Giancarlo Cerrelli, Cristianità n. 360 (2011)
1. Premessa. Le ordinanze della Consulta sulle coppie omosessuali
Per la terza volta, in meno di un anno, la Consulta si è pronunciata su questioni di legittimità costituzionale relative ad alcuni articoli del codice civile, laddove essi non consentono la possibilità per le persone dello stesso sesso di poter contrarre matrimonio fra di loro. Dopo l’ordinanza del 15 aprile 2010 n. 138 (1) e quella del 22 luglio 2010 n. 276 (2), il giudice costituzionale con l’ordinanza del 5 gennaio 2011 n. 4 ha nuovamente dichiarato manifestamente inammissibile e infondata la questione di legittimità costituzionale, questa volta sollevata dal Tribunale di Ferrara.
2. Strategia culturale e giuridica per il riconoscimento delle coppie omosessuali nell’ordinamento italiano
Nella storia le idee vengono prima dei fatti e ciò permette di capire la rivoluzione culturale che si sta consumando sotto i nostri occhi, avvalendosi anche dell’arma del diritto (3). Fra i principali cultori di questa rivoluzione vanno annoverati i promotori dell’ideologia di genere (4) e dell’ideologia gay (5), che perseguono un formidabile obiettivo simbolico (6): quello di parificare le unioni di persone dello stesso sesso alle unioni matrimoniali che solo, per diritto naturale e per fondamentale riconoscimento costituzionale, costituiscono la famiglia (7).
La strategia giuridica spesso adottata vorrebbe imporre attraverso provvedimenti giurisdizionali ciò che non è contemplato dalla legge. Questo vale, in particolare, per il tentativo di dare riconoscimento giuridico alle unioni di persone dello stesso sesso, dopo che, durante la XV legislatura, si era tentato di approvare una legislazione in tale senso. L’8 febbraio 2007, il governo presieduto dall’on. Romano Prodi aveva, infatti, presentato al Senato il disegno di legge sui “dico” — acronimo per “diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi” — finalizzato al riconoscimento di taluni diritti e doveri discendenti dai rapporti di “convivenza” registrati all’anagrafe, allo scopo di conferire un ruolo giuridicamente rilevante all’affetto, cioè a un dato emozionale e soggettivo (8), trascurando di tener conto della fondamentale differenza che intercorre fra situazioni, come la famiglia, fondate in vista di scopi che trascendono gli interessi dei singoli individui, e le situazioni relative ai meri sentimenti. Com’è stato detto “[…] gli affetti, che attengono alla sfera dei sentimenti, sfuggono al diritto: non possono essere rilevati, quantificati, soppesati, quindi regolamentati” (9).
Il fallimento della strada legislativa ha indotto i sostenitori del riconoscimento giuridico delle unioni di fatto, anche fra omosessuali, a percorrere la via giudiziaria, che ha visto più volte i giudici sollevare questioni di legittimità costituzionale su taluni articoli del codice civile che non contemplano il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Su questa scia alcuni organi giurisdizionali hanno cercato di demolire il paradigma sociale della famiglia naturale fondata sul matrimonio di persone di sesso diverso, con la collocazione al suo posto di un diverso paradigma, fondato sulla libertà senza responsabilità (10).
Il tentativo di dissolvere radicalmente i vincoli più intimi della società ha radici antiche. Come ha sostenuto Mauro Ronco, la trasformazione dei diritti umani è avvenuta all’interno della cultura occidentale nel corso di un lungo processo, compiuto da varie e potenti correnti culturali, che si caratterizzano come “costruttivistiche”, o come “decostruttivistiche”, e che hanno lo scopo di ri-costruire i rapporti tra gli uomini liberandoli dalla legge che è inscritta nella loro natura (11). Se l’unione omosessuale da queste correnti è, dunque, considerata uno status, significa che su questa relazione, tutta convenzionale, si può costruire una società nuova. Ciò implica una trasformazione dei valori umani sulla sessualità, il matrimonio e la famiglia in mere “opzioni” simboliche a partire da una decostruzione della sessualità e dei generi.
