Dal Piemonte un piccolo passo a favore della vita – intervista a Maurizio Marrone a cura di Daniela Bovolenta
Facciamo un breve riassunto: a giugno 2020 Gabriella Tesei, governatrice dell’Umbria a capo di una giunta di centrodestra, abroga nella sua regione la possibilità, introdotta dalla precedente giunta di centrosinistra, di praticare l’aborto farmacologico in day hospital, indicando la necessità di tre giorni di ricovero ospedaliero. Bisogna tenere a mente che la questione fino a questa data è regolata in modo differente nelle diverse regioni italiane, alcune delle quali prevedono il ricovero in ogni caso, altre invece permettono la somministrazione dei farmaci abortivi in day hospital o ambulatori territoriali. In questo secondo caso l’assunzione del farmaco avviene nella struttura sanitaria, ma il processo abortivo vero e proprio (fatto di emorragie, espulsione del feto, dolori addominali più o meno acuti) è vissuto in completa solitudine dalle donne.
Immediatamente il Ministro della Salute Roberto Speranza chiede un parere in merito al Consiglio Superiore di Sanità (CSS), in seguito al quale in data 12 agosto 2020 il Ministero della Sanità pubblica un Aggiornamento delle “Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine”.
Tale aggiornamento conferma il parere favorevole del CSS all’interruzione di gravidanza con il metodo farmacologico fino a 63 giorni di età gestazionale e “presso strutture ambulatoriali pubbliche adeguatamente attrezzate, funzionalmente collegate all’ospedale ed autorizzate dalla Regione, nonché consultori, oppure day hospital”. Il Ministero dunque rimuove il vincolo posto dalla governatrice Tesei, cancellando l’obbligo di ricovero fino al termine della procedura abortiva, allungando fino alla nona settimana di gestazione il periodo in cui si può ricorrere al farmaco e, soprattutto, ammettendo il coinvolgimento dei consultori nella procedura abortiva, cosa esplicitamente vietata dalla Legge 194/1978.
In questo quadro si inserisce la proposta di Maurizio Marrone, di Fratelli d’Italia, assessore della Regione Piemonte ai rapporti con il Consiglio regionale, Delegificazione e semplificazione dei percorsi amministrativi, Affari legali e Contenzioso, Emigrazione, Cooperazione internazionale e Post olimpico, il quale a settembre 2020 chiede a Lega e Forza Italia, alleati di Fratelli d’Italia nella giunta regionale piemontese, di approvare una delibera “che adotti linee guida regionali puntualmente e rigorosamente rispettose della Legge 22 maggio 1978, n. 194”.
In pratica l’assessore proponeva di fermare la somministrazione della RU486 nei consultori, di porre fine – al termine dell’emergenza Covid19 – anche alla somministrazione in day hospital, prevedendo invece il ricovero ordinario obbligatorio per l’aborto farmacologico e, infine, l’attivazione di convenzioni con progetti di aiuto alle maternità difficili (ad esempio i Centri di Aiuto alla Vita, il Progetto Gemma…). Le criticità delle linee guida emanate dal Ministero della salute sono state in particolare sottoposte a revisione giuridica presso l’Avvocatura della regione Piemonte.
Alla fine di questo processo, ma anche del confronto con “diverse realtà sanitarie e sociali, tra le quali la FederazioneFedervi.PA. e il dott. Silvio Viale, responsabile del Servizio Unificato IVG dell’Ospedale Sant’Anna di Torino” si è giunti al 2 ottobre a definire i contenuti di una circolare della Regione Piemonte del 2 ottobre, destinata ad ASO e ASL del territorio, che prevede: il divieto di aborto farmacologico direttamente nei consultori piemontesi, l’attivazione di sportelli informativi all’interno degli ospedali piemontesi, consentita ad idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita. Per quanto riguarda l’aborto farmacologico le modalità di ricovero sono valutate dal medico e dalla direzione sanitaria.
Abbiamo chiesto a Maurizio Marrone di spiegarci cosa è avvenuto in Piemonte in queste settimane e perché.
D.: Assessore, lei ha motivato più volte le sue proposte con la tutela della salute delle donne, ci può brevemente riassumere le sue considerazioni?
R.: Disporre l’aborto farmacologico in day hospital automatico espone percentuali importanti di pazienti a dover affrontare a casa senza assistenza ospedaliera complicazioni successive, quali dolore, emorragie, ostruzioni uterine con necessità di dover completare comunque chirurgicamente l’interruzione di gravidanza. Anche violare il paletto di limitare la somministrazione del farmaco abortivo agli ospedali aprendo invece alla distribuzione nei consultori comporta rischi analoghi.
