Giacomo Maria Arrigo, Cristianità n. 422 (2023)
Ho avuto l’occasione di tenere questa conversazione con Luciano Pellicani il 12 luglio 2019 durante la mia ricerca dottorale. Meno di un anno dopo, l’11 aprile 2020, Pellicani è deceduto a causa del Covid-19. Aveva 81 anni. La versione inglese della conversazione è contenuta in Giacomo Maria Arrigo, Gnostic Jihadism. A Philosophical Inquiry into Radical Politics, Mimesis International, Milano 2021, pp. 311-318. Tutti i successivi rimandi a capitoli e a paragrafi numerati si riferiscono al libro appena citato, che approfondisce il concetto di gnosticismo rivoluzionario, noto anche come neo-gnosticismo o gnosticismo attivistico. Una certa letteratura filosofica, che include autori al pari di Eric Voegelin [1901-1985], Augusto Del Noce [1910-1989], Hans Jonas [1903-1993], Vittorio Mathieu [1923-2020], Emanuele Samek Lodovici [1942-1981] e lo stesso Pellicani, ha letto le grandi rivoluzioni moderne in termini gnostici: dalla cosiddetta prima rivoluzione inglese (o rivoluzione puritana) alla Rivoluzione francese, dal bolscevismo al nazismo, fino allo jihadismo, come sostengo nel libro in oggetto.
Il mondo attuale si trova in una situazione paradossale: se da una parte il modello liberal-democratico sembra guadagnare terreno anche in terre e culture straniere al mondo occidentale, si assiste all’emergere di gruppi cosiddetti antagonisti, o più classicamente anarchici, e di milizie jihadiste che propagandano messaggi di liberazione totale dal Moloch capitalistico e dal Satana infedele. Una simile liberazione si tramuta sovente in redenzione dell’umanità, e il messaggio politico-rivoluzionario assume caratteri messianici ed escatologici: la fine del mondo è vicina, il riscatto è prossimo, e un manipolo di uomini — proprio coloro che denunciano una siffatta situazione — condurrà l’intero genere umano alla terra promessa.
Sono andato a trovare Luciano Pellicani a Roma per approfondire il processo di sacralizzazione della lotta armata, di cui lui è uno dei massimi studiosi. Il concetto di gnosticismo rivoluzionario ha trovato grande accoglienza nei suoi studi (come ho cercato di dimostrare nel paragrafo 2.6).
Pellicani mi accoglie in casa sua, mi fa accomodare a un tavolo e mi offre una cedrata. «C’è un blocco mentale nei riguardi dello gnosticismo rivoluzionario», inizia a spiegare. «Il fatto è che Eric Voegelin è sempre stato considerato un intellettuale di destra», dice. E continua: «Anche io, in effetti, ho conosciuto questa categoria da Augusto Del Noce, con cui ho avuto il piacere di interloquire personalmente più volte. Intendiamoci, il mio orientamento culturale è completamente diverso da quello di Del Noce»; e infatti Pellicani è socialista riformista, mentre Del Noce era un cattolico, «ma la verità sta dove sta, non è né di destra né di sinistra», prosegue. «A tal proposito, come diceva Albert Einstein [1879-1955], “Io sono un inguaribile opportunista”. Ad ogni modo, fu Del Noce a far pubblicare in Italia il libro La nuova scienza politica (1) di Eric Voegelin. E così mi informai sullo gnosticismo».
