La vicenda di santa Giuseppina Bakhita mette in evidenza tutte le volte in cui la dignità umana è violata. Il dialogo è proposto come una via di umanizzazione anche per risolvere il conflitto mediorientale
di Michele Brambilla
«Nel cammino di catechesi sullo zelo apostolico», spiega Papa Francesco aprendo l’udienza dell’11 ottobre, «oggi ci lasciamo ispirare dalla testimonianza di Santa Giuseppina Bakhita, una santa sudanese». «Purtroppo da mesi il Sudan è lacerato da un terribile conflitto armato di cui oggi si parla poco», mentre la fama della santa nativa del Darfur percorre, ormai, l’orbe terraqueo.
Il Darfur, «il martoriato Darfur», sottolinea il Papa. La piccola Bakhita fu vittima dei negrieri dell’Ottocento e il nome africano con cui è nota era in realtà un soprannome, affibbiato dai carcerieri. «Le sofferenze fisiche e morali di cui è stata vittima da piccola l’hanno lasciata senza identità. Ha subito cattiverie e violenze: sul suo corpo portava più di cento cicatrici. Ma lei stessa ha testimoniato: “Da schiava non mi sono mai disperata, perché sentivo una forza misteriosa che mi sosteneva”»: la Grazia che la guidava verso Gesù, conosciuto finalmente quando fu “importata” in Veneto dal console italiano.
«Sappiamo che spesso la persona ferita ferisce a sua volta; l’oppresso diventa facilmente un oppressore» per sete di vendetta.«Invece, la vocazione degli oppressi è quella di liberare sé stessi e gli oppressori diventando restauratori di umanità. Solo nella debolezza degli oppressi si può rivelare la forza dell’amore di Dio che libera entrambi»: nel Crocifisso viene sanata alla radice l’impulso diabolico del peccato originale, che tende verso la divisione e l’odio. «Guardandolo sperimenta una liberazione interiore perché si sente compresa e amata e quindi capace di comprendere e amare: questo è l’inizio. Si sente compresa, si sente amata di conseguenza capace di comprendere e amare gli altri. Infatti lei dirà: “L’amore di Dio mi ha sempre accompagnato in modo misterioso… Il Signore mi ha voluto tanto bene: bisogna voler bene a tutti… Bisogna compatire!”. Questa è l’anima di Bakhita. Davvero, com-patire significa sia patire con le vittime di tanta disumanità presente nel mondo, e anche compatire chi commette errori e ingiustizie, non giustificando, ma umanizzando», cioè restituendo anche loro al progetto originario di Dio sull’essere umano.
La via dell’Amore, che spingeva santa Giuseppina ad ipotizzare che «“Se Giuda avesse chiesto perdono a Gesù anche lui avrebbe trovato misericordia”», è la chiave di lettura che la Chiesa applica anche alle tristi vicende di questi giorni. Dopo la risposta della diplomazia israeliana al comunicato dei patriarchi orientali, giudicato troppo equanime per la gravità del delitto subito da Israele, il Pontefice ribadisce che «continuo a seguire con lacrime e apprensione quanto sta succedendo in Israele e Palestina: tante persone uccise, altre ferite. Prego per quelle famiglie che hanno visto trasformare un giorno di festa in un giorno di lutto e chiedo che gli ostaggi vengano subito rilasciati». Conferma che «è diritto di chi è attaccato difendersi, ma sono molto preoccupato per l’assedio totale in cui vivono i palestinesi a Gaza», pagato anch’esso dai civili. In ogni caso, «il terrorismo e gli estremismi non aiutano a raggiungere una soluzione al conflitto tra Israeliani e Palestinesi, ma alimentano l’odio, la violenza, la vendetta, e fanno solo soffrire gli uni e gli altri. Il Medio Oriente non ha bisogno di guerra, ma di pace, di una pace costruita sulla giustizia, sul dialogo e sul coraggio della fraternità».
Giovedì, 12 ottobre 2023