Oscar Sanguinetti, Cristianità n. 367 (2013)
Nella storia, per esistere, non basta aver realmente vissuto e compiuto gesta più o meno rilevanti, né essere assurti, per poco o per molto, alle luci della ribalta e agli onori delle cronache. Per comparire nella narrazione storica occorre aver lasciato una memoria: una traccia di sé idonea e in grado di essere utilizzata da un postero per costruirne una narrazione non rapsodica. Se questa orma manca o è troppo labile, allora si è destinati a scomparire.
Nella storiografia non è raro il caso della “riscoperta”, casuale o meno, di soggetti di cui per decenni — se non per secoli — si è persa la memoria perché storicamente sconfitti e condannati all’oblio dal momento che la memoria dei vinti non è mai piaciuta ai vincitori. È questo un dato di realtà perenne che acquisisce però maggior rilievo nell’età delle ideologie, quando il frammento di verità rescisso e assolutizzato che costituisce l’ideologia non ammette altre candidature sul piano esplicativo e veritativo e tende a espellere, non come fenomeno reale ancorché sgradito, ma come inesistente, tutto ciò di diverso e di alternativo che a esso si opponga. È stato così all’epoca della Rivoluzione francese e così sarà con ancora maggior rigore e spietatezza, nonché con ampie implicazioni ad intra, quando sul trono delle ideologie assurgerà il monismo dialettico-materialistico del marxismo. È emblematica la sorte delle “fotografie di regime” dalle quali, se il soggetto raffigurato — per esempio Lev Davidovič Bronštejn detto Trotsky (1879-1940) — è caduto in disgrazia presso il vertice, la sua figura è accuratamente espunta mediante un abile fotomontaggio.
Nel primo ambito, un esempio clamoroso di realtà sconfitta dalla storia e la cui memoria subisce un’autentica sepoltura è il vasto movimento di popolo contro la Rivoluzione francese e contro Napoleone Bonaparte (1769-1821) che, a ricerca ormai giunta alle prime conclusioni, si è stabilito di chiamare “insorgenze” o — data la loro omogeneità ed epocalità — Insorgenza (1). Un fenomeno dalle proporzioni enormi, che si ritrova per più di un decennio in tutta Europa, ma sul quale — forse con la sola eccezione della Vandea — i libri di storia e i manuali scolastici tacciono per quasi duecento anni, perpetrando un “memoricidio” destinato a mettere una pietra tombale su una realtà che contraddiceva in toto la versione trionfalistica della genesi della politica e della nazione moderne.
Altri esempi relativi all’epoca della rivoluzione socialcomunista, che ha imperato per almeno settant’anni nel corso del secolo XX, si sprecano. Per esempio, pochi conoscono — perché è impossibile ricostruirne una memoria di un qualche spessore — la storia drammatica della reazione popolare contro la sovietizzazione delle campagne russe, di cui solo attraverso brevi cenni delle storie generali e qualche scritto di Aleksandr Isaevič Solženicyn (1918-2008) siamo in grado di cogliere qualche sparuto brandello (2).
Un fenomeno senz’altro minore che cade sotto questa voce, sul quale il silenzio è gravato fitto fino alla soglia degli anni 2000 perché anch’esso sconfitto e rimosso, è quello di un tentativo, nato in Svizzera, di creare una centrale contro-rivoluzionaria e anticomunista: l’Entente Internationale Anticommuniste, l’unica organizzazione privata e indipendente da governi, che — oltre all’effimero Antikomintern nazionalsocialista — si sia prefissa di combattere, in tesi ad armi pari e su scala mondiale, la temibile Terza Internazionale marxista-leninista e l’URSS, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, il primo e più gigantesco Stato conquistato e retto dal comunismo.
- Il confronto fra Occidente e impero socialcomunista dal primo al secondo dopoguerra
1.1 Il Triennio Rosso 1919-1921
Nel marzo del 1918, quando a Brest-Litovsk, nella Russia Bianca, l’eximpero degli zar, dove si è appena insediata, con un fortunato colpo di Stato la fazione socialista bolscevica (3) firma l’armistizio con gl’Imperi Centrali ed esce dalla Prima Guerra Mondiale (1914-1918), il mondo trema. La possibilità di riversare sul fronte occidentale le centinaia di migliaia di soldati smobilitati dal fronte orientale offre all’Impero Germanico e all’Impero austroungarico un’occasione unica per battere la Francia e l’Italia. Ma il fronte franco-inglese, grazie all’iniezione di un milione di soldati statunitensi, può reggere, mentre l’Italia deve subire la rotta di Caporetto, riuscendo però a resistere sul Piave all’urto dell’offensiva di un’Austria-Ungheria già in procinto di dissolversi.
