Una prima riflessione. E una incognita
di Marco Invernizzi
Ci sarà modo di analizzare con calma tutti i risultati delle elezioni americane, compresi gli esiti, non tutti felici, dei referendum relativi al diritto alla vita in tema di aborto.
Per adesso, a pochi giorni di distanza, vale la pena sottolineare alcuni aspetti incontrovertibili del risultato elettorale.
Il primo dato è la sconfitta di quello che rappresentava e continua a rappresentare il Partito democratico americano e la figura di Kamala Harris in particolare, cioè l’ideologia dei presunti diritti, la simpatia per la cultura woke e per la cancel culture, un modo di pensare simile a quello del Partito democratico italiano, che disprezza la realtà, prescinde dai problemi della gente comune e pretende di piegare il mondo reale ai desideri delle proprie idee.
La vittoria di Donald Trump non è la vittoria dei buoni contro i cattivi, della verità e del bene contro il male, ma è il “ritorno al reale” dell’America, la conferma che il buon senso è ancora maggioritario nel più grande e importante Paese del mondo. Trump ha vinto sia per il numero dei delegati dei diversi Stati, che eleggeranno il Presidente americano nelle prossime settimane, ma anche nel voto popolare, cosa che non era accaduta otto anni fa, in occasione della sua prima vittoria presidenziale.
Questo dato è importante. Non saremo certo noi a sostenere che il vero e il bene dipendano dai numeri e dalle maggioranze. Verità e bene rimangono anche se la maggioranza degli uomini cessano di riconoscerli. Tuttavia la democrazia, intesa come sistema politico che premia la maggioranza e cerca di promuovere la maggiore partecipazione possibile nella gestione del potere, è il sistema più umano. Il suo contrario, espresso nelle diverse forme di dispotismo, che storicamente è culminato nel totalitarismo socialcomunista o nel razzismo nazionalsocialista, è sempre nemico dell’uomo ed è una tentazione che si affaccia anche oggi nella storia, ovvero la tentazione di desiderare l’uomo forte o il sistema politico capace di risolvere ogni problema, superando le lentezze della democrazia. Ma rimane una tentazione.
In secondo luogo, la vittoria di Trump rende giustizia ai tanti americani che hanno voluto rifiutare l’idea, tanto cara ai nemici dell’Occidente, da Xi Jinping a Vladimir Putin, che il declino dell’Occidente sia irreversibile. La maggioranza dei votanti americani ha dimostrato una moderata fiducia nella possibilità che gli Stati Uniti possano ancora essere un punto di riferimento per chi crede nei principi fondamentali su cui si fonda la tradizione occidentale e cristiana: un Dio creatore, la famiglia come fondamento, la libertà e la democrazia come metodo.
Rimane tuttavia una incognita, legata alla personalità imprevedibile del vincitore delle elezioni. Il tutto è racchiuso in una domanda: saprà Trump rinunciare al nazionalismo egoista di chi si preoccupa solo della sua patria e così farsi carico dei problemi del mondo, aiutando tutti i popoli, nella misura del possibile, a difendere la loro libertà e indipendenza, come nel caso di Ucraina e Taiwan, e saprà testimoniare al mondo che “ritornare al reale” significa collaborare con il progetto di Dio per costruire un mondo migliore?
Lunedì, 11 novembre 2024