È evidente che il riconoscimento dei nuovi diritti inciderebbe decisamente sulla definizione e sull’ambito dei diritti naturali. Tanto è vero che, per esprimere questa nuova antropologia uni-gender, il diritto dovrebbe modificare il proprio linguaggio, trasformando la persona umana, uomo e donna, in un soggetto asessuato.
Questo nuovo paradigma dei “diritti umani” è stato promosso, fin dagli anni 1950 del secolo scorso, avvalendosi, tra l’altro, dell’appoggio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e della Banca mondiale (12), e ha trovato un nuovo slancio per la sua attuazione dalle Conferenze del Cairo del 1994 e di Pechino del 1995; invero, mentre la conferenza del Cairo ha posto le basi del nuovo modello etico del “diritto alla salute riproduttiva”, quella di Pechino ha eretto il concetto di “genere” come pilastro normativo, politico, sociale ed economico del nuovo ordine mondiale, invitando i governi a diffondere l’Agenda di Genere in ogni programma politico e in ogni istituzione sia pubblica che privata. Secondo questa impostazione potenti lobby sono riuscite a far istituzionalizzare in vari Stati le unioni omosessuali, pur con soluzioni differenti da Stato a Stato: mentre alcuni ordinamenti hanno riconosciuto il matrimonio omosessuale, altri ordinamenti hanno esteso a tali unioni la disciplina prevista per il matrimonio civile oppure hanno introdotto altre forme di tutela (13). Ciò è avvenuto spesso con l’adesione delle Corti di giustizia (14) poste ai vertici degli apparati giurisdizionali (15). Anche il Parlamento Europeo non ha esitato a farsi promotore di questa nuova impostazione culturale, esortando fin dall’8 febbraio 1994 gli Stati a “[…] porre fine agli ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali, ovvero a un istituto giuridico equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle unioni” (16).
Tale raccomandazione è stata ribadita nel 2000 (17), nel 2003 (18), nel 2006 (19) e nel 2009 (20).
In apparente controtendenza si è posta, invece, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha affrontato per la prima volta la questione dei matrimoni fra persone dello stesso sesso e ha stabilito il diritto al matrimonio solo tra uomo e donna, sancendo, inoltre, che gli Stati non hanno alcun obbligo in base alla Corte stessa di prevedere nel proprio ordinamento anche il matrimonio per coppie dello stesso sesso (21). Sì che non ammettere il matrimonio di tali coppie non implica la violazione della Convenzione. A questo punto della decisione segue, tuttavia, un’apertura alle unioni omosessuali, nel senso che spetterebbe agli Stati di contemplare nel proprio margine di discrezionalità la possibilità di dare riconoscimento alle unioni omosessuali, sia pure con limitazioni ricollegate alle facoltà di carattere genitoriale.
3. L’ordinanza della Consulta n. 4 del 2011 e le questioni di costituzionalità sollevate dal Tribunale di Ferrara
La Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibili e manifestamente infondate le quattro ordinanze di rimessione che avevano l’intento di corrodere il fondamento giuridico dell’istituto familiare.
Nel dichiarare inammissibile e infondata la questione, ha fatto espresso rinvio per le motivazioni alla precedente ordinanza n. 138 del 2010. In quel caso la questione concerneva la legittimità delle vigenti disposizioni legislative nella parte in cui non consentono alle persone dello stesso sesso di contrarre tra loro matrimonio. In breve, i rimettenti chiedevano alla Corte di esprimersi con una sentenza che aggiungesse alla disciplina del Codice civile la disposizione necessaria per consentire la celebrazione del matrimonio anche tra persone dello stesso sesso. Da questa eventuale sentenza sarebbe scaturito un esito giuridico di amplissima portata, poiché a tali forme di stabile convivenza, una volta sanzionate con il matrimonio civile, sarebbe stata estesa tutta la disciplina normativa che attualmente trova applicazione soltanto per le famiglie che si costituiscono sulla base del matrimonio tra persone di sesso diverso. Si pensi, ad esempio, sia alle questioni di carattere patrimoniale, sia a quelle attinenti al regime della filiazione e dell’adozione.