Dopo l’armistizio la Russia sembra ripiegarsi su sé stessa in preda ai gravi conflitti intestini creati dalla Rivoluzione comunista, che fanno pronosticare alle cancellerie occidentali una sua duratura assenza dal teatro geopolitico europeo. La realtà sarà ben diversa. Già nel 1918 il crollo degl’imperi è accompagnato da gravi moti sociali e rivoluzionari guidati dai partiti comunisti locali. Berlino vive la breve esperienza spartachista e la Baviera quella dell’altrettanto effimera Repubblica dei Consigli di Kurt Eisner (1867-1919), mentre su Budapest sventola per alcuni mesi il vessillo rosso di Ábel Kohn “Béla Kun” (1886-1938). Anche i Paesi vittoriosi nel conflitto sono percorsi da fremiti di rivoluzione sociale: in Italia, in Francia e in Gran Bretagna scioperi e disordini sono all’ordine del giorno. Cessata l’epoca della solidarietà nazionale bellica i movimenti operai di ogni colore, di fronte ai gravi scompensi creati dalla guerra, riprendono ovunque la loro offensiva. La situazione si polarizza fra spinte rivoluzionarie e reazioni di autodifesa, anche armate — sia il movimento spartachista di Rosa Luxemburg (1871-1919) e di Karl Liebknecht (1871-1919), sia la repubblica rossa di Kun verranno soffocati nel sangue —, dei gruppi e delle classi minacciate dalla rivoluzione rossa.
Ma la neonata Unione Sovietica di Vladimir Il’ič Ul’janov “Lenin” (1870-1924) člungi dall’essersi rannicchiata su sé stessa. La logica internazionalistica della rivoluzione proletaria, innestata sul tradizionale espansionismo russo, spinge il nuovo Stato alla conquista del mondo e in primis dell’appendice occidentale dell’Eurasia. Se in Asia mantiene la presa sui Paesi dell’impero fondando partiti comunisti che, giunti al potere nell’enorme vacuum creatosi con la caduta dei Romanov, garantiranno a Mosca il controllo del territorio, in Europa le armate bolsceviche, mirabilmente organizzate da Lev Trotskji, fra il 1919 e il 1921 si scagliano all’attacco dei punti deboli dello schieramento occidentale: i Paesi baltici e la Polonia. La minaccia di una invasione da est spinge tuttavia i Paesi liberi a reagire. Nel Baltico sono i corpi franchi (4), milizie volontarie private a prevalente reclutamento germanico, a respingere i rossi, mentre in Polonia è l’esercito nazionale guidato dal maresciallo Józef Piłsudski (1867-1925) a sconfiggere, arrestare e respingere l’Armata Rossa nel cosiddetto “miracolo della Vistola” del 14-16 agosto 1920 (5).
Il 1921 segna un’impasse per la spinta della rivoluzione bolscevica verso Occidente: il comunismo torna alle usate modalità di destabilizzazione per via politica, ma trionfa nella terrificante guerra civile russa che lo ha visto per quattro anni contrapposto alle armate “bianche”, appoggiate da legioni armate dai Paesi occidentali, e ai movimenti indipendentistici anticomunisti — in Finlandia, in Ucraina, nel Caucaso e nei Paesi Baltici — nello sconfinato teatro di operazioni dell’ex impero, dalla Russia Bianca a Vladivostok, sull’Oceano Pacifico (6).
Ma l’impressione causata dalla “spallata” bolscevica del 1920-1921 rimane fortissima fra le due guerre fra le classi dirigenti dei Paesi liberi e il timore che possa ripetersi il “triennio rosso” induce alcune di esse, come in Italia, in Spagna, nella stessa Austria, in Romania e in Ungheria, ad “arroccare” e a dotarsi di regimi “forti”, di varia natura e difformità rispetto al modello democratico.
