Celebrata ieri la Giornata della memoria delle vittime delle repressioni politiche. Si stima che almeno 20 milioni di persone furono condannate ai lager, senza contare i confinati, i prigionieri di guerra e gli internati negli ospedali psichiatrici. Una barriera bronzea con la parola “Ricorda” in 22 lingue e con pietre tratte dai luoghi di detenzione di tutto il Paese. Polemiche su un monumento a Solženicyn.
Ieri in tutto il Paese si è celebrata la Giornata della memoria delle vittime delle repressioni politiche, tappa fondamentale della riconciliazione con la tragica storia iniziata 100 anni fa con la Rivoluzione d’ottobre. Le vittime si riferiscono soprattutto ai periodi del “terrore rosso” proclamato subito dopo la rivoluzione stessa e durante la guerra civile tra bianchi e rossi (1918-1921), e a quello del “grande terrore” staliniano degli anni 1937-1939.
Il numero delle vittime delle repressioni sovietiche non è mai stato stabilito in modo ufficiale. Nel calcolo occorre tener conto non solo dei periodi ricordati, ma di tutti i 75 anni della dittatura comunista. Secondo i documenti ufficiali della polizia politica (nelle sue varie denominazioni di Ogpu, Nkvd, Mvd e Kgb) tra il 1930 e il 1953, anno della morte di Stalin, furono condannati per motivi politici 3,8 milioni di persone, e tra il 1923 e il 1953 vennero fucilate 800 mila persone; cifre di per sé impressionanti, ma secondo gli storici decisamente sottostimate.
L’associazione “Memorial”, che si occupa in Russia della riabilitazione e della documentazione relativa alle persecuzioni, ha potuto confermare le informazioni relative a 2,6 milioni di cittadini dell’Urss, stabilendo la loro identità, il loro arresto e la loro condanna, ma moltissime vittime rimangono confinate nell’oblio. Tra gli storici russi più autorevoli, Okhotin e Roginskij ritengono che dal 1921 al 1953 ci furono 5,5 milioni di condannati “politici”; secondo altre stime più generiche, dai lager staliniani passarono non meno di 20 milioni di persone, senza contare i confinati, i prigionieri di guerra e gli internati negli ospedali psichiatrici.
Lo Stato russo non si occupa – né si è mai ufficialmente occupato, neanche dopo la fine del comunismo – della raccolta d’informazioni sui lager e le repressioni, lasciando questo compito alle associazioni come Memorial e altre. Gli archivi segreti sono rimasti accessibili solo per pochi anni, e anche la Chiesa ortodossa ha da tempo smesso di proclamare i “nuovi martiri”, proprio per l’impossibilità di procedere con le ricerche d’archivio.
Intanto, presso i principali campi di concentramento – ciò che Solženicyn ha chiamato “Arcipelago Gulag” – in modo più o meno regolare si svolgono manifestazioni e cerimonie, come nel campo di Butovo nella periferia di Mosca, o nel bosco di Sandormokh, teatro delle fucilazioni di massa di preti e vescovi detenuti nel lager delle isole Solovki. Proprio i monaci ortodossi delle Solovki stanno invece eliminando tutte le memorie dei detenuti, ritenendole un’offesa alla santità del luogo.
I simboli della memoria
In occasione della Giornata della memoria, nel centro di Mosca è stato collocato un monumento alle vittime della repressione politica, alla presenza del presidente Vladimir Putin e del patriarca di Mosca Kirill (Gundjaev). L’opera denominata “Muro del Pianto” (Stena Skorbi in russo) è stata scelta tra 300 progetti presentati. Realizzata dallo scultore Georgij Franguljan, si tratta di una barriera bronzea su cui sono rappresentate delle figure umane, tra cui sono collocate delle tavole con la scritta “Ricorda” in 22 lingue, che rievocano le tante nazionalità dei cittadini sovietici repressi. Attorno alla scultura verranno elevate delle pietre verticali, che secondo l’autore devono significare che “bisogna vivere stando in piedi, non in ginocchio”. Le pietre verranno portate da tutti i luoghi di reclusione sparsi per il Paese.
In occasione delle cerimonie per i perseguitati, si è riaccesa la polemica su un progetto di realizzare un monumento alla memoria dello scrittore Aleksandr Solženicyn, cantore dei prigionieri dei lager. L’idea è stata avanzata da un ex-detenuto dissidente, il poeta Vitold Abalkin, presso le autorità della città di Rostov-sul-Don nel 2013, e da allora non si sono placate le polemiche che dividono la popolazione nel giudizio sul grande scrittore. Il nome di Solženicyn è celebre in tutto il mondo fin dagli anni ’70, quando ottenne il premio Nobel per il romanzo “Una giornata di Ivan Denisovič”, che descriveva la vita nei lager. Fu poi espulso dal Paese nel 1974, quando cominciò la pubblicazione di “Arcipelago Gulag”, composto in base alle memorie dei prigionieri giunte da tutto il Paese. Lo scrittore tornò in Russia nel 1994, e fu uno degli ispiratori della politica nazionalista del presidente Putin. Eppure, per una parte consistente dell’opinione pubblica egli rimane un “traditore della patria”, uno dei massimi colpevoli della crisi e della scomparsa dell’Unione Sovietica, di cui per molti non si è spenta la nostalgia. Il monumento di Abalkin dovrebbe essere pronto per le celebrazioni dei 100 anni dalla nascita di Solženicyn, che si compiranno nel 2018 e saranno un’altra occasione per la riconciliazione della memoria storica della Russia.
Vladimir Rozanskij
Da Asianews del 31/10/2017. Foto da museodelcomunismo.it