L’ordinanza n. 138 del 2010 dà atto, in premessa, del fatto che l’intera disciplina del matrimonio, contenuta nel codice civile e nella legislazione speciale, postula la diversità di sesso dei coniugi, nel quadro di “una consolidata ed ultra millenaria nozione di matrimonio”, facendo riferimento anche alla riflessione dottrinale, ormai consolidata, che considera “inesistente” il matrimonio tra persone dello stesso sesso (22).
4. I rilievi ex articolo 2 della Costituzione
Esaminando partitamente i vizi di costituzionalità eccepiti, la Corte ha sostenuto che le unioni omosessuali potrebbero rientrare nelle formazioni sociali richiamate nell’articolo 2 della Costituzione, anche se non sussisterebbe alcun riferimento costituzionale che imponga di dar loro un riconoscimento giuridico, che equiparasse tali unioni al matrimonio. Senonché, afferma un autorevole giurista (23), l’articolo 2 deve essere interpretato avuto riguardo a quanto dispone il successivo articolo 29. Ciò comporta che, nel sistema delineato dalla Costituzione, la tutela generale e indifferenziata delle formazioni sociali, con riferimento alla famiglia, trova specificazione nell’articolo 29. Tale articolo, identificando l’aggregazione familiare, alla quale riconosce diritti, nella “società naturale fondata sul matrimonio”, ha determinato — sul piano normativo di rilevanza costituzionale — che non ogni aggregazione interpersonale può essere qualificata come “famiglia”, ma soltanto quell’aggregazione che ha nel matrimonio il suo fondamento, nel senso che l’atto “matrimonio” costituisce il titolo giuridico per l’attribuzione e quindi per l’esercizio dei diritti riconosciuti alla famiglia.
Si ricava da ciò l’estrema discutibilità dell’asserto della Corte alla cui stregua le unioni omosessuali potrebbero essere annoverate tra le formazioni sociali di cui alla Costituzione: è assente, infatti, in tali unioni, il presupposto che le possa far assurgere a formazioni sociali e cioè la loro “funzione sociale” (24).
5. I rilievi ex articolo 3 della Costituzione
A parere dei giudici rimettenti, in applicazione del principio di eguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione, vi sarebbe un diritto di sposarsi e di scegliere il coniuge autonomamente e liberamente, anche se il partner appartenga allo stesso sesso. A sostegno di tale tesi i rimettenti giungono a confrontare lo status degli omosessuali con la situazione delle persone transessuali che, ottenuta la rettifica dell’attribuzione del sesso, possono contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso originario (25).
La Corte ha ritenuto che tale tesi non sia giuridicamente fondata in virtù del fatto che il transessuale, avendo cambiato sesso, non appartiene più a quello originario, acquisendo così la facoltà di sposarsi con una persona del suo, ormai mutato, sesso originario. In questo modo, infatti, risulterebbe rispettato il principio della diversità di sesso tra i nubendi, requisito in mancanza del quale il matrimonio è inesistente.
A dar forza a tale assunto viene richiamato anche l’articolo 3, lettera g), della legge n. 898 del 1970, interpretato nel senso che il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina l’automatico scioglimento del matrimonio, a prescindere dalla presentazione della domanda da parte del coniuge. Conseguenza confermata anche dall’articolo 4 della legge n. 164 del 1982, secondo cui la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso provoca lo scioglimento del matrimonio. Lo scioglimento automatico di tale vincolo è la naturale conseguenza della concezione giuridica del matrimonio quale rapporto di vita tra uomo e donna, tant’è che il matrimonio tra persone dello stesso sesso è considerato giuridicamente inesistente.