La sconfitta dei “bianchi” fa sì che un milione e trecentomila combattenti anticomunisti sconfitti, con le loro famiglie, debbano abbandonare il suolo patrio per rifugiarsi nei Paesi liberi, dove si aggiungono agli esuli — aristocratici e ceti dirigenti — già fuggiti al momento della Rivoluzione dell’ottobre 1917. Il fenomeno della diaspora russa in Occidente, massimamente in Francia e in Germania, assume così un grande rilievo sociale (7).
Il desiderio di revanche degli anticomunisti russi sconfitti persisterà acuto e l’emigrazione, pur non priva di nuance quanto a opzioni politiche — dal legittimismo filo-autocratico al costituzionalismo moderato —, non cesserà di coltivare il disegno di abbattere il regime sovietico o di auspicare una sua implosione dato il carattere troppo “contro natura” del collettivismo comunista.
1.2 La Spagna “rossa”
Proprio attraverso la Terza Internazionale Mosca persegue il disegno di destabilizzare le democrazie occidentali e di prepararvi la rivoluzione socialista. L’arma della guerra è tuttavia accantonata solo momentaneamente: la situazione venutasi a creare nella Spagna repubblicana a partire all’incirca dal 1934 induce infatti il leader supremo sovietico Iosif Vissarionovič Džugašvili “Stalin” (1879-1953) a cercare di “cavalcare” la guerra civile per trasformarla in guerra rivoluzionaria e per conquistare un’importante posizione strategica in seno all’Europa. Ancora una volta, tuttavia, grazie alla Cruzada antibolscevica (1936-1939) intrapresa dai carlisti e dagli ambienti monarchici e nazionalisti, aiutati dallo sforzo bellico profuso dai due autoritarismi italiano e tedesco, il tentativo del comunismo d’installarsi nella Penisola Iberica sarà respinto, anche se a un prezzo sanguinoso.
1.3 La crociata anticomunista del 1941-1945
L’ultima fase del confronto fra impero socialcomunista e Stati d’Europa prima della Guerra Fredda (1946-1991) si consuma negli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), fra il 1941 e il 1945, quando la Germania di Adolf Hitler (1889-1945), insieme a Paesi come l’Italia, l’Ungheria, la Croazia e la Romania, porta la guerra sullo stesso suolo sovietico.
Per Hitler sarà un Kampf um eine Weltanschauung, una lotta ideologica, uno scontro fra due visioni unilaterali della storia e del futuro — se per Hitler la radice di ogni male è l’ebreo e il futuro l’impero ariano, per i comunisti ogni male discende dalla proprietà privata e dal capitale e l’orizzonte è quello della società senza classi —, in sostanza due versioni del socialismo, quello nazionalista e quello internazionalista.
Invece, gli anticomunisti di destra e i cattolici di molti Paesi — come per esempio la 250a divisione volontaria spagnola, la Divisione Azul, inviata dal Caudillo Francisco Franco Bahamonde (1892-1975) — combatteranno, immolandosi a migliaia, sul tremendo fronte russo nella prospettiva di una crociata delle nazioni cristiane contro il bolscevismo — la seconda, se vogliamo considerare la lotta delle armate “bianche” una prima crociata —, il cui drammatico esito è noto. Una crociata persa non solo per la smisurata potenza messa in campo dall’URSS con l’appoggio degli Alleati, ma anche grazie allo sconsiderato diniego di Hitler di far leva sull’anticomunismo nazionalistico — l’URSS è stata un GuLag non solo per gl’individui ma anche per le nazionalità — dei russi, dei satelliti dei Soviet e dei “bianchi” emigrati nel 1918-1921 per abbattere il regime bolscevico. L’incorporazione di formazioni cosacche e internazionali nell’esercito tedesco — soprattutto nell’ala ideologizzata, le SS o Schutzstaffel, “squadre di protezione” — sarà solo un palliativo, il cui esito obbligato sarà di far massacrare queste truppe da Stalin dopo la vittoria dell’Armata Rossa (8).
