Di Andrea Morigi da Libero del 22/09/2022
Per alcune donne, dal punto di vista economico, dare a noleggio il proprio apparato riproduttivo potrebbe rivelarsi un’efficace alternativa alla miseria. Se in Parlamento ci fosse una maggioranza progressista.
Il calcolo è presto fatto: se disposta a farsi impiantare e a portare nel grembo un figlio non suo, una donna fra i 21 e i 45 anni potrebbe intascarsi la cifra totale di 29.336 euro, vale a dire 1.957 euro per 15 mesi (nove di gestazione più sei successivi al parto), a cui potrà aggiungere le spese sostenute per farmaci, cure, vestiario, cibo, soggiorni, ricoveri e spostamenti. L’operazione può anche essere ripetuta, ma non più di due o tre volte.
Il parametro utilizzato per stabilire la cifra è il «doppio del reddito previsto dagli articoli 76, commi 1, 2 e 3, e 77 del testo unico delle disposizioni legislative regolamentari in materia di spese di giustizia»: in pratica è il requisito stabilito dalla legge italiana e adeguato in base al tasso d’inflazione, per accedere al patrocinio legale gratuito.
Sempre che si tratti di beni disponibili, oggetto di contrattazione lecito dal punto di vista morale e giuridico e non, come invece è attualmente, un reato penale. Se finora in Italia non è consentito, la sinistra, che pensa sempre ai poveri è riuscita a escogitare un metodo per ricavare un reddito di gravidanza anche dalla cosiddetta «maternità umanitaria».
La chiamano così in un loro progetto di legge, concepito nella legislatura che volge al termine, ma finito in un congelatore di Montecitorio, come del resto molti degli embrioni frutto della fecondazione assistita. A firmare il testo, che mira sin dal titolo a introdurre una «disciplina» in materia di «gravidanza solidale e altruistica», sono i parlamentari Guia Termini, Doriana Sarli, Elisa Siragusa (Gruppo misto, ex Movimento Cinque Stelle), Riccardo Magi (Azione/+Europa/Radicali italiani), Nicola Fratoianni (Liberi e Uguali), Andrea Frailis (Partito Democratico), Stefania Mammì, Leonardo Salvatore Penna ed Enrica Segneri (M5S). L’unità del fronte progressista, che non si è riuscita a raggiungere nelle liste elettorali, è invece un fatto scontato dal punto di vista ideologico quando la materia riguarda i cosiddetti “diritti civili”. Poche regole, quindi, dichiaratamente studiate per evitare il turpe commercio delle pance femminili, ma più che altro rivolte a celibi, nubili e persone omosessuali, cioè coloro che siano «nell’impossibilità di procreare non dovuta a cause fisiologiche, ma a condizioni esterne (assenza di partner, partner non fertile, partner dello stesso sesso)». Ameno che la gestante decida di aborto e sopprimere il nascituro. Non dovrebbe renderne conto a nessuno. E l’interruzione della gravidanza non si rivelerebbe nemmeno un danno dal punto di vista economico. Potrebbe comunque intascarsi una parte del compenso pattuito. Fregando tutti.