Luciano Pellicani racconta quindi della forte curiosità che fin da subito suscitò in lui questo fenomeno. Sembrava proprio che lo gnosticismo fosse riemerso più volte nel corso della storia sotto sembianze diverse, o almeno così lasciava intendere un’attenta lettura di Voegelin e di altri autori. «Il problema centrale dello gnosticismo è il male», riprende Pellicani. «Lo gnosticismo rigoroso è nichilismo fino in fondo. In pratica, secondo gli gnostici nascere è una disgrazia. Il problema del male lo si ritrova anche in Hegel [Georg Wilhelm Friedrich, 1770-1831]. Benedetto Croce [1866-1952] scrive in un passaggio — che purtroppo non ha sviluppato oltre — che la filosofia hegeliana è una gnosi per il semplice motivo che cerca di far sparire il problema del male. Se ogni passaggio della storia è un passo verso la meta finale che è la libertà, allora anche la serie di fenomeni negativi hanno un significato proprio in quanto sono propedeutici per arrivare alla meta finale, e alla fine il male sparisce. Lo gnosticismo ha quindi un valore liberatorio nei riguardi del male. In fondo, dalla gnosi di Hegel viene fuori la gnosi di Karl Marx [1818-1883]». Pellicani alza gli occhi al soffitto. Raccoglie le idee. «Non è possibile evitare di confrontarsi con Hegel perché è colui che ha preso il toro per le corna. Non a caso sostiene che il nostro tempo si caratterizza per il fatto che Dio è morto, anticipando di fatto Nietzsche. György Lukács [1885-1971], celebre intellettuale marxista, scrive nel suo diario: “Mi dovrei suicidare perché la vita ha perso ogni senso”. Pensi un po’, si mise addirittura a studiare la vita dei santi, nonostante alla fine approdasse a una conclusione diametralmente opposta al cristianesimo. Lukács affermò che bisogna distruggere questo mondo per arrivare alla vera meta».
Qui Pellicani si ferma per riflettere. Mi inserisco quindi con una domanda: «Ma è possibile parlare di una continuità genetica tra lo gnosticismo del II e III secolo d.C. e lo gnosticismo secolarizzato, moderno, quello presente in Hegel e confluito in Marx e altri pensatori più o meno rivoluzionari?» (domanda, questa, cui ho cercato di rispondere nel paragrafo 2.1). La risposta di Pellicani mi incuriosisce: «La continuità è senz’altro genetica», sostiene, «perché Hegel dice chiaro e tondo di riferirsi a Valentino, lo gnostico del secondo secolo, riproponendone lo schema triadico di unità originaria, scissione, ricostituzione dell’unità. Ne parla in Lezioni di filosofia della religione, se non sbaglio».
Ribatto: «Giovanni Filoramo però tende a prediligere la possibilità di una ricorrenza fenomenologica, un atteggiamento costante che emerge di fronte al male in periodi storici diversi ma in circostanze simili. Dunque, riformulo la domanda: tra lo gnosticismo antico e quello moderno esiste una ricorrenza fenomenologica o si tratta piuttosto di una vera e propria continuità dottrinale?»
«Le due cose non sono in conflitto fra di loro», risponde Pellicani con enfasi. «L’esplicito rifermento di Hegel a Valentino non è un elemento di cui non tener conto: questo fatto stabilisce un legame diretto, genetico, fra lo gnosticismo classico di Valentino e lo neognosticismo di Hegel, di Marx e di altri autori».
Bevo un altro sorso di cedrata e mi sporgo in avanti. Il dibattito sullo gnosticismo rivoluzionario non è semplice, penso. In un recente convegno a Praga mi è stato ribattuto che forse sarebbe meglio evitare di utilizzare questo nome per non fare confusione con la peculiarità dottrinale di un fenomeno religioso tardo-antico. Dico quindi a Pellicani: «Ci sono alcuni autori che preferiscono però parlare di apocalitticismo, tendendo quindi ad eclissare la denominazione di gnosticismo, ritenuta da loro equivoca».
«Gnosticismo e apocalitticismo sono collegati», risponde Pellicani immediatamente. «L’ossessione di entrambi i fenomeni è la stessa, ossia il male. Come si fa a estirpare il male? Da dove viene? Direi che questo è il tema. Per esempio, Léon Poljakov [1910-1997], storico francese di origine russa noto per i suoi studi sul genocidio degli ebrei, parla di “teodicea di Hitler”. Espressione senz’altro curiosa, no? Significa che quella di Adolf Hitler [1889-1945] è una teoria sull’origine del male. Ed è anche una terapia per estirpare il male: ecco perché si può parlare di gnosticismo nazista». Fa una pausa. «Di tanto in tanto arriva il Paracleto gnostico, il quale dice “ecco, ho trovato la soluzione per il male nel mondo”. E giù con l’elenco: “sono gli ebrei”, oppure “è la borghesia” eccetera. Estirpare il male per purificare il mondo! Il concetto di purezza è essenziale».