6. I rilievi ex articolo 29 della Costituzione
L’interpretazione costituzionale di famiglia, che i rimettenti forniscono in riferimento all’articolo 29, comma 1, della Costituzione, è d’impronta decisamente storicistica, perché non potrebbe essere ancorata a una conformazione tipica e inalterabile, ma dovrebbe essere permeabile ai mutamenti sociali. Pertanto, il suddetto articolo, nell’attribuire tutela costituzionale alla famiglia, non sarebbe di ostacolo al riconoscimento giuridico del matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma, piuttosto, potrebbe assurgere ad ulteriore parametro in base al quale valutare l’incostituzionalità del divieto. La Corte, a questo proposito, pur affermando che l’interpretazione dell’articolo 29 “non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata”, non è immune da rischi di tipo storicistico e relativistico, avendo affermato che “i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati”” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi. Invero, uno Stato che vuole essere ordinato veramente al bene comune dovrebbe adattare le sue leggi alla legge naturale, soprattutto in tema di matrimonio e di famiglia, come risulta dalla stessa Carta costituzionale.
7. I rilievi ex articolo 117 della Costituzione
L’ultimo profilo di costituzionalità che i giudici rimettenti hanno svolto nelle eccezioni avanti alla Consulta è in relazione all’articolo 117, comma 1, della Costituzione, che impone al legislatore il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. In particolare, è stata richiamata la sentenza Goodwin c. Regno Unito del 17 luglio 2002, con la quale la Corte di Strasburgo ha dichiarato contrario alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali il divieto di matrimonio del transessuale con persona del suo stesso sesso originario. Questione che, però, come si è già detto, non può essere portata a sostegno della illegittimità costituzionale delle norme che impediscono il matrimonio gay visto che in Italia il matrimonio del transessuale con persona del suo stesso sesso originario è legittimo.
A riguardo del profilo internazionalistico della vicenda la Corte ha richiamato nelle ordinanze talune disposizioni presenti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, in specie, nella Carta dei diritti fondamentali di Nizza, che ha acquisito lo stesso valore giuridico dei trattati dell’Unione Europea a seguito dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona, il 1° dicembre 2009. A tal proposito la Corte rileva correttamente alcuni decisivi elementi che non consentono di accogliere l’impostazione dei rimettenti e che circoscrivono fortemente l’immediata efficacia cogente delle predette disposizioni pattizie nell’ordinamento nazionale. In primo luogo, infatti, entrambe le disposizioni richiamate rinviano alle leggi nazionali che regolano l’esercizio del diritto di sposarsi e di formare una famiglia; in secondo luogo, l’interpretazione che è stata espressamente fornita in sede di redazione dell’articolo 9 della Carta di Nizza negava la sussistenza di un obbligo di concessione dello status matrimoniale alle unione delle persone dello stesso sesso. Da ciò discende che l’eventuale intervento del legislatore non dovrà orientarsi nel senso dell’assimilazione delle unioni omosessuali al matrimonio e resterà comunque vincolato ai predetti vincoli costituzionali sopra richiamati.
