di Marco Respinti
Spettabili signori Marco Travaglio e Roberto Saviano, sono imbarazzato. È la prima volta che sono d’accordo con voi, e ancora mi lambicco il cervello per capire dove abbia sbagliato.
Di lei, Travaglio, leggo l’articolo I gonzi di Riace (in questi giorni di Nobel, non c’è quello per il titolista?), e di lei, Saviano, leggo, Il sindaco di Riace Domenico Lucano è stato arrestato per un peccato di umanità, comparsi l’uno su Il Fatto Quotidiano e l’altro su la Repubblica di ieri, 3 ottobre. La vicenda è quella, notissima, del primo cittadino della città calabra finito ai domiciliari per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e affidamento fraudolento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti a due cooperative della zona. Pare che, quanto alla prima accusa, il sindaco Lucano combinasse falsi matrimoni fra immigrate e italiani onde far avere la cittadinanza alle prime al di là delle regole della repubblica cui ha giurato fedeltà. Del resto, è la prima accusa quella che ha attirato la vostra attenzione, spingendovi a scomodare il concetto di “disobbedienza civile”.
Quello di “disobbedienza civile” è un principio nobile, e deve il nome all’omonimo pamphlet pubblicato nel 1849 da David Henry Thoreau (1817-1862), filosofo, scrittore e poeta statunitense, quintessenza del “trascendentalismo”, emblema del “progressismo nordista”, interprete del pensiero anarchico e capace di sontuosi ragionamenti sulla difesa della persona, sull’intangibilità della vita umana, sulla resistenza alla tirannia e persino ‒ dicendone bene ‒ sul Medioevo.
Lei, Travaglio, davanti al paradosso dell’uomo delle istituzioni che viola la legge volontariamente in nome di quello che ritiene essere un bene superiore, scrive: «se a violare una legge è colui che per primo dovrebbe rispettarla, perché ha giurato di adempiere a quel dovere o perché addirittura la legge l’ha scritta lui, salta il patto sociale che ci tiene tutti uniti e a quel punto vale tutto». Lo scrive come introduzione alla variante indipendente che nel suo articolo cala subito magistralmente in forma di domanda retorica: «Ma c’è un problema: se una legge è ritenuta ingiusta, disumana, immorale, che si fa? Si prova a cambiarla». Sacrosanto. E però – sono sempre parole sue -, «[…] se poi non ci si riesce, c’è una scelta estrema: quella della disobbedienza civile nonviolenta. Quella di Gandhi e dei suoi epigoni, giù giù fino a Pannella». Lei dice Gandhi e Pannella: de gustibus… Apprezzo però che, all’indirizzo di Pannella, dica «giù giù». Per nobilitare il ragionamento scomoda Sofocle e l’Antigone, ben fatto. Poi si perde in un’articolessa e allora io tengo la barra. La disobbedienza civile così nobilmente da lei invocata: quel diritto umano alla resistenza per cui un uomo è disposto anche a pagare di persona onde affermare un bene più alto nel protestare contro una legge valida ma ingiusta.
Prescindo qui dal caso Lucano e dalla legge sull’immigrazione da lui contestata semplicemente perché non m’interessa. Mi preme infatti il fulcro del suo ragionamento, che è lo stesso svolto da Saviano, il quale scrive che «[…] Mimmo Lucano ha fatto politica nell’unico modo possibile in un Paese che ha leggi inique. Mimmo Lucano ha fatto politica disobbedendo». Anche lei, Saviano, parla di «disobbedienza civile» e la definisce perfettamente come «l’unica arma che abbiamo per difendere […] i diritti di tutti». Mi tornano alla mente i dissidenti, anzitutto l’eminentissimo Socrate, quindi la Rosa Bianca, san Massimiliano Kolbe, il samizdat, Andrej D. Sacharov, Aleksandr I. Solženicyn, i mille cinesi senza nome che vengono inghiottiti nei laogai in questo preciso istante.
Sono d’accordo con voi. Così d’accordo che vi domando, Travaglio e Saviano: queste vostre parole appassionate e assertive sulla differenza possibile fra ciò che è legale e ciò che è giusto su cosa si fondano? Volete, Travaglio e Saviano, riprendere cortesemente carta e penna a beneficio di noi semplici spiegandoci che ciò che è giusto e ciò che è sbagliato non sono alla mercé di maggioranze politiche, copie vendute, applausometri e ubbie? Che ciò che ci fa dire che una legge è immorale anche se vigente attiene alla coscienza e si appella alla parte più nobile di noi umani, esseri splendidi e terribili, basandosi sopra un criterio oggettivo, ubiquo, universale e atemporale, sempre precedente, superiore e ulteriore le opinioni umane, lecite ma non su ciò è parametro, parametro che nel corso della storia è stato chiamato ratio recta summi Iovis da Cicerone, ne hanno filosofato gli Stoici, è stato detto suprema lex, poi diritto naturale e infine higher law dal giurista statunitense Edwin S. Corwin (1878-1973)? Che insomma non sono Travaglio e Saviano il criterio di cosa sia morale e immorale davanti a ciò che per lo Stato è giusto anche se non lo è?
Quindi, per dimostrare che non siete voi, Travaglio e Saviano, il criterio della moralità capace di sfidare anche la legalità in nome di un bene superiore, supremo, siete, Travaglio e Saviano, disposti a firmare domani mattina un appello alla disobbedienza civile per proteggere e confortare tutti quegli obiettori di coscienza che, dall’aborto all’eutanasia, si rifiutano di accettare una legge vigente dello Stato che la loro coscienza giudica omicida e chiedono alla repubblica italiana, dove la legge è uguale per tutti, di tutelarne la libertà di dissentire civilmente, laddove invece oggi sono minacciati esattamente nel proprio sancta sanctorum intangibile da chi, riempiendosi la bocca di “è una legge dello Stato”, ergo va applicata magari coi gendarmi, ergo è una cosa buona a prescindere, ergo non esiste nient’altro, si sforza di cancellarne la cittadinanza strappandosi le vesti indignato?
Insomma, volete Travaglio e Saviano impegnarvi a difendere la disobbedienza civile dei medici, dei paramedici e dei farmacisti antiabortisti e antieutanasisti? Immagino di sì, altrimenti i vostri ragionamenti messi ieri su carta sarebbero solo chiacchiere e opportunismo.
Giovedì, 4 ottobre 2018