L’ossessione per la purezza è spesso accompagnata da una aspra critica al mercato, come hanno dimostrato nel 2004 Ian Buruma e Avishai Margalit nel saggio Occidentalism: The West in the Eyes of Its Enemies (ne parlo nel paragrafo 5.3.1). Faccio presente questa osservazione a Pellicani, che coglie la palla al balzo e dice: «Il capitalismo ha un ruolo importante. Ce lo troviamo sempre davanti, sia nelle sue conseguenze negative che positive. La maggior parte delle dottrine definite gnostiche ha nel capitalismo un idolo polemico. Ad esempio, i puritani volevano distruggere il capitalismo. Ne parla anche Michael Walzer nel testo La rivoluzione dei santi (1965), un libro che, vai a capire perché, non lo cita più nessuno. Il puritanesimo è un’ideologia rivoluzionaria che vuole abbattere il capitalismo e l’individualismo: tutto il contrario della vulgata weberiana!»
Riporto quindi la discussione al nostro tempo, mettendo a fuoco la nostra epoca scossa da così grandi cambiamenti. Chiedo: «Esiste il rischio che fenomeni gnostico-rivoluzionari ritornino nel mondo d’oggi? La tentazione di redimere il mondo è scomparsa oppure emergerà ancora?»
Pellicani sospira, ci pensa un po’ su. «Sono scettico sulle possibilità di un ritorno di simili fenomeni», dice, «però so anche una cosa: di fronte a una crisi enorme si crea l’uditorio ideale per la predicazione gnostica. Ho insistito molto durante la mia carriera sul ruolo che ha avuto la Prima guerra mondiale o, meglio, la psicologia della trincea. L’obiettivo dei soldati durante la Grande guerra era l’annientamento del nemico. Il discorso che svolgono Hitler e Lenin [Vladimir Il’ič Ul’janov, 1870-1924] corrisponde al nuovo tipo antropologico che viene fuori dalle trincee. Julij Martov [1873-1923], leader intellettuale e politico dell’ala menscevica del Partito Socialdemocratico russo, aveva capito tutto ciò e ha scritto un libro — molto prezioso — intitolato Bolscevismo mondiale. La sua tesi centrale è basata sulla psicologia della trincea che produce una massa pronta ad esplodere. E quando arrivano discorsi di demagoghi eloquenti e abili, ebbene, allora l’uditorio è già pronto».
Il punto che Pellicani tocca è centrale: la crisi — qualsivoglia crisi, economica, militare, politica — precede sempre le grandi esplosioni gnostico-rivoluzionarie. Come sventare dunque eventuali sollevamenti che avvengono in nome di una ideologia redentrice? L’identificazione del nemico da estirpare, il presunto possesso di una conoscenza salvifica, la volontà prometeica di rifare tutto daccapo: questi elementi fusi insieme basterebbero per accendere il fuoco di una rivoluzione per sua natura proiettata sullo scenario internazionale. Domando quindi a Pellicani circa l’eventuale esistenza di un rimedio alla emersione di queste tendenze gnostico-rivoluzionarie.
«Esiste, eccome. Mi riferisco al riformismo permanente. Gli strati sociali colpiti dalle crisi, siano essere economiche o di altro genere, gemono, soffrono, e aspettano una speranza, un messaggio salvifico. Quindi, per evitare sollevazioni popolari, bisogna adeguare le istituzioni e le politiche alla realtà che cambia continuamente. In Inghilterra, grazie all’esperienza della Gloriosa Rivoluzione del 1688, un simile programma è stato attuato». Riflette un po’ e aggiunge: «Certo, la precondizione è la crescita economica. “Se non cresce la ricchezza ritorna tutta la vecchia merda”: così si esprime letteralmente Marx». E riprendendo il discorso dal precedente punto Pellicani afferma: «L’influenza della Rivoluzione d’Ottobre ha alterato le aspettative degli strati più bassi della popolazione. “Fare come la Russia” era il motto: se è stato possibile in Russia, poteva essere possibile anche altrove. Nel 1917 il mondo ha tremato. Ripeto che quando si crea una massa di scontenti ed esasperati arriva prontamente il demagogo che fa il discorso giusto, e là non si può più tornare indietro. La Prima guerra mondiale creò questo pubblico, il quale si rafforzò con il 1917, e tutta l’Europa impazzì. Ma non la Gran Bretagna. La Gloriosa Rivoluzione era moderata e liberale. A partire da quel momento la storia dell’Inghilterra è diventata un vero e proprio manuale di contro-rivoluzione. In altri termini, gli inglesi sono diventati abili ad evitare una rivoluzione».