8. Conclusione
Le pronunce della Consulta fin qui esaminate hanno affrontato una problematica già trattata da molti tribunali italiani (26). Tale tematica ha una rilevanza decisiva sul futuro strutturale della nostra società: come afferma un insigne giurista (27), il matrimonio non è una tra le molte possibili “utilità” della famiglia, ma è una realtà legata al senso della storia; la storia è legata alla continuità delle generazioni; le generazioni si susseguono perché esistono le famiglie; le famiglie esistono perché esiste la differenza sessuale; la differenza sessuale genera la prima “cellula sociale”. Da qui l’incoraggiamento e la protezione pubblica. Per queste ragioni le unioni omosessuali, come qualsiasi forma di “compagnia” o di “convivenza”, non possono rivestire una dimensione sociale, paragonabile a quella del matrimonio e della famiglia (28), proprio perché esse non attengono direttamente a un interesse di valenza pubblica e generale. Il matrimonio possiede una propria finalità strutturale, cioè la regolamentazione dell’esercizio della sessualità al fine di garantire l’ordine delle generazioni; questo fine non può essere considerato un dato condizionato culturalmente, ma è un principio che caratterizza costitutivamente l’essere dell’uomo: “In quanto esseri sessuati, gli uomini non diversamente dagli animali procreano; ma in quanto propriamente esseri umani divengono mariti e mogli, padri e madri, figli e figlie: acquistano cioè la propria identità, grazie all’assunzione di ruoli familiari, resa possibile da quella straordinaria struttura antropologica che è il matrimonio” (29).
In un clima, dunque, di “dittatura del relativismo” (30), in cui vi sono forze culturali e politiche (31) che pretendono di cambiare il volto della società, promuovendo una legislazione contraria alla vita e alla famiglia, sarà utile per tutti, laici e credenti, riscoprire quella “grammatica della vita sociale”, cioè la legge morale universale, scritta nel cuore dell’uomo, che può essere conosciuta pure sulla base della sola ragione e che dunque può trovare accoglienza da parte di tutti (32), anche perché il bene non coincide con i desideri, ma possiede una sua inequivoca oggettività, di cui non possiamo non tenere conto.
Note:
(1) Cfr. Marta Costanza, La Corte Costituzionale e le unioni omosessuali, in Iustitia. A cura dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, anno XLIII, n. 3, Milano luglio-settembre 2010, pp. 311-318.
(2) Cfr. Antonio Riviezzo, Sulle unioni omosessuali la Corte ribadisce: “Questo” matrimonio non s’ha da fare (se non lo vuole il Parlamento) (Corte Costituzionale, 7 luglio 2010, n. 276), in Famiglia e diritto. Mensile di dottrina e giurisprudenza, anno 18, n. 1, Milano gennaio 2011, pp. 18-29.
(3) Cfr. Mauro Ronco, Il diritto al servizio della vita o contro la vita?, in Cristianità, anno XXXIII, n. 328, marzo-aprile 2005, pp. 5-14.
(4) Cfr. Laura Palazzani, Identità di genere? Dalla differenza alla in-differenza sessuale nel diritto, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2008. Sui meccanismi psicologici, le dinamiche e le tappe evolutive della costruzione dell’identità di genere, cfr. Joseph Nicolosi, Identità di genere. Manuale di orientamento, Sugarco, Milano 2010.
(5) Cfr. J. Nicolosi, Omosessualità maschile: un nuovo approccio, Sugarco, Milano 2002, pp. 100-110; e Giuseppe Gambino, Le unioni omosessuali. Un problema di filosofia del diritto, Giuffrè, Milano 2007, pp. 83-114.
(6) Sulla valenza simbolica del riconoscimento delle unioni omosessuali, cfr. Francesco D’Agostino, Riconoscere le convivenze? Le scorciatoie delle provocazioni, in La verità sulla famiglia. Matrimonio e unioni di fatto nelle parole di Benedetto XVI, Quaderni dell’Osservatore Romano, n. 77, Città del Vaticano 2007, pp. 71-74; e Gianni Rossi Barilli, Storia del movimento gay in Italia, Feltrinelli, Milano 1999, pp. 211-212.
(7) I gay, a differenza delle persone omosessuali, si riconoscono in una ideologia socio-politica secondo la quale l’omosessualità è equiparabile in toto all’eterosessualità. Non tutte le persone con tendenze omosessuali, però, si riconoscono nel movimento gay, anzi i gay rappresentano una minoranza, sebbene chiassosa e molto visibile, all’interno del mondo omosessuale. Cfr. in proposito, Roberto Marchesini, L’identità di genere (Quaderni del Timone), Art, Novara 2010, pp. 51-52; sulle problematiche sottese al riconoscimento delle unioni omosessuali e sulla differenza terminologica fra omosessuale non-gay, gay e queer, cfr. G. Gambino, op. cit., in particolare pp. 33-40.