- L’anticomunismo
Con il sostantivo “anticomunismo” si sono designate storicamente molteplici realtà. Atteggiamenti di ostilità alla dottrina marxista-leninista e all’azione dei partiti comunisti nel mondo sono stati espressi da innumerevoli partiti, movimenti, regimi, circoli intellettuali, culture politiche e religiose. Esiste un anticomunismo “di destra” — il più genuino e noto — come pure un anticomunismo “di sinistra”, espressione, sul fronte moderato, dei circoli socialdemocratici e, sul fronte dell’estremismo, dei gruppi anarchici. Così, esistono manifestazioni di antimarxismo e di antileninismo di carattere teorico — la critica più forte all’ideologia marxista-leninista è forse quella condotta dalla filosofia cristiana e l’azione più decisa è quella cui ha dato vita la Chiesa di Roma — e movimenti di reazione a carattere più pragmatico. Vi è un anticomunismo di matrice conservatrice, che vede il comunismo come lo sviluppo estremo — almeno a una certa data — della Rivoluzione antropocentrica e ugualitaristica che connota l’Occidente a partire dalla Riforma protestante, e un anticomunismo lato sensu“democratico”, che si oppone meno alla dottrina e più ai metodi totalitari e violenti della conquista e della gestione del potere teorizzati e applicati dal comunismo internazionale.
- Nasce l’EIA
Dalla combinazione della volontà di preservare i Paesi europei dalla dominazione socialcomunista e del disegno di battere il comunismo internazionale liberando i popoli sovietizzati nasce l’idea di un’agenzia di propaganda e di azione come l’Entente Internationale Contre la IIIeInternationale (EICTI) o Entente Internationale Anticommuniste (EIA), che vede la luce a Parigi nel 1924 — l’anno della morte di Lenin — a opera di un avvocato ginevrino, Théodore Aubert (1878-1963), e di un esponente della Croce Rossa russo-zarista in esilio, il medico militare Georges Lodygensky (1888-1977).
Aubert appartiene a una famiglia borghese ginevrina — di origine ugonotta — dalle molte relazioni sociali ed è attivo come avvocato d’affari nella città natale. Membro del Comitato Internazionale della Croce Rossa, attivo in Francia e a Berlino (1917-1919) come rappresentante dell’omonima organizzazione russa, è fra i fondatori nel 1918 delle Unioni Civiche, le milizie che ostacolavano gli scioperi politici durante il Triennio Rosso, nonché dirigente del partito dell’Union de Defense Economique, vicino all’ambiente imprenditoriale ginevrino e guidato dal pubblicista e commediografo, pure ginevrino, d’idee fascistoidi Georges “Geo” Oltramare (1896-1960), membro del Gran Consiglio ginevrino dal 1923 al 1925. Dal 1935 al 1939 siede nel parlamento federale, eletto nelle liste dell’Union Nationale (9), un raggruppamento simpatizzante per il corporativismo e il fascismo e dai toni spesso antisemiti, anch’esso guidato da Oltramare (10).
Lodygensky esce invece da una famiglia della piccola nobiltà russa e milita nella crociata antibolscevica degli anni della guerra civile, dove inizia a collaborare con la Croce Rossa Internazionale (CRI). Negli anni della guerra civile è a Parigi e a Londra presso la Croce Rossa zarista in esilio e a Ginevra presso la sede centrale. Nell’ottobre del 1920 è inviato in missione in Crimea, a Sebastopoli, dove assiste al reimbarco delle sconfitte armate bianche del generale Pëtr Nikolaevič Vrangel’ (1878-1928). Quindi, in dicembre, è nominato direttore della Croce Rossa russa in esilio. L’organizzazione multinazionale di cui fa parte gli consente frequenti spostamenti e l’occasione di stringere rapporti con personaggi di rilievo e varie organizzazioni: fra queste ultime, il Comité National Russe (CNR), presieduto da Anton Vladimirovitch Kartachev (1875-1960) e con sede a Parigi.
L’anticomunismo che trova espressione nell’EIA è riconducibile maggiormente alla forma pragmatica e attiva cui ho fatto cenno sopra. L’EIA non conduce una battaglia teorica, non diffonde analisi filosofiche della dottrina marxista o indagini sociologiche sul sovietismo: il suo accostamento al problema è di tipo controinformativo, politico — anche se non partitico — e militante. Ma non si tratta di un anticomunismo del tipo “democratico”, non si accontenterà cioè di combattere Mosca in nome dell’etica democratica violata, ma condurrà una battaglia in difesa della tradizione cristiana e libera dell’Occidente, della famiglia — contro l’amoralismo e l’educazione di Stato —, della proprietà privata — contro il collettivismo statalista — e della religione — contro l’ateismo militante —, sì che si può rubricarla de facto e senza troppe esitazioni — anche se mancano dettagli approfonditi della sua prospettiva — nel novero delle organizzazioni contro-rivoluzionarie.
