di Maurizio Brunetti
È vero. La frattura cosmica causata dal peccato era talmente grande da persuadere Dio a incarnarsi e a scegliere liberamente una morte cruenta per sanarne gli effetti: il sangue sparso di Cristo, infatti, ha liberato gli uomini dalla schiavitù antica del peccato, riaprendo le porte del Paradiso a coloro che si impegnano ad amarLo.
Ai fini della Redenzione – è lecito chiedersi –, era altrettanto cogente che Gesù nascesse bambino dal grembo di una donna, peraltro «[…] in una grotta al freddo e al gelo» dove mancavano «[…] panni e fuoco»? Probabilmente no. Ma – come osserva il più letto tra i Dottori della Chiesa – neanche si può dire che si sia trattato di dettagli fortuiti:
Io t’amo, o Dio d’amor, ch’essendo amante
per farti amar da me nascesti Infante […].
amor t’ha vinto: amor t’ha qui ristretto
prigion tra queste fasce, o mio Signore.
Sono versi composti da sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787), tratti da due ottave risalenti al 1734 intitolate A Gesù bambino nel presepe. Il geniale santo napoletano – proclamato Dottore della Chiesa, appunto, nel 1871 – non aveva dubbi: le modalità che Dio ha scelto per venire al mondo sono state pensate ab aeterno per indurre anche i cuori più induriti alla tenerezza e all’amore per Lui. Ogni particolare concorre affinché l’uomo possa percepire il più facilmente possibile l’amore infinito di Dio per lui. È questo uno dei leitmotiv delle celebri Meditazioni sul Natale di sant’Alfonso, nonché delle poesie e dei canti natalizi da lui composti.
Sì, perché sant’Alfonso non fu soltanto un ragazzo prodigio (s’immatricolò nell’Università di Napoli a soli 12 anni, dopo aver sostenuto un esame di Retorica con il filosofo e storico Giambattista Vico [1668-1744]); né dev’essere solo ricordato come vescovo fondatore della Congregazione del SS. Redentore o come autore di quei tomi di teologia morale che ne hanno fatto la massima autorità riconosciuta nel mondo cattolico per oltre un secolo, avendo fornito l’antidoto da molti atteso contro due errori opposti: il “rigorismo” giansenista e la morale “lassista” della situazione, che a tutt’oggi seduce alcuni cattolici sebbene condannata inequivocabilmente dal Magistero.
Alfonso Maria de’ Liguori fu anche poeta apprezzato e musicista non dilettante: lo studio giornaliero e prolungato del clavicembalo negli anni dell’adolescenza con Gaetano Greco (1657 ca.-1728) – con il quale si formarono i maggiori esponenti del Settecento musicale napoletano – ne aveva fatto un virtuoso della tastiera. Alcune fra le sue composizioni sono universalmente note. L’esempio più lampante è Tu scendi dalle stelle, composto nel 1754 e tuttora intonata sotto Natale da ciaramelle e zampogne in gran parte d’Italia, ma è molto celebre anche Fermarono i cieli, il cui titolo originale alfonsiano, Maria contempla il SS. Bambinello che dorme, insieme al testo, rivela la propria natura vera: si tratta di una ninna-nanna per Gesù bambino!
Il capolavoro poetico-musicale di sant’Alfonso, tuttavia, è verosimilmente un componimento in vernacolo composto nel 1779: Quando nascette Ninno a Bettalemme – ninno, probabilmente dallo spagnolo niño, significa in napoletano “bambino” – su una melodia che procede per terze nel ritmo “pastorale” per eccellenza, i 6/8, e armonicamente sovrapponibile a quella di Tu scendi dalle stelle.
L’uso parallelo del dialetto napoletano e dell’italiano per i suoi versi rimanda a una delle caratteristiche dell’apostolato alfonsiano.
Per le classi più umili Alfonso “inventò” le cappelle serotine, frequentate da artigiani e da “lazzari”, cioè dal popolo minuto, che vi si radunavano la sera, dopo il lavoro, per due ore di preghiera e di catechismo. In quei frangenti, il santo non disdegnava l’uso del dialetto per rendere la predicazione più efficace e immediata.
D’altro canto ‒ ricorda la “voce” a lui dedicata nel Dizionario del Pensiero Forte, realizzato dall’Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale ‒, egli non trascurava un altro tipo di “ultimi”: quelli che, pur appartenendo alla classe dei notabili, si trovavano in pericolo di perdersi per cause di povertà spirituale e intellettuale. Non stupisce, perciò, che il numero delle sue opere ascetiche, dogmatiche, apologetiche o morali superi abbondantemente il centinaio.
Il secolare successo dei libri di spiritualità scritti da sant’Alfonso è dovuto al loro essere semplici e profondi allo stesso tempo. Proprio come il testo di Tu scendi dalle stelle, che si chiude con un’invocazione mariana commovente, certo, ma dallo sbalorditivo spessore teologico:
O Maria, speranza mia
S’io poc’amo il tuo Gesù,
non ti sdegnare,
amalo tu per me s’io nol so amare.
Di seguito il testo critico integrale di Tu scendi dalle stelle come ricostruito da padre Oreste Gregorio C.SS.R. (1903-1976)
1.Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo,
e vieni in una grotta al freddo e al gelo.
O Bambino mio divino, io ti vedo qui tremar.
O Dio beato! Ah quanto ti costò l’avermi amato!
2.A te, che sei del mondo il Creatore,
mancano panni e foco, o mio Signore.
Caro eletto pargoletto, quanto questa povertà
più m’innamora, giacché ti fece amor povero ancora.
3.Tu che godi il gioir del divin seno,
come vieni a penar su questo fieno?
Dolce amore del mio core, dove amore ti trasportò?
O Gesù mio, perché tanto patir? Per amor mio!
4.Ma se fu tuo volere il tuo patire,
perché vuoi pianger poi, perché vagire?
Sposo mio, amato Dio, mio Gesù, t’intendo sì!
Ah, mio Signore! Tu piangi non per duol, ma per amore.
5.Tu piangi per vederti da me ingrato
dopo sì grande amor, sì poco amato!
O diletto – del mio petto, se già un tempo fu così,
or Te sol bramo. Caro non pianger più, ch’io t’amo, io t’amo.
6.Tu dormi, o Ninno mio, ma intanto il core
non dorme, no, ma veglia a tutte l’ore:
deh, mio bello e puro Agnello, a che pensi? Dimmi tu.
O amore immenso, a morire per te, rispondi, io penso.
7.Dunque a morir per me, tu pensi, o Dio,
e ch’altro, fuori di te poss’io?
O Maria, speranza mia, s’io poc’amo il tuo Gesù,
non ti sdegnare, amalo tu per me, s’io nol so amare!