Sabato 18 febbraio è morta per una crisi cardiaca Norma McCorvey. Aveva 69 anni. Era nata Norma Leah Nelson il 2 settembre 1947 a Simmersport, in Louisiana, e con lo pseudonimo di “Jane Roe” è stata la causa prossima della legalizzazione dell’aborto negli Stati Uniti. Sessanta milioni di morti dopo, la storia della conversione che l’ha strappata all’abisso merita di essere raccontata ancora una volta.
Norma crebbe in Texas, a Houston, in una famiglia di Testimoni di Geova più improbabili che mai. Il padre, Olin Nelson, abbandonò la famiglia quando lei aveva 13 anni (morirà il 27 settembre 1995) e il divorzio dei suoi seguì in modo praticamente automatico. Lei e il fratello James rimasero allora con la madre Mildred Sanderfur, nota come “Mary”, alcolizzata e violenta. I primi problemi con la giustizia Norma li ebbe attorno ai 10 anni. All’epoca frequentava una scuola cattolica. Rubò dalla cassa di un benzinaio scappando poi con un’amica a Oklahoma City. Con l’inganno, lei e l’amica riuscirono a prendere in affitto una stanza di albergo per essere poi scovate due giorni dopo da una inserviente a scambiarsi baci saffici. Norma fu quindi presa in carico dalle istituzioni pubbliche e iscritta in una scuola femminile del Texas. Ogni volta che tornava a casa, ne combinava una apposta per essere rimandata nell’istituto. Al termine, aveva 15 anni, andò a vivere con un cugino di sua madre, che a quanto pare la violentò per settimane.
Nel ristorante dove andò a lavorare incontrò Elwood “Woody” McCorvey e a 16 anni lo sposò nel 1963; lui, del 1940, di anni ne aveva 23. Comunque sia, nel 1965 il loro matrimonio era già finito. In quello stesso anno Norma diede alla luce Melissa. A quel tempo Norma era tornata a vivere con la madre. Beveva come una spugna, proprio come la mamma, e assumeva pure droghe. Confessò anche di essere lesbica. Approfittando di un week-end che Norma trascorse fuori porta con gli amici lasciandole la piccola Melissa da accudire, mamma Mildred denunciò Norma alla polizia per abbandono di minore e alla fine, con l’inganno, riuscì a farle firmare i documenti necessari a farsi nominare custode della nipotina e così procedere alle pratiche di adozione. Poi buttò la figlia in mezzo alla strada.
Norma diede poi alla luce un secondo figlio e nel 1967 diede in adozione anche questo.
Nel 1969 restò incinta per la terza volta (di un terzo uomo) e questa volta certi suoi amici di Dallas, dove si era stabilita, le consigliarono d’inventarsi uno stupro di gruppo. Lei lo fece, ma mancavano le prove e gl’inquirenti le bloccarono l’accesso all’aborto, permesso in Texas solo in casi di violenza e incesto. Cercò allora l’aborto clandestino, ma le cliniche utili erano state chiuse dalle autorità. Ricorse dunque a due avvocatesse, Linda N. Coffee e Sarah Ragle Weddington. La seconda è diventata famosa, una vera campionessa del femminismo rampante: prima nella Camera dei deputati del Texas con i Democratici, poi nella Casa Bianca di Jimmy Carter come consigliere speciale del presidente e infine come docente universitario (alla Texas Woman’s University di Denton e all’Univeristà del Texas di Austin). Fu lei, la Weddington, a riempire la testa della già sbalestrata Norma McCorvey di idee su aborto e cose così.
