Gesù non abolisce la Torah, ma ne svela il volto autentico e ne chiede un’osservanza non formale
di Michele Brambilla
Papa Francesco focalizza, all’inizio dell’Angelus del 12 febbraio, che «nel Vangelo della liturgia odierna Gesù dice: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento” (Mt 5,17). Dare compimento: questa è una parola-chiave per capire Gesù e il suo messaggio. Ma che cosa significa questo “dare compimento”», chiede il Pontefice. Per spiegarlo, «il Signore comincia a dire che cosa non è compimento. La Scrittura dice di “non uccidere”, ma questo per Gesù non basta se poi si feriscono i fratelli con le parole; la Scrittura dice di “non commettere adulterio”, ma ciò non basta se poi si vive un amore sporcato da doppiezze e falsità; la Scrittura dice di “non giurare il falso”, ma non basta fare un solenne giuramento se poi si agisce con ipocrisia (cfr Mt 5,21-37)».
«Per darci un esempio concreto, Gesù si concentra sul “rito dell’offerta”», un rito quotidiano nel Tempio di Gerusalemme, dove accorrevano pellegrini ebrei da tutto il mondo conosciuto. «Facendo un’offerta a Dio si ricambiava la gratuità dei suoi doni. Era un rito molto importante – fare un’offerta per ricambiare simbolicamente, diciamo così, la gratuità dei suoi doni –, tanto importante che era vietato interromperlo se non per motivi gravi. Ma Gesù afferma che si deve interromperlo se un fratello ha qualcosa contro di noi, per andare prima a riconciliarsi con lui (cfr vv. 23-24): solo così il rito è compiuto», dato che ad essere offeso nell’altro essere umano è lo stesso Signore. Riconciliarsi è quindi dovere sacro, e non si possono portare le offerte al Tempio senza prima essersi perdonati.
«In altre parole, Gesù ci fa capire che le norme religiose servono, sono buone, ma sono solo l’inizio: per dare loro compimento è necessario andare oltre la lettera e viverne il senso», altrimenti rimangono l’espletamento di una pura formalità. «I comandamenti che Dio ci ha donato non vanno rinchiusi nelle casseforti asfittiche dell’osservanza formale», ammonisce il Papa, perché «questo problema non c’era solo ai tempi di Gesù, c’è anche oggi. A volte, per esempio, si sente dire: “Padre, io non ho ucciso, non ho rubato, non ho fatto male a nessuno…”, come dire: “Sono a posto”. Ecco l’osservanza formale, che si accontenta del minimo indispensabile, mentre Gesù ci invita al massimo possibile», nel senso che «Lui ci ama come un innamorato: non al minimo, ma al massimo! Non ci dice: “Ti amo fino a un certo punto”. No, l’amore vero non è mai fino a un certo punto e non si sente mai a posto; l’amore va sempre oltre, non può farne a meno. Il Signore ce lo ha mostrato donandoci la vita sulla croce e perdonando i suoi uccisori (cfr Lc 23,34). E ci ha affidato il comandamento a cui più tiene: che ci amiamo gli uni gli altri come Lui ci ha amati (cfr Gv 15,12)».
A proposito del massimo possibile, Francesco dedica un ampio spazio alle vicende del Nicaragua, «e non posso qui non ricordare con preoccupazione il vescovo di Matagalpa, mons. Rolando Álvarez, a cui voglio tanto bene, condannato a 26 anni di carcere, e anche le persone che sono state deportate negli Stati Uniti», intendendo alludere, con questa espressione molto diretta, ai 222 prigionieri politici che Daniel Ortega ha obbligato all’esilio. «Prego per loro e per tutti quelli che soffrono in quella cara nazione, e chiedo la vostra preghiera. Domandiamo inoltre al Signore, per l’intercessione dell’Immacolata Vergine Maria, di aprire i cuori dei responsabili politici e di tutti i cittadini alla sincera ricerca della pace, che nasce dalla verità, dalla giustizia, dalla libertà e dall’amore e si raggiunge attraverso l’esercizio paziente del dialogo».
Lunedì, 13 febbraio 2023