Il peccatore va ignazianamente consolato con il volto luminoso del Signore misericordioso
di Michele Brambilla
L’udienza di mercoledì 25 gennaio si apre dicendo che «mercoledì scorso abbiamo riflettuto su Gesù modello dell’annuncio, sul suo cuore pastorale sempre proteso agli altri. Oggi guardiamo a Lui come maestro dell’annuncio» sulla base di quanto operato da Cristo nella sinagoga di Nazareth. Papa Francesco ricorda che in tale occasione «Gesù legge un passo del profeta Isaia (cfr 61,1-2) e poi sorprende tutti con una “predica” brevissima, di una sola frase. E dice così: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Lc 4,21)». Isaia annunciava i segni del Regno messianico. «Ciò significa che per Gesù quel passo profetico contiene l’essenziale di quanto Egli vuole dire di sé», riassumibile in alcune parole chiave.
«Il primo elemento è la gioia. Gesù proclama: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; […] mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio” (v. 18), cioè un annuncio di letizia, di gioia. Lieto annuncio: non si può parlare di Gesù senza gioia, perché la fede è una stupenda storia d’amore da condividere. Testimoniare Gesù, fare qualcosa per gli altri nel suo nome, è dire tra le righe della vita di aver ricevuto un dono così bello che nessuna parola basta a esprimerlo».
Il Vangelo è davvero “buon annuncio” perché porta con sé la vittoria sul peccato e sulla morte. Così «veniamo al secondo aspetto: la liberazione. Gesù dice di essere stato mandato“a proclamare ai prigionieri la liberazione” (ibid.). Ciò significa che chi annuncia Dio non può fare proselitismo, no, non può far pressione sugli altri, ma alleggerirli: non imporre pesi, ma sollevare da essi; portare pace, non portare sensi di colpa. Certo, seguire Gesù comporta un’ascesi, comporta dei sacrifici», ma non si può insistere sempre sugli aspetti penitenziali. Altrimenti si rischia di fare come quelli che, tornati da un bel viaggio, raccontano solo della coda in aeroporto, rimprovera il Papa.
«Terzo aspetto: la luce»: come osserva il Pontefice, «colpisce che in tutta la Bibbia, prima di Cristo, non compaia mai la guarigione di un cieco, mai. Era infatti un segno promesso che sarebbe giunto con il Messia. Ma qui non si tratta solo della vista fisica, bensì di una luce che fa vedere la vita in modo nuovo. C’è un “venire alla luce”, una rinascita che avviene solo con Gesù», nel Battesimo, che ci dona la luce della figliolanza divina. «Avete pensato voi che la vita di ognuno di noi – la mia vita, la tua vita, la nostra vita – è un gesto di amore? È un invito all’amore? Questo è meraviglioso», esclama il Santo Padre, rammaricandosi per tutte le volte che i cattolici stessi se ne dimenticano. Se il «quarto aspetto dell’annuncio» è la guarigione, è meglio specificare che «oppresso è chi nella vita si sente schiacciato da qualcosa che succede: malattie, fatiche, pesi sul cuore, sensi di colpa, sbagli, vizi, peccati» con il loro senso di colpa. «La buona notizia è che con Gesù questo male antico non ha più l’ultima parola», perché «dal peccato Gesù ci guarisce sempre. E quanto devo pagare per la guarigione? Niente. Ci guarisce sempre e gratuitamente», sostiene il Pontefice.
Insomma, le tenebre nell’uomo esistono, ma al peccatore bisogna parlare anzitutto del volto luminoso del Padre. In termini “ignaziani”, l’annuncio evangelico si presenta quindi come la “consolazione delle consolazioni”, perché «Cristo è il Giubileo di ogni giorno, di ogni ora, che ti avvicina, per accarezzarti, per perdonarti».
Venerdì, 27 gennaio 2023