Norma, rendendosi ben poco conto di quel che stava crescendo attorno a lei, lasciò fare, delegò e si fidò. Era il 1970. Mentre Norma faceva coppia fissa con Connie Gonzales (si lasceranno solo nel 1993), prendendo casa con lei a Dallas, le due avvocatesse in carriera portarono la voglia di aborto nel tribunale distrettuale del Texas e dopo tre anni il caso approdò alla Corte Suprema. Tutto si compì il 22 gennaio 1973, quando il massimo tribunale degli Stati Uniti, a cui di per sé compete solo la vigilanza sulla costituzionalità delle leggi varate dal Congresso federale, legiferò di testa propria emettendo la sentenza-macigno che chiuse il caso “Roe v. Wade” (al processo del 1970 Henry Menasco Wade [1914-2001] rappresentò lo Stato del Texas). In un colpo solo , furono cioè cancellate tutte le leggi a tutela della vita umana nascente esistenti nei diversi Stati dell’Unione e certe clausole antiabortiste federali stabilendo che l’attività sessuale e i suoi frutti sono parte di un diritto alla privacy che la Costituzione statunitense garantirebbe. Nel frattempo, la bimba di “Jane” era nata nel giugno 1970, era finita pure lei in adozione e da stupro che era la scusa accampata da Norma per innescare tutta questa rivoluzione si trasformò in povertà e depressione.
L’aborto americano venne insomma legalizzato da una bugia detta da una lesbica incinta per giustificare un aborto che non avvenne mai (Norma McCorvey non ha mai abortito) e per di più alla fine Norma si è rimangiata tutto.
Il primo passo è stata la pubblicazione dell’autobiografia-confessione (scritta con Andy Meisler) I Am Roe: My Life, “Roe v. Wade”, and Freedom of Choice nel 1994. Norma aveva anche troncato la sua vita lesbica. Il secondo è avvenuto l’8 agosto 1995 ed è stato ancora più clamoroso: Norma si è convertita, al cristianesimo. Si è fatta protestante grazie gli ex nemici di Operation Rescue, uno dei più agguerriti gruppi pro-life protestanti oggi noto come Operation Save America. Lavorava in un ospedale e, provocatoriamente, Operation Rescue aveva aperto un ufficio lì accanto. Norma si scontrava quasi quotidianamente con Phillip Benham, ministro di culto evangelical e direttore nazionale di Operation Rescue, finché questi lentamente non la conquistò cominciando a portarla in chiesa.
Dunque nel 1998 pubblicò un nuovo libro (scritto con Gary Thomas), Won by Love: Norma McCorvey, Jane Roe of Roe v. Wade, Speaks Out for the Unborn As She Shares Her New Conviction for Life, e il 17 agosto compì l’ultima svolta, quella decisiva: si fece cattolica, ricevuta nella Chiesa da don Frank A. Pavone, direttore di Priests for Life, noto per le tournée a favore della vita con santa Teresa di Calcutta (1910-1997) e con la fondatrice dell’EWTN Madre Angelica (1923-2016), per essere stato il consigliere spirituale della famiglia di Terri Schiavo (1963-2005) e per essere entrato nel comitato cattolico d’indirizzo costituito dall’allora candidato presidenziale Donald J. Trump il 22 settembre scorso.
La Norma che ha dato l’aborto agli Stati Uniti si è così trasformata in una indomabile paladina della vita che ha cercato con tutte le forze di riparare al danno fatto ribaltando la famigerata sentenza del 1973.
Il ritratto che le ha riservato il Corriere della Sera non cita nemmeno di striscio la sua conversione e quello firmato da Gianni Riotta su La Stampa del 19 febbraio è disgustoso specie là dove dice che Norma passò dall’abortismo al pro-life «[…] con l’indifferenza con cui da ragazza cambiava boyfriend», dove suggerisce che il suo cambiamento di vita sia avvenuto per «[…] potere saldare in tempo i conti delle carte di credito a fine mese» e dove loda «[…] la sagacia giuridica nel dare il contesto di “privacy” all’aborto». Irritato e irritante, Riotta chiude il suo inutile articolo dicendo: «Di Jane Roe parleranno i libri, Norma McCorvey lascia la vita da sconosciuta». In considerazione di tutto, invece, noi una preghiera per Norma la vogliamo dire.
Marco Respinti