Mi alzo, mi muovo nella stanza, faccio scorrere lo sguardo sui libri che rivestono le pareti del soggiorno. Tanti volumi accatastati l’uno sull’altro secondo un ordine sicuramente razionale ma a me oscuro. Ne rimango affascinato. Eppure, le rivoluzioni gnostiche sono apparse un po’ dappertutto, penso d’un tratto. L’Italia, la Germania, la Russia, la Gran Bretagna precedente alla Gloriosa Rivoluzione, la Francia, tutti questi sono Paesi che sono stati coinvolti in tumulti basati sulla formula auto-redentiva di carismatici Paracleti gnostici. La mia tesi dottorale, fra l’altro, vuole dimostrare che neanche il Medio Oriente è rimasto immune alla mentalità gnostica. Formulo quindi la domanda: «Può il tipo antropologico gnostico essere esportato? Esiste a questo riguardo un contagio fra le culture?»
«E come no?», sbotta Pellicani. «Tutta la tradizione leninista non è comprensibile se non si tiene presente che il populismo russo è essenzialmente giacobinismo adattato alla realtà russa. Lenin dice chiaro e tondo che i bolscevichi sono essenzialmente i giacobini moderni. E aggiunge, con evidente spirito gnostico, che il bolscevico è un rivoluzionario al servizio del proletariato, colui che porta la coscienza rivoluzionaria ai proletari. Il giacobinismo, poi, si è evoluto fino ad arrivare a Pol Pot [Saloth Sâr, 1925-1998]. Il successo che ha avuto il giacobinismo su scala mondiale è impressionante».
Il giacobinismo è uno dei più fortunati avatāra gnostici (vedi paragrafo 3.2.3). L’influenza che ha avuto nel resto del mondo è realmente sconcertante (2).
«Hannah Arendt [1906-1975] definisce il giacobinismo come “la caccia al vizio nascosto”», riprende Pellicani. «Una versione appena edulcorata della mentalità giacobina la offre Concetto Marchesi [1878-1957], grande studioso di letteratura latina. Marchesi elaborò la figura del “fascista mascherato”, secondo cui tutti possono essere fascisti, quantunque mascherati. D’altra parte, si tratta sempre della dicotomia fondamentale del manicheismo, l’eterna lotta tra il Bene e il Male, che tradotto in termini politici assume i connotati (immanenti) della contrapposizione tra il partito rivoluzionario che vuole estirpare il male e tutti coloro che vi resistono». Quest’ultimo gruppo si presenta agli occhi del rivoluzionario come un solido blocco monolitico senza distinzioni interne, e secondo la dottrina gnostica tutti quelli che vi rientrano sono praticamente equivalenti e interscambiabili.