- Lo stato della ricerca
L’EIA, come detto, è una realtà di cui si è persa a lungo la memoria. Solo di recente, avendone individuato i corposi archivi a Ginevra (11), la sua esistenza è stata riscoperta — ed è in via di ricupero — da ambienti accademici svizzeri particolarmente attenti ai movimenti conservatori. Attraverso questa estesa base documentaria negli ultimi due lustri hanno potuto essere avviati diversi studi, tuttora però allo stadio di work in progress, i cui primi risultati — in termini di notizie e di primi ragguagli — sono stati pubblicati da riviste specializzate a circolazione ristretta.
Un salto di qualità in questo contesto è rappresentato dalla tesi di dottorato, conseguito cum laude nel 2009 (12), di Stéphanie Roulin, una giovane studiosa dell’Università di Friburgo, facente parte dell’équipe di contemporaneisti, per lo più dell’Università di Ginevra, che da alcuni anni ha varato un progetto di ricerca sull’EIA (13). La Roulin, buona conoscitrice degli ambienti conservatori svizzeri ed europei, si era già illustrata per un’ampia e documentata tesi di laurea (2001-2002) a sfondo bio-bibliografico sul letterato e politico cattolico elvetico Gonzague de Reynold (1880-1970), disponibile in integro su Internet (14).
Quella della Roulin — che non ostenta una particolare simpatia per l’EIA e per il suo milieu, pur riuscendo a mantenere un tono sostanzialmente asettico — è un’opera importante, non solo per il valore intrinseco, ma anche perché, sebbene dedicata a illuminare un aspetto particolare del fenomeno dell’EIA e un periodo specifico della sua storia, offre in sede d’introduzione e di quadro una messe d’informazioni di tutto rispetto sull’organizzazione e sulla storia dell’Entente. L’opera — come pure altri, più ridotti, contributi del gruppo di accademici svizzeri di cui fa parte la Roulin — è frutto di uno sforzo di approfondimento lodevole e metodologicamente ben attrezzato — qualche lacuna si rileva nell’indice dei nomi, inesatto, e nelle date dei personaggi, alquanto rapsodiche —, che consegue traguardi di verità storica ragguardevoli e rappresenta quindi un’autentica pietra miliare nella riscoperta dell’EIA. Tuttavia, l’atteggiamento scientifico tipico del ricercatore storico anche in questo caso tende, in primis, a lasciarsi guidare dalle fonti, che, allo stato, coprono solo una parte della memoria dell’EIA; quindi, tende ad approfondire maggiormente i temi assodati e centrali a discapito di quelli solo adombrati e collaterali. Un esempio è la mancata definizione di Terza Internazionale e l’approfondimento del tipo di anticomunismo praticato dall’EIA, nonché la sua “ideologia”, preferendone una descrizione strutturale e relazionale anche molto approfondita — se non addirittura minuziosa —; e, ancora, sarebbe stato opportuno un minimo di descrizione dei “senza-Dio” militanti. Non si pongono, così, quesiti di fondo del tipo: che efficacia ha avuto l’azione del soggetto studiato? Oppure: che altri tipi di lotta al comunismo vi sono stati? Quali differenze fra questi e l’azione dell’EIA? Inoltre, la cultura “esogena” — quando non antitetica — rispetto al fenomeno che anima la Roulin e i suoi colleghi limita alquanto le ipotesi di lavoro e riduce l’individuazione dei collegamenti con altri fenomeni e soggetti, che invece scaturirebbero dalla cultura di un ricercatore — altrettanto metodologicamente robusto — maggiormente in sintonia con il retroterra ideale dell’EIA. Infine, lo studio della Roulin dimostra che, per la multiformità del soggetto e la dovizia di materiale documentario ancora da esplorare, le piste di ricerca aperte sono molte.