(8) Cfr. Alfredo Mantovano, La guerra dei “dico”, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2007, p. 16.
(9) Giuseppe Dalla Torre, Stranezze da ddl. L’affetto entra nel codice. Per la prima volta, in Avvenire. Quotidiano d’ispirazione cattolica, Milano 15-2-2007, dove afferma: “Non è un caso che l’intera disciplina civilistica del matrimonio — ed è tutto dire — ignori totalmente l’elemento affettivo, limitandosi a precisare che dal matrimonio derivano obblighi (e reciprocamente diritti) concreti e verificabili, quali la fedeltà, l’assistenza materiale e morale, la collaborazione nell’interesse della famiglia, la coabitazione (art. 143). Ed anche per ciò che attiene ai figli, il diritto non dice che i genitori hanno il dovere di amare i figli, limitandosi molto più concretamente a precisare che il matrimonio impone ai coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare i figli (art. 147): obbligo il cui soddisfacimento è possibile controllare ad esempio dal giudice”.
(10) Cfr. A. Mantovano, op. cit., p. 73.
(11) Cfr. M. Ronco, La tutela penale della persona e le ricadute giuridiche dell’ideologia di genere, in Cristianità, anno XXXIX, n. 359, gennaio-marzo 2011, pp. 23-44.
(12) Cfr. Margherite A. Peeters, La mondialisation de la révolution culturelle occidentale, Institute for Intercultural Dialogue Dynamics, Bruxelles 2007, soprattutto pp. 111-196, che descrive in modo magistrale questo processo e l’appoggio ad esso fornito dagli organismi internazionali facenti capo alle Nazioni Unite. Cfr. anche Dale O’Leary, Maschi o femmine? La guerra del genere, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2006.
(13) In Olanda dal 2001 è in vigore la nuova legge sulla famiglia che consente agli omosessuali di sposarsi civilmente; provvedimenti analoghi sono stati adottati dal Belgio nel 2003, dalla Spagna nel 2005 e dal Portogallo nel 2010. Il partenariato registrato, con il quale si garantiscono alle coppie gay diritti pressoché identici rispetto a quelle etero, è stato introdotto in Islanda nel 1996, in Finlandia nel 2002 e nel Regno Unito nel 2005. La Danimarca è stato il primo Paese al mondo a riconoscere nel 1989 le unioni fra omosessuali, permettendo l’ufficializzazione del rapporto; in Francia nel 1999 è stata approvata la legge sui Pacs, i Patti Civili di Solidarietà, che prevede, attraverso una registrazione pubblica, forme di tutela paramatrimoniali per le coppie di fatto, comprese quelle omosessuali; in Germania nel 2001 è entrata in vigore una legge analoga.
(14) Hanno aperto il matrimonio alle coppie omosessuali le Corti Supreme del Vermont, nel 1999, con conseguente introduzione, per legge ordinaria, delle unioni civili per gli omosessuali; del Massachusetts nel 2003; del Sudafrica nel 2005; della California nel 2008, cui ha fatto seguito una revisione costituzionale; del Connecticut nel 2008; dell’Iowa nel 2009. In precedenza vi erano state decisioni analoghe nelle Hawaii, nel 1993, e in Alaska, nel 1998, bloccate però da una legge di revisione costituzionale.