A questo punto Pellicani richiama alla memoria la sua storia personale e mi confida che lui stesso durante la sua lunga carriera accademica è stato più volte collocato nel lato di coloro che resistono alla rivoluzione, quindi un «fascista mascherato», secondo la proposta lessicale di Concetto Marchesi. «Tanti anni fa la casa editrice Vallecchi stava per pubblicare il mio libro I rivoluzionari di professione, finché arrivò un messaggio di un parlamentare che intimidiva gli editori con una lettera. Nella lettera c’era scritto: “Ma state pubblicando un libro di quel fascista di Pellicani?” Il libro comunque fu stampato, sebbene fuori collana. Sono arrivato al punto di prendere seriamente in considerazione l’idea di cambiare Paese. Le riviste scientifiche iniziarono a non pubblicare i miei articoli perché — questa la motivazione — “erano troppo di destra”. Sono stato espulso dal comitato scientifico della Rassegna italiana di sociologia perché ho avuto il coraggio di scrivere una nota critica sulla Scuola di Francoforte: non l’avessi mai fatto! Avanti!, storico quotidiano socialista, non pubblicava più i miei articoli. Ripeto: stavo pensando di cambiare Paese. Poi, nel 1976 Bettino Craxi [1934-2000] venne eletto segretario del Partito Socialista. In una delle sue prime interviste, forse la prima, rilasciata al settimanale L’Europeo, affermò che il Partito Socialista Italiano doveva ritornare ai valori originali e che, letteralmente, “non deve dimenticare la lezione di Eduard Bernstein [1850-1932], come ha dimostrato Luciano Pellicani”. Gli ho subito telefonato, ci siamo visti ed è iniziata la battaglia comune: debolscevizzare la sinistra italiana». Pellicani scuote la testa. «Le persone che mi circondavano si dicevano socialiste ma erano più bolsceviche dei comunisti. Non si poteva mettere in discussione la Rivoluzione d’Ottobre, altrimenti scattavano in aria e si mettevano sulla difensiva». La mentalità manichea aveva fatto breccia nella sinistra italiana degli anni 1970 e 1980.
Torno a sedermi e prendo in mano la penna. Tento di riprendere il filo del discorso, riconducendo la discussione alla tematica dello gnosticismo rivoluzionario. Un dubbio, tuttavia, ha animato questi miei anni di ricerca dottorale: perché utilizzare tale categoria? Una domanda senz’altro provocatoria che, ad ogni modo, mi ha stimolato sempre più a specificare le motivazioni di uno studio così particolare e a render ragione del suo impiego nel caso, da me affrontato, del salafismo-jihadismo. Chiedo a Pellicani senza mezzi termini e con una punta di provocazione: «Lo gnosticismo rivoluzionario è una categoria utile?»
«Per capire la realtà sì, è decisamente utile», risponde.
«Ma che cosa rivela di questi gruppi?», lo incalzo. «Che cosa dice di nuovo dei vari movimenti definiti gnostici, come per esempio il bolscevismo, il giacobinismo e il nazismo?»
Pellicani si interrompe. D’improvviso si alza dalla sedia e scompare dietro una porta alle sue spalle. Torna dopo qualche istante con un libro fra le mani. «Risponderei a questa domanda con le ultime pagine del mio libro La società dei giusti riferite ad Anatole France [1844-1924]», afferma, agitando in aria il libro come se fosse una bandiera. «France, scrittore francese e premio Nobel della letteratura nel 1921, aveva passato tutta la sua vita a mettere in guardia i suoi lettori dalla tentazione giacobina, quella, cioè, di creare un uomo angelico, come lui stesso diceva. La creazione dell’uomo angelico secondo la prospettiva giacobina richiedeva anche il Terrore, ossia la ghigliottina — ricordiamo infatti che i giacobini volevano creare un mondo purificato e pensavano di poterlo realizzare con un siffatto sistema terroristico. Si trattava certamente di follia, i risultati non potevano che essere disastrosi. Eppure, Anatole France è morto con la bandiera rossa: cioè, era diventato lui stesso un bolscevico. Cosa significa tutto ciò?». Pellicani si fa grave. «Significa che in noi tutti c’è una tentazione, quella di sradicare finalmente il male senza scenderne a patti – e così anche in Anatole France. Ecco cosa ci dice il concetto di gnosticismo rivoluzionario».
Ci penso un attimo su. Aggiungo: «Quindi fenomeni nominalmente cristiani come certe frange di puritani e gli anabattisti radicali di Münster non possono dirsi veramente cristiani. In ciò rivelano qualcosa di estraneo al complesso dottrinale cristiano».
Pellicani risponde: «Beh, in fondo si tratta di eresie cristiane. Un’eresia è un fenomeno certamente collegato a una certa ortodossia, nasce da quella, ma poi raggiunge una sua autonomia, annettendo qualcosa di nuovo che non era compreso dall’ortodossia di riferimento».
«E lo gnosticismo rivoluzionario introduce il concetto di autoredenzione, ossia l’uomo che vuole redimere l’uomo», dico io.
