di Marco Invernizzi
Mi capita spesso, nei lunghi momenti di silenzio che accompagnano queste giornate dominate dal CoViD-19, di pensare al dopo, se e quando verrà. Se, non perché dubiti, ma perché questa emergenza sanitaria potrebbe anche trasformare così profondamente la vita sociale da rendere impossibile un paragone con il prima. Ma lasciamo perdere l’ipotesi più drastica e limitiamoci a riflettere sul quando, il dopo che comunque verrà, prima o poi, probabilmente più poi, perché tutto lascia pensare a un decorso lento del diffondersi e poi del ritrarsi del virus che ci ha aggredito.
Pensare al dopo è certamente un modo positivo per esorcizzare il presente che è indubbiamente drammatico. Probabilmente dipende anche dal luogo dove ognuno sta vivendo l’emergenza sanitaria e la Lombardia è al centro di questo dramma, che invece non viene percepito allo stesso modo in altre regioni e città. Perlomeno fino a oggi. Pensare al dopo è quasi automatico quando si fa una interminabile fila per comprare da mangiare al supermercato, tutti rigorosamente distanziati di un metro l’uno dall’altro, quando non puoi andare a Messa oppure quando incontri l’amico per strada e non puoi abbracciarlo, né parlare con lui magari bevendo un caffè. Impossibile non pensare al dopo, anzi direi che è necessario, quasi una cura contro il coronavirus perché non faccia danni ulteriori, di carattere psicologico, oltre a quelli che sta già facendo.
Ma c’è un altro dopo a cui sono quasi costretto a pensare nel corso di queste lente giornate. Un dopo che nasce da una considerazione sul significato di questo virus che sta cambiando la vita personale e pubblica ormai di tutto il mondo.
Perché? Non affronto il tema sul castigo di Dio che lascio ad altri, sperando che nessuno abbia la pretesa di esaminare in modo razionalistico il rapporto con il Mistero. Credo che si possa dire così in proposito: «Il coronavirus non è mandato da Dio (viene da Satana, che è la sorgente ultima di ogni male nel mondo) ma è da Lui permesso perché ci svegliamo da un torpore mortale e pensiamo a ciò che conta davvero» (Il pensiero del giorno di don Piero Cantoni, 23 marzo 2020).
Nel corso della storia gli uomini si sono fatti male da soli in tante circostanze e soprattutto nella modernità hanno dato il peggio delle loro potenzialità, per esempio con le due guerre mondiali. Quando poi si racconterà senza coperture politicamente corrette la storia dell’aborto in Occidente, si mostrerà che ancora peggio della guerra è stata la strage degli innocenti perpetrata con il placet e con i soldi degli Stati, cioè di chi dovrebbe essere preposto al bene comune. Spesso gli uomini, nell’antichità, nei “secoli della fede” come li chiama il monaco certosino Francois Pollien (1853-1936), e poi nell’epoca dell’Assolutismo, sono stati colpiti da malattie terribili, che hanno fatto stragi, come la peste, il vaiolo, le febbri prima degli antibiotici, e così via. Dio ha permesso, a volte ha accorciato il tempo della prova, ma sempre, dalle guerre alle epidemie, ha voluto scrivere diritto sulle righe storte, perché attraverso la sofferenza gli uomini potessero esaminarsi e migliorare dove avevano sbagliato.
Mi è venuto spontaneo soffermarmi sull’esame di coscienza rileggendo le risposte date dall’arcivescovo di Udine, mons. Andrea Bruno Mazzocato, alle domande postegli in tema di coronavirus. Nulla infatti accade per caso e tutto può servire alla gloria di Dio e alla salvezza degli uomini, anche il dolore, la reclusione, la morte, la rinuncia alla propria volontà, tutte cose che stiamo sperimentando adesso.
Il 17 marzo Renaud Girard ha scritto su Le Figaro che il coronavirus ha ucciso in un colpo solo le tre ideologie che stanno dominando la postmodernità: il comunismo (nella esotica versione cinese), l’europeismo (nella versione Unione Europea, che poco ha a che fare con l’Europa che amiamo) e il globalismo (che poco o nulla ha a che fare con l’universalismo cristiano).
Tutte e tre queste ideologie sono figlie di un uomo che non ha imparato la lezione dalle tragedie del mondo moderno, quello delle due guerre ideologiche cominciate nel 1914 e nel 1939. In questo senso il 1989 non ha rappresentato quello che aveva sperato san Giovanni Paolo II, cioè una nuova riflessione sulla storia che permettesse un esame di coscienza attraverso il quale gli uomini, in particolare gli europei, rimettessero in discussione il processo storico che aveva condotto l’umanità alla tragedia della guerra civile europea (1914-1989).
Adesso abbiamo una nuova occasione per fare un esame di coscienza, nel silenzio delle nostre case. Certo, qualcuno cercherà di approfittarne, magari per preparare un “mondo nuovo” dove le regole introdotte giustamente per fermare il diffondersi del virus potrebbero rimanere anche nella situazione del dopo virus. Lascio ad altri questa riflessione, che è una preoccupazione anzitutto.
Mi concentro invece sull’esame di coscienza. Come suggerisce l’arcivescovo di Udine mons. Mazzocato, dovrebbe cominciare dall’interno della cristianità dove è nato quel virus che ha portato alla dissoluzione della civiltà cristiana. Infatti, chi ha studiato il processo rivoluzionario in Europa sa che il virus della Rivoluzione è nato “dentro” la cristianità, minandola dall’interno. Poi, successivamente, è venuta l’aggressione delle ideologie dal di fuori. Perché e come un mondo cristiano, che non era certamente il Paradiso terrestre, ma che conosceva il bene e il male, anche se spesso i suoi abitanti facevano il male pur conoscendo il bene, perché questo mondo ha “preso” una malattia così terribile che ancora oggi ci affligge?
L’arcivescovo invita anzitutto teologi e pastori a fare un esame di coscienza, oggi, affinché questa epidemia possa servire a riflettere su come uscire dal virus più grande che ci colpisce da secoli, all’interno del quale il CoViD-19 si colloca. Perché se c’è un virus terribile che attacca il nostro corpo, un altro altrettanto terribile colpisce da secoli le nostre anime.
Esso ci ha fatto credere di essere capaci di stare al mondo senza Dio, senza le sue leggi, senza la sua misericordia e così abbiamo creduto di potere fare da soli. I danni (accanto a tanti progressi ma tutti sempre nell’ordine della tecnica, del fare, quasi mai dell’essere) li abbiamo conosciuti e li conosciamo. Forse, sarebbe opportuno, esaminare le nostre coscienze approfittando del tempo rallentato, per cambiare la direzione della nostra vita e orientarla verso una prospettiva di annuncio missionario della fede cristiana e delle sue conseguenze benefiche sulla società.
A questo proposito vi invito a leggere la meditazione di Mauro Ronco, che trovate sul nostro sito, che ci può aiutare a riflettere sul perché Dio permette malattie come il coronavirus, per la nostra salvezza e anche perché, dopo, terminata la fase acuta della crisi, possa nascere un “mondo migliore”, a misura d’uomo e secondo il piano di Dio, come diceva san Giovanni Paolo II e come ha annunciato la Madonna a Fatima: «Infine, il mio Cuore immacolato trionferà».
Venerdì, 27 marzo 2020