A volte, sono i piccoli segnali che fanno percepire un’accelerazione nella marcia della Rivoluzione.
di Massimo Martinucci
Per descrivere e spiegare la perdita dei valori cristiani nella società moderna sono state utilizzate molte immagini efficaci, dal “piano inclinato”, su cui inevitabilmente si scivola, alla valanga che si ingrossa inarrestabile e tutto travolge, alla “finestra di Overton”, che anestetizza e trasforma il sentire comune, alla malattia che procede per tappe, con periodi di riacutizzazione ed altri di remissione.
Ma quando ha iniziato a inclinarsi il piano, formarsi la valanga, schiudersi la finestra, comparire la malattia? La risposta “prima” sta certamente nel non serviam luciferino e, storicamente, nell’inizio del processo rivoluzionario descritto da Plinio Correa de Oliveira (1908-1995) nel suo magistrale saggio Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Quando questi segnali rivoluzionari iniziano ad essere percepibili? Nella vita di ogni contro-rivoluzionario ci sono dei momenti particolari, dei passaggi significativi, nei quali si fa evidente la consapevolezza che sta succedendo qualcosa di decisivo nella marcia della Rivoluzione.
Camminando per il centro della mia città, nella primavera del 1974, mi sono trovato a sostare davanti a un tabellone con i manifesti dei partiti politici affissi in occasione del «referendum abrogativo» che si sarebbe svolto l’ormai imminente 13 maggio. Già dal 1971 alcuni movimenti cattolici avevano raccolto le firme e condotto una campagna per cancellare dall’ordinamento la legge Fortuna-Baslini che l’anno precedente aveva introdotto il divorzio in Italia. Anche la nostra associazione aveva fatto la sua parte, sia nella raccolta delle firme che con incontri, conferenze, volantinaggi, articoli comparsi sui primi numeri della neonata rivista Cristianità; insomma si fece quello che si poteva fare quando non c’erano i social, le email e nemmeno i siti internet.
Tutta la sinistra, dai Radicali ai Socialdemocratici, si era schierata per mantenere in vigore la legge, così come il Partito Liberale, al quale apparteneva uno dei due presentatori. Dall’altra parte, schierati per l’abrogazione, stavano con il fronte antidivorzista la Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale Italiano.
Erano ancora bagnati di colla, affissi da poco, e mi sono fermato ad osservare i manifesti con interesse. A distanza di tanti anni ora me ne ricordo distintamente soltanto due. Quelli della DC erano di modeste dimensioni, ce ne stavano quattro nell’apposito spazio; di essi ricordo la carta opaca, la stampa a colori smorti e la frase in uno sfondo a tinta unita «Rispondi sì per annullare la legge-divorzio». Il “sì” era in corsivo, e molto più grande del resto della frase. Si trattava di un semplice consiglio, al massimo di una raccomandazione. «Un po’ banale», pensai, «ma d’altro canto che cos’altro c’è da scrivere su un manifesto?».
A contraddire immediatamente questo mio semplicistico e superficiale pensiero, pochi metri più in là, ecco il manifesto del Partito Repubblicano Italiano (i “mazziniani”). Grande, su carta patinata. Sullo sfondo di un luminoso cielo azzurro c’era un grande NO, tracciato con un carattere molto moderno, sotto alla scritta: «Un sereno no dalla coscienza civile del paese».
Rimasi a guardarlo per diversi minuti. Ogni parola aveva un’altezza, una larghezza e una profondità, aveva un significato e trasmetteva una cultura ben precisa, perfino un’appartenenza.
«Un sereno no…»: Pacatezza, riflessione previa, determinazione, sicurezza delle proprie scelte. «…dalla coscienza…»: appannaggio della sfera religiosa, il laico ora se ne appropriava, serenamente, avendo interiorizzato una scelta che affermava legittima e che, ora, finalmente poteva diventare legale. «…civile…»: ecco come sarà la coscienza. Civile, contrapposta a quella religiosa, che non deve — e da quel momento in poi non avrebbe più potuto — interferire con le scelte laiche delle persone, «…del paese». Eggià, non delle persone, ma del paese. Questa nuova coscienza civile si stava generalizzando, si avviava a diventare “tradizione”, trasformando una nazione, un popolo, in «paese».
Complimenti, ho pensato, davvero complimenti. Fu proprio in quel momento che mi resi conto che quella battaglia l’avevamo persa.
Martedì, 3 novembre 2020