri non lo hanno fatto dormire per giorni: quattro, il numero dei bambini nati a Laviano in un anno, e cinque, gli iscritti alla prima elementare del paese. In un paese con un debito pubblico di 40 mila euro pro capite, con una pressione fiscale pari al 43,5 per cento del prodotto interno lordo, il terzo paese più vecchio al mondo, in cui la percentuale di pensionati rispetto ai lavoratori passerà dal 37 per cento di oggi al 65 per cento nel 2040 (da uno su tre a due su tre), resta da capire se non sia già troppo tardi per uscire da quella che gli esperti chiamano “trappola della bassa natalità”, le sabbie mobili di civiltà in cui sprofondi senza riuscire più a venire fuori. Sapendo, come scriveva Cesare Pavese, che “chi non fa figli per non mantenerli, manterrà quelli degli altri”.