Pellicani si illumina in volto: «Proprio così. È quello il punto. È precisamente questa la pretesa gnostica, che è una rivolta satanica. A tal proposito, Joseph de Maistre [1753-1821] immagina un dialogo fra un giacobino e Dio. Il giacobino si rivolge a Dio dicendogli: “Tutto quello che esiste non mi piace perché è opera Tua, e di conseguenza voglio rifarlo daccapo”. Questo è, in termini tecnici, satanismo».
Ringrazio Luciano Pellicani per il tempo che mi ha dedicato, mi alzo dalla sedia e gli stringo la mano. Ma proprio sull’uscio, la porta già aperta, Pellicani riprende a parlare, visibilmente turbato da qualcosa: «Fra cinquant’anni o cento anni possono risbucare, riesplodere. Mi riferisco a fenomeni gnostico-rivoluzionari. C’è un’osservazione molto acuta nel saggio La speranza nella rivoluzione di Vittorio Mathieu. L’autore giustamente scrive: “La prossima sfida che ci possiamo aspettare è l’ecologismo”. E in effetti, se la retorica ecologista afferma che il capitalismo minaccia la vita stessa e conduce all’autodistruzione, diventa conseguente, e anzi doveroso, distruggere il capitalismo. L’ecologismo è una tecnica per purificare il mondo. Già oggi si stanno presentando diversi Paracleti gnostici ecologisti. Vedremo con quale seguito. È, in effetti, un’osservazione acuta, quella di Mathieu. Nonostante negli ultimi decenni ci siano stati miglioramenti nel campo ecologico, la percezione del problema si è notevolmente aggravata». Continua dopo una pausa: «L’altro problema che non riesco a vedere come possa risolversi è quello inerente ai migranti. Come si fa a fermarli? E pensare che in futuro sarà anche peggio! Sono pessimista sulla questione. “Alla fine occorreranno le cannoniere”, mi disse un giorno un amico. Quando Lenin conquistò il potere sostenne che fin quando fosse esistito lo scambio sarebbe stato ridicolo parlare di socialismo — follia allo stato puro. Senonché lo scambio non si può eliminare. E infatti il mercato nero fu enorme in Russia. Addirittura, le persone erano pronte a sfidare l’autorità fino alla morte. Questo mercato nero è cresciuto smisuratamente durante l’epoca staliniana, era diventata una seconda economia. L’analogia con i migranti è chiara: se i mercanti erano disposti a morire — se scovati con un sacco di merce, venivano fucilati sul posto — anche i migranti, oggi, sono disposti a morire. Se per disperazione, per la fame, corri il rischio di farti fucilare a causa di quel sacchetto, anche i migranti non si fermeranno. Come si fa ad arrestare i flussi migratori? Il boom demografico in quei Paesi continua smisuratamente. Oggi siamo sette miliardi e duecento milioni sul pianeta; nel 2050 saremo nove miliardi. Questa crescita proverrà quasi interamente dai Paesi sottosviluppati, dai popoli affamati. E come faremo a fermarli? Con le cannoniere? Mamma mia… Diventeremmo macellai. Non riesco proprio a capire. È una valanga che cresce e cresce».
Con queste amare riflessioni lascio Luciano Pellicani nella sua abitazione. Ripenso alle sue parole mentre scendo le scale. Giungo in strada. Un africano mi cammina al fianco e passa oltre. È forse uno dei migranti che arrivano periodicamente con i barconi nelle coste italiane. Non riesco — ma soprattutto non voglio — immaginare le conseguenze di una eventuale rivoluzione gnostica legata alla tematica migratoria. Mi volto e me ne vado.
Giacomo Maria Arrigo
Note:
1) The New Science of Politics. An Introduction è un testo pubblicato nel 1952. Qui per la prima volta Voegelin applica la categoria dello gnosticismo a fenomeni moderni. L’edizione italiana (Edizioni Borla, 1968) include un’ampia introduzione firmata da Augusto Del Noce e intitolata Eric Voegelin e la critica dell’idea di modernità (pp. 9-34).
2) Sull’argomento si veda Shmuel N. Eisenstadt [18923-2010], Fondamentalismo e modernità. Eterodossie, utopismo, giacobinismo nella costruzione dei movimenti fondamentalisti, trad. it., Laterza, Roma-Bari 1994.