Tutto ciò trova spazio nelle linee guida del ministro Speranza in nome della banalizzazione di questa scelta che sarà inevitabilmente sempre e comunque drammatica
D.: Lei ha l’impressione che l’emergenza Covid sia stata usata per rendere routinarie in questo ambito delle pratiche difformi dalla legge, con l’intenzione di mantenerle in essere anche dopo la fine dell’emergenza?
R.: Il Consiglio Superiore della Sanità menziona – irritualmente per un parere tecnico scientifico – atti parlamentari di natura politica come interrogazioni del centrosinistra e del movimento 5 stelle che richiedevano di incentivare l’aborto in day hospital al fine di ridurre i ricoveri in periodo di scarsità di posti letto ospedalieri dovuta all’emergenza Covid. Personalmente credo che la pandemia sia stata strumentalizzata per giustificare una modifica di linee di indirizzo assunta in pieno ferragosto, con fretta tale da posticipare le necessarie delibere e determine dell’Agenzia del Farmaco successivamente alla pubblicazione delle linee guida stesse.
D. Cosa cambia ora in Piemonte rispetto all’aborto farmacologico? Cosa si potrebbe migliorare nell’ottica della tutela della salute delle donne e della rimozione degli ostacoli alla maternità?
R.: Responsabilizzare la direzione sanitaria degli ospedali circa la scelta sulle modalità di ricovero da valutare caso per caso – come abbiamo stabilito in Piemonte – tutelerà le donne da chi vorrebbe mandarle a casa tutte come se l’RU486 fosse una caramella, senza pensare alla soglia del dolore, lo stato d’ansia, le condizioni abitative e familiari di ciascuna paziente. Difendere il ruolo dei consultori come luogo di informazione, approfondimento e assistenza e non di attuazione diretta dell’aborto garantisce invece la tutela sociale della maternità per una libertà di scelta reale e completa, al posto dell’obbligo di aborto invocato dalle sinistre.
D.: Rispetto alla sua proposta iniziale, mi pare che la circolare della Regione del 2 ottobre abbia recepito alcuni punti positivi, cioè il divieto di somministrazione dei farmaci abortivi nei consultori e la promozione delle associazioni che aiutano le donne che vorrebbero non abortire, mentre invece non è passata la proposta di obbligo di ricovero. Ci può dire come si è arrivati a questa formulazione?
R.: Con un certosino approfondimento dei dati e delle norme, noi di Fratelli d’Italia abbiamo convinto anche chi tra gli alleati di centrodestra nutriva qualche perplessità sulla nostra proposta, dimostrando che non si trattava di contrastare la legge 194, bensì di attuarne parti a tutela della salute della donna e della scelta di vita che finora erano rimaste lettera morta in Italia.
D.: Più in generale, non crede che si sia arrivati al paradosso che una legge che doveva impedire alle donne di abortire in solitudine abbia nei fatti portato le donne nuovamente ad abortire a casa, a gestire fuori dai percorsi sanitari tutte le fasi più critiche dell’aborto (dal dolore, alle emorragie, all’espulsione del feto), cioè di fatto a riportare di nuovo interamente il processo abortivo sulle spalle delle donne, lasciandole – letteralmente – sole?
R.: Esattamente così, perché certe frange ideologizzate della sinistra e del M5S vorrebbero convincere che rinunciare all’assistenza sociale alla maternità e addirittura a quella sanitaria/ospedaliera all’interruzione di gravidanza sia una conquista di diritti e non invece un rischioso passo indietro. Ma capita quando si bada solo a sbandierare le cifre record di aborti conseguiti, come fanno i radicali piemontesi.
D.: Trovo particolarmente interessante che lei abbia sottoposto il testo delle linee guida ministeriali al vaglio dell’Avvocatura regionale: crede che ci siano i margini perché anche altre regioni possano seguire l’esempio piemontese? E, al di là degli aspetti giuridici, pensa che ci sia una volontà politica del centrodestra di impegnarsi maggiormente in futuro su questi temi?
R.: Giorgia Meloni ha pubblicamente ringraziato il Piemonte per questa decisione, invitando il ministro Speranza a ritirare le sue linee guida. In Veneto FdI ha annunciato di replicare la nostra linea appena la Giunta diventerà operativa e so che anche in Regione Umbria la Lega sta approfondendo la nostra documentazione. Auspico che il centrodestra dia voce e dignità istituzionale diffusa in tutta Italia a questa battaglia partita dal Piemonte.
Domenica, 11 ottobre 2020