Di Assuntina Morresi da Avvenire del 19/07/2019. Foto redazionale
Uno spartiacque: questo sarebbe il prossimo 24 settembre, se la Corte costituzionale si dovesse pronunciare per una qualche forma di depenalizzazione dell’aiuto al suicidio.
Non è scontato che accada, ma – come preannuncia dallo scorso ottobre un’ordinanza della Corte – è possibile. I fatti sono noti: a seguito del suicidio di Fabiano Antoniani (dj Fabo), consumato in una struttura svizzera dedicata, il radicale Marco Cappato si è autodenunciato per averlo accompagnato, assecondandone la volontà di morire. La Corte di Assise di Milano, processando Cappato stesso, ha rivolto alla Consulta un quesito sulla coerenza con la Costituzione del nostro Codice penale, quando prevede sanzioni per aiuto e istigazione al suicidio; i giudici hanno risposto con un’ordinanza particolare, dando un anno di tempo al Parlamento per legiferare in proposito e contemporaneamente manifestando il proprio orientamento, favorevole in sostanza a non sanzionare l’aiuto al suicidio in circostanze simili a quelle in cui si è trovato dj Fabo.
La conclusione è semplice, ribadita indirettamente anche da recenti interviste del presidente della Consulta: se il Parlamento non si pronuncerà in merito, sarà la Corte a farlo, e la sentenza sarà prevedibilmente coerente con quanto già annunciato lo scorso anno. In questi mesi non c’è (quasi) stato dibattito pubblico e la politica è stata silente: durante la lunghissima campagna elettorale, i leader di partito sono stati ben alla larga dal tema. Forse tutti d’accordo – se ne deduce – nel lasciar fare alla Consulta, e liberare la politica da un problema tanto spinoso.
Eppure quella che abbiamo davanti potrebbe essere l’ultima soglia da varcare per entrare definitivamente in uno sconvolto Mondo Nuovo, ed è bene esserne consapevoli: dopo fecondazione assistita e unione para-matrimoniale tra persone delle stesso sesso, che finiscono per riguardare entrambe genitorialità e filiazione, il ‘diritto a morire’ è una questione che, a differenza della prime due, inevitabilmente coinvolgerà ciascuno di noi. Meglio ripeterlo: non è scontato che accada, ma c’è il rischio che accada.
La spinta per la legalizzazione del suicidio assistito rende evidente il cuore dell’ideologia del Mondo Nuovo: controllare la morte per irrogarla a comando, cancellandone la misteriosa drammaticità. La morte procurata in camice bianco appare rassicurante: se è un medico a darla, cioè una persona a cui siamo soliti rapportarci con fiducia, pensiamo che il dolore ne resti fuori, e se ci saranno procedure da seguire, legittimate da leggi e giudici, abbiamo la sensazione che la soppressione di una persona, a certe condizioni, sia qualcosa di giusto. La morte è il grande limite della condizione umana. E la medicina è nata per combatterla, cancellando il più possibile la sofferenza, ma se si rovescia lo scopo su cui è fondata, procurare la morte diventerà un atto medico e anziché il più grande dei disvalori si trasformerà esso stesso in un rimedio alla sofferenza, cioè avrà una connotazione positiva.
Quel che è accaduto in altri Paesi mostra le conseguenze di ogni forma di legalizzazione di eutanasia e suicidio assistito: le morti su richiesta (della persona stessa, di suoi familiari, di medici, dello Stato…) poco a poco aumentano, e le modalità del morire la dicono lunga sulla mentalità che avanza. In Olanda l’Associazione dei medici ha pubblicato una guida per accompagnare chi si suicida smettendo di mangiare e di bere: Noa, la ragazzina olandese depressa che si è lasciata morire, è stata assistita da un medico che, anziché impedirle di morire, l’ha assecondata, sedandola, e seguendo le indicazioni per una ‘buona pratica’.