(15) In Europa la Corte Costituzionale portoghese, nel 2009, ha rigettato un ricorso equivalente a quello presentato davanti alla Consulta italiana. La Corte Costituzionale belga, nel 2004 e, di nuovo, quella portoghese, nel 2010, hanno confermato invece la legittimità delle leggi che consentono il matrimonio fra omosessuali. La Corte Costituzionale federale tedesca si è occupata del matrimonio fra persone dello stesso sesso soltanto in una decisione piuttosto lontana, del 1993, definendo il matrimonio, ai sensi della Carta Costituzionale, come l’unione fra un uomo e una donna. Decisione simile è stata adottata dalla Corte Costituzionale austriaca nel 2003. Un giudizio avverso la legge che nel 2005 ha introdotto il matrimonio è da tempo ancora pendente avanti alla Corte Costituzionale spagnola. La Corte Costituzionale francese, nel 2011, ha ritenuto che il divieto delle nozze fra persone dello stesso sesso è conforme alla Costituzione, sostenendo che è eventualmente compito del parlamento legiferare in merito; ma l’Assemblea Nazionale, il 14 giugno, ha respinto la proposta di consentire il matrimonio fra omosessuali (cfr. Adnkronos, 14-6-2011). Si segnala infine il “modulo misto” del Canada (così Morris Montalti, Orientamento sessuale e costituzione decostruita. Storia comparata di un diritto fondamentale, Bononia University Press, Bologna 2007, p. 373), ove, dopo diverse pronunce di corti territoriali, la Corte Suprema, nel 2004, ha riconosciuto la legittimità del matrimonio gay nell’ambito dell’iter legislativo che ha condotto al suo riconoscimento giuridico nel 2005.
(16) Cfr. a commento di questa risoluzione la nota di Piero Schlesinger, Una risoluzione del Parlamento europeo sugli omosessuali, in Il Corriere giuridico. Mensile di giurisprudenza civile, legislazione e opinioni, anno 11, n. 4, Milano aprile 1994, pp. 393-395.
(17) Risoluzione sul rispetto dei diritti umani nell’Unione Europea, del 16-3-2000, consultabile all’indirizzo Internet <http://tinyurl.com/5v5cujr> (gl’indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 3-6-2011, sono qui citati in versione abbreviata attraverso il servizio TinyURL). Contro questo documento ha preso posizione il Pontificio Consiglio per la Famiglia con la Dichiarazione sulla Risoluzione del Parlamento Europeo del 16 marzo 2000 che equipara la famiglia alle “unioni di fatto”, comprese quelle omosessuali, del 17-3-2000, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 18-3-2000.
(18) Risoluzione sul rispetto dei diritti fondamentali nell’Unione Europea, del 4-9-2003, consultabile all’indirizzo < http://tinyurl.com/6fxchd2>, che disapprova “[…] vivamente il recente rifiuto espresso dalla Congregazione vaticana per la dottrina della fede nei confronti dei progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali”. Cfr. a tal proposito Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale tra persone omosessuali, del 3-6-2003, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 1°-8-2003.
(19) Risoluzione sull’omofobia in Europa, dell’11-1-2006, consultabile all’indirizzo <http://tinyurl.com/6zyvhvp>.
(20) Risoluzione sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione Europea 2004-2008, del 14-1-2009, consultabile all’indirizzo <http://tinyurl.com/6ytf5ds>, con cui s’invitano gli Stati membri dotati di una legislazione relativa alle coppie dello stesso sesso a riconoscere le norme adottate da altri Paesi e quelli che non lo hanno ancora fatto a eliminare le discriminazioni che incontrano le coppie in ragione del proprio orientamento sessuale.
(21) Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Decisione Schalk e Kopf c. Austria, del 24-6-2010, consultabile in lingua inglese all’indirizzo <http://tinyurl.com/26pu2nk>.
(22) Sull’inesistenza del matrimonio fra persone dello stesso sesso, cfr. Michele Sesta, Diritto di famiglia, Cedam, Padova 2005, p. 46, ed Enrico Vitali, L’invalidità del matrimonio civile: nullità ed annullabilità, in Giovanni Bonilini e Giovanni Cattaneo, Il diritto di famiglia. I. Famiglia e matrimonio, tomo I, Utet, Torino 2007, pp. 383-453, il quale afferma che “la categoria dell’inesistenza (del matrimonio) fu elaborata dalla dottrina in margine alla disciplina data alle nullità matrimoniali dal Codice Napoleone” (p. 391) in cui “[…] si giustificò la mancata previsione della nullità per l’ipotesi di matrimonio tra persone dello stesso sesso con l’osservazione che, nel caso, mancava addirittura la realtà naturalistica della fattispecie di negozio matrimoniale” (ibidem).
