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Un grido di speranza

11 Settembre 2025 - Autore: Michele Brambilla

Il grido di Gesù crocifisso non è solo quello di un corpo che cede alla morte, ma quello di una vita che si consegna: proprio per questo “tocca il cuore” del centurione e di tutti noi

di Michele Brambilla

«Oggi contempliamo il vertice della vita di Gesù in questo mondo: la sua morte in croce», dice Leone XIV aprendo l’udienza del 10 settembre. Il Papa invita a mettere al centro delle nostre considerazioni il fatto che «i Vangeli attestano un particolare molto prezioso, che merita di essere contemplato con l’intelligenza della fede. Sulla croce, Gesù non muore in silenzio. Non si spegne lentamente, come una luce che si consuma, ma lascia la vita con un grido: “Gesù, dando un forte grido, spirò”(Mc 15,37)». «Quel grido racchiude tutto: dolore, abbandono, fede, offerta. Non è solo la voce di un corpo che cede, ma il segno ultimo di una vita che si consegna», osserva il Pontefice. 

Come noto, nel Vangelo l’ultimo respiro di Gesù «è preceduto da una domanda, una delle più laceranti che possano essere pronunciate: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. È il primo verso del Salmo 22, ma sulle labbra di Gesù assume un peso unico. Il Figlio, che ha sempre vissuto in intima comunione con il Padre, sperimenta ora il silenzio, l’assenza, l’abisso», la sensazione di essere abbandonato nel dolore, ma «non si tratta di una crisi di fede, ma dell’ultima tappa di un amore che si dona fino in fondo. Il grido di Gesù non è disperazione, ma sincerità, verità portata al limite, fiducia che resiste anche quando tutto tace», infatti anche quel momento è accompagnato da inequivocabili attestazioni divine: il velo che nel Tempio nascondeva ai pellegrini ebrei la Presenza del Signore si squarcia (Mc 15,33), perché essa è pienamente visibile nel Cristo crocifisso. «È lì, in quell’uomo straziato, che si manifesta l’amore più grande. È lì che possiamo riconoscere un Dio che non resta distante, ma attraversa fino in fondo il nostro dolore», sottolinea il Santo Padre. 

Ai piedi della croce «il centurione, un pagano, lo capisce. Non perché ha ascoltato un discorso, ma perché ha visto morire Gesù in quel modo: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39). È la prima professione di fede dopo la morte di Gesù. È il frutto di un grido che non si è disperso nel vento, ma ha toccato un cuore». A volte le emozioni sono così forti da non poter essere espresse verbalmente, ma solo tramite l’azione. «Noi siamo abituati a pensare al grido come a qualcosa di scomposto, da reprimere. Il Vangelo conferisce al nostro grido un valore immenso, ricordandoci che può essere invocazione, protesta, desiderio, consegna. Addirittura, può essere la forma estrema della preghiera, quando non ci restano più parole. In quel grido, Gesù ha messo tutto ciò che gli restava: tutto il suo amore, tutta la sua speranza», rimarca il Pontefice. «Sì, perché anche questo c’è, nel gridare: una speranza che non si rassegna. Si grida quando si crede che qualcuno possa ancora ascoltare. Si grida non per disperazione, ma per desiderio» di aiuto, quindi possiamo dire che «Gesù non ha gridato contro il Padre, ma verso di Lui». «Un grido non è mai inutile, se nasce dall’amore. E non è mai ignorato, se è consegnato a Dio. È una via per non cedere al cinismo, per continuare a credere che un altro mondo è possibile»: dal fondo della morte si intravede la risurrezione. 

Le nostre sono grida di fede o di disperazione “atea”? «Quando arriva il momento della prova, come i nuovi santi Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, impariamo da Cristo il grido di speranza e il desiderio di aprire i nostri cuori alla volontà del Padre che vuole la nostra salvezza», esorta il Pontefice pensando alle biografie dei due giovani appena canonizzati. 

Il grido dei tanti che, ancora oggi, sono crocifissi con Cristo risuona nelle parole ai pellegrini polacchi, a cui Leone XIV ricorda che «oggi celebrate la Giornata Nazionale dei Bambini Polacchi Vittime della Guerra, che commemora simbolicamente le loro sofferenze e il loro contributo alla ricostruzione della Polonia dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ricordate nelle vostre preghiere e nei vostri progetti umanitari anche i bambini dell’Ucraina, di Gaza e di altre regioni del mondo colpite dalla guerra».

Giovedì, 11 settembre 2025

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