Thomas Stearns Eliot, Cristianità n. 131 (1986)
L’idea di una società cristiana, trad. it., 1ª ed. paperback, Edizioni di Comunità, Milano 1983, pp. 31-33. Titolo redazionale.
Una società cristiana come alternativa
L’idea liberale secondo cui la religione è una questione di fede e di etica personali, così che nulla impedisce ad un buon cristiano di adattarsi ad ogni ambiente che gli dimostri una certa benevolenza, diventa sempre meno sostenibile. […] Un comportamento non cristiano da parte nostra è meno giustificabile che da parte dei nostri antenati, perché lo sviluppo di una società non cristiana attorno a noi, la sua più evidente intromissione nella nostra vita, ha abbattuto le comode barriere tra le moralità pubblica e privata. Il problema di vivere cristianamente in una società non cristiana ci è ben presente ormai […]. Non è semplicemente il problema di una minoranza in una società di individui che professano una fede diversa. È il problema che sorge in quanto noi siamo implicati in una rete di istituzioni dalle quali non possiamo dissociarci: istituzioni che nelle loro manifestazioni non appaiono ormai più neutre, ma decisamente non-cristiane. Il cristiano che non si rende conto del proprio dilemma – ed è la maggioranza – diventa ogni giorno meno cristiano sotto l’insensibile pressione di un’infinità di elementi, giacché il paganesimo controlla tutti i più efficaci mezzi di propaganda. Ogni forma di tradizione cristiana, trasmessa di generazione in generazione nell’ambito familiare, e condannata a sparire, e la piccola comunità cristiana finirà per consistere interamente di anziani.
Tutto ciò che ho detto sinora e già stato affermato anche da altri, ma si tratta di cose essenziali. Io non considero il problema del cristianesimo come quello di una minoranza perseguitata: un cristiano trattato come nemico dello Stato ha una vita molto più dura, ma più semplice. M’interessano piuttosto i pericoli di una minoranza tollerata: può ben darsi che, nel mondo moderno, venire tollerato si riveli la cosa più intollerabile per un cristiano.
Tentar di rendere desiderabile l’avvento di una società cristiana a coloro che non vi vedono alcun vantaggio personale e immediato sarebbe un’impresa vana; fors’anche la maggioranza dei cristiani professanti non vorrebbe sentirne parlare. Purtroppo non è possibile far apparire immediatamente appetibile il progetto di una nuova società, se non ricorrendo a false promesse; e ciò durerà almeno finché la vecchia società non sia giunta a un tale punto di disperazione da acconsentire a qualsiasi mutamento. Una società cristiana diventa accettabile soltanto per chi abbia soppesato equamente le alternative. Naturalmente potremmo anche abbandonarci all’apatia: senza fede, e perciò senza fede in noi stessi, senza una filosofia della vita, pagana o cristiana, e senza arte: oppure potremmo arrivare ad una «democrazia totalitaria», diversa, ma non molto, da altre società pagane, come conseguenza di trasformazioni subite a poco a poco nella speranza di non lasciarci sopravanzare da quelle: uno stato di cose che ci darebbe l’irregimentazione e il livellamento, senza rispetto per le esigenze dell’anima individuale; il puritanesimo di una moralità «igienica» al servizio dell’efficienza; l’uniformità di opinioni per opera della propaganda; l’arte incoraggiata soltanto quando lusinga le dottrine ufficiali. A chi riesce ad immaginare un mondo di questo genere, e di conseguenza ne sente repulsione, si può dichiarare che l’unica possibilità di controllo e di equilibrio sta in un controllo ed in un equilibrio religiosi; e che l’unica speranza per una società che voglia prosperare e perseverare nella propria attività creativa a pro delle arti civili è di diventare cristiana. È una prospettiva che implica, a dir poco, disciplina, difficoltà e disagi: ma qui, come ovunque, l’alternativa all’inferno è il purgatorio.
Thomas Stearns Eliot