(23) Cfr. Giovanni Giacobbe, Famiglia o famiglie: un problema ancora dibattuto, in Il diritto di famiglia e delle persone, anno 38, n. 1, Milano gennaio-marzo 2009, pp. 305-332.
(24) Fabio Macioce, Pacs. Perché il diritto deve dire no, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2006, p. 80.
(25) Cfr. l’art. 1 della legge n. 164 del 14-4-1982, recante Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso, in forza del quale, a seguito di intervenute modificazioni dei caratteri sessuali di una persona, il tribunale con sentenza passata in giudicato le attribuisce un sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita.
(26) Cfr. il decreto del tribunale di Latina, del 10-6-2005, in Famiglia e diritto. Mensile di dottrina e giurisprudenza, anno 12, n. 4, Milano aprile 2005, pp. 411-415; cfr. a commento P. Schlesinger, Matrimonio tra individui dello stesso sesso contratto all’estero, ibid., pp. 415-418, nonché Matteo Bonini Baraldi, Il matrimonio fra cittadini italiani dello stesso sesso contratto all’estero non è trascrivibile: inesistente, invalido o contrario all’ordine pubblico?, ibid., pp. 418-426; cfr. inoltre Marina Casini e Maria Luisa Di Pietro, Il matrimonio tra omosessuali non è un vero matrimonio, in Il diritto di famiglia e delle persone, anno 35, n. 2, Milano aprile-giugno 2006, pp. 605-622.
(27) Cfr. F. D’Agostino, Matrimonio tra omosessuali?, in Antropologia cristiana e omosessualità, Quaderni dell’Osservatore Romano, n. 38, Città del Vaticano 2003, pp. 82-90 (pp. 88-89).
(28) Cfr. a tal proposito la pronuncia della Corte Costituzionale n. 7, del 14-1-2010, nella quale si è reputato manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, della legge n. 392 del 27-7-1978, in considerazione della più volte affermata profonda diversità che caratterizza la convivenza more uxorio rispetto al rapporto coniugale, tale da impedire l’automatica parificazione delle due situazioni, ai fini di un’identità di trattamento fra i rispettivi regimi.
(29) F. D’Agostino, Matrimonio tra omosessuali?, cit., p. 89.
(30) Cfr. card. Joseph Ratzinger, Omelia della Messa pro eligendo romano Pontifice, del 18-4-2005, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 19-4-2005.
(31) Nell’assemblea nazionale del Partito Democratico, apertasi il 4-2-2011, è stato proposto un ordine del giorno in materia di unioni civili promosso da “Cambiare l’Italia”, l’area che fa riferimento al sen. Ignazio Marino. L’ordine del giorno esplicitamente ha chiesto di “[…] prendere tutte le iniziative necessarie a garantire il riconoscimento in Italia delle unioni fra persone dello stesso sesso e di sesso diverso sulla base di pari dignità e uguaglianza” (cit. in Pier Luigi Fornari, Sulle coppie di fatto è burrasca nel Pd, in Avvenire. Quotidiano d’ispirazione cattolica, Milano 5-2-2011). L’on. Massimo D’Alema ha aderito alla proposta: “Il tema è stato all’ordine del giorno del governo Prodi — ha insistito a proposito del riconoscimento delle coppie di fatto —. Su questo tema l’Unione europea ci invita da tempo a legiferare” (ibidem).
(32) Cfr. Massimo Introvigne, Tu sei Pietro. Benedetto XVI contro la dittatura del relativismo, Sugarco, Milano 2011.