Da “La nuova Bussola Quotidiana” del 15 novembre 2016. Foto da corriere.it
Non è certamente il tema principale della riforma costituzionale. Non è però neanche quello più marginale: è il rapporto fra le nuove disposizioni e le Regioni a Statuto speciale. E’ vero che le modifiche del Titolo V non si applicano a questo gruppo di Regioni fino alla stipula di intese con le Regioni stesse (art. 39, comma 13 del testo approvato dal Parlamento), ma è altrettanto vero che esse non potranno sottrarsi allo spirito marcatamente accentratore ed antiautonomistico su cui la riforma si basa. E’ già carico il revolver da puntare alla tempia delle Regioni a Statuto Speciale per far loro digerire una revisione degli Statuti dettata integralmente dallo Stato e, quindi, coerente con lo spirito antiautonomistico che permea l’intera revisione.
Stabilendo che a riforma approvata il Senato sarà composto prevalentemente da Consiglieri regionali (art. 57, comma 2: “i Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori”), il “governo costituente” si è creato lo strumento per far digerire alle Regioni a Statuto Speciale ciò che vorrà. Infatti, a partire dalla riforma del 2001 tutti gli Statuti delle Regioni a Statuto Speciale prevedono che lo status di Consigliere Regionale è incompatibile con l’appartenenza alle Camere del Parlamento, cosicché per esprimere appieno i propri rappresentati al Senato le Regioni a Statuto Speciale dovranno necessariamente accettare modifiche dei propri Statuti. Si prenda, ad esempio, l’articolo 28 dello Statuto della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol: il comma 3 di esso, introdotto in occasione della riforma costituzionale del Titolo V del 2001, afferma che “l’ufficio di consigliere provinciale e regionale è incompatibile con quello di membro di una delle Camere, di un altro Consiglio regionale, ovvero del Parlamento europeo”. Lo stesso vale per l’articolo 15 dello Statuto del Friuli Venezia Giulia, per l’articolo 3 dello Statuto della Sicilia, per gli articoli 17 degli Statuti della Sardegna e della Valle d’Aosta.
Premesso che non è chiaro, dal testo dell’articolo 57 del progetto di nuova costituzione, se nella nuova composizione del Senato i senatori nominati dalle due Province Autonome esauriscano i senatori previsti per la Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol (come ritiene la maggior parte dei commentatori) oppure si aggiungano a quelli propriamente nominati dal Consiglio Regionale (come ritengono altri commentatori), si ha la conseguenza che, se non vorranno accettare quanto lo Stato imporrà loro in sede di revisione degli Statuti (a cominciare dalle limitazioni di autonomia, sulla falsariga della modifica del Titolo V valevole per le Regioni a Statuto Ordinario), i cittadini delle Province di Trento e Bolzano/Bozen avranno soltanto due senatori (nominati dai Consigli tra i Sindaci di ciascuna Provincia) a rappresentarli nel Senato, esattamente come il Molise o la Basilicata. E saranno “fortunati”, in quanto le altre Regioni a Statuto Speciale (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia) avranno – a Statuti vigenti e non modificati – appena un solo senatore (quello nominato tra i Sindaci). Se, invece, le Regioni a Statuto Speciale vorranno avere adeguato diritto di rappresentanza nel nuovo Senato, dovranno accettare tutto quanto il “governo costituente” potrebbe imporre loro, cogliendo l’occasione della modifica dello Statuto di ciascuna, a cominciare da una sicura drastica riduzione dell’autonomia. Potrebbe essere l’inizio della fine, da un punto di vista sostanziale, delle Regioni a Statuto Speciale.
Chi abbia a cuore le prerogative autonomistiche e il principio di sussidiarietà, dovrebbe essere cauto nel condividere la riforma costituzionale sottoposta a referendum, anche se risiede in una Regione a Statuto Speciale. Aiutando ad approvare la riforma con il suo voto, chi ha a cuore tali valori si consegna dritto nelle mani del “governo costituente”: una prospettiva poco rassicurante.
Francesco Farri, avvocato del Centro Studi Rosario Livatino