- L’Entente Internationale Anticommuniste (EIA)
5.1 La Terza Internazionale
Dunque, fra le due guerre mondiali un gruppo di persone ha creato un’organizzazione internazionale che — almeno negl’intenti dei fondatori — ha combattuto ad armi pari la potente Terza Internazionale Comunista. Compito senz’altro immenso e ambizioso, se si pensa a che cosa era in quegli anni la Terza Internazionale.
Erede di tutto l’enorme capitale di teoria e di esperienza complottistiche ed eversive accumulato in due secoli di vita dalle società segrete rivoluzionarie, dalle settecentesche logge protocomuniste di Adam Weishaupt (1748-1830) (15) fino alle società segrete democratiche ottocentesche — per esempio la Carboneria — e alla miriade di gruppi anarchici e terroristici, mistici e nichilistici che pullulano nella Russia prerivoluzionaria; esaltata dalla concezione “scientifica” della storia e della realtà propria del determinismo del materialismo dialettico; sostenuta in misura determinante dalle risorse del potente Stato sovietico e non priva di sostegno da parte di ambienti mondialisti di altra matrice e di altro campo di azione (16), l’Internazionale rossa costituiva una temibile e potente rete, integrata con quella diplomatica e spionistica dello Stato sovietico all’estero, che operava in stretta collaborazione con le organizzazioni comuniste — non vi era ancora a quel tempo il problema di quale “obbedienza” comunista, se sovietica, cinese, titina, rumena, ecc. si trattasse —, legali e illegali, attive nei vari Paesi. La missione dell’Internazionale era appunto di coordinare tutte le possibili azioni di carattere rivoluzionario che si manifestassero e incanalarle in funzione della politica e della strategia mondiale dell’Unione Sovietica. Il Comintern non era tutta la macchina della Rivoluzione comunista, ma ne era una componente importante, se non decisiva. Era nato — significativamente — a Mosca nel 1919 e avrà vita fino al 1943. Al momento della fondazione dell’EIA l’Internazionale è guidata dal potente esponente bolscevico Grigorij Evseevič Apfelbaum “Zinoviev” (1883-1936), che finirà fucilato nelle “purghe” staliniane.
Pensare, dunque, di contrastarne l’azione e l’influenza anche solo propagandisticamente era un disegno altamente ambizioso, soprattutto se svolto da un gruppo ristretto, attivo in un piccolo Paese neutrale, sebbene incrocio privilegiato delle diplomazie e di vertice mondiali.
5.2 Le origini dell’Entente
La Prima Guerra Mondiale — il rischio di un coinvolgimento, magari solo per ragioni geopolitiche, era stato considerato elevato e lo Stato elvetico aveva mobilitato le proprie truppe — non tocca la Confederazione Svizzera. Tuttavia, il piccolo Stato alpino non rimane esente dai profondi rivolgimenti politici e sociali del primo dopoguerra. Se, da un lato, si può dire che da allora s’internazionalizza ancora di più poiché diviene la sede della Società delle Nazioni, d’altro canto, i fermenti sociali e rivoluzionari del triennio 1919-1921 la investono in pieno e producono anche qui la polarizzazione e la radicalizzazione dell’opinione pubblica e delle lotte politiche.
L’evento-chiave in questa prospettiva è il grande sciopero politico generale, il Landesgeneralstreik, che scoppia soprattutto nella Svizzera germanofona fra il 12 e il 18 novembre 1918, un evento che genera viva impressione non solo nei circoli conservatori, ma anche nei liberali e nelle sinistre non marxiste, perché suona come un potente campanello d’allarme di una possibile saldatura fra le spinte rivoluzionare autoctone e l’avanzata del bolscevismo nel cuore dell’Europa.
Il Landesgeneralstreik mobilita e irrobustisce i movimenti di protesta e l’attivismo socialista, e la “grande paura” dell’avvento del comunismo generata dallo sciopero si riflette non tanto nell’organizzazione dello Stato — come avverrà in Italia o in Portogallo —, ma nella nascita di organizzazioni di autodifesa dei ceti economici e sociali dominanti e di salvaguardia dei valori civici (17). Aubert è fra i primi a dar vita a uno di questi gruppi, anche se il maggiore sarà la Fédération Patriotique Suisse, fondata nell’aprile del 1919 nei pressi di Basilea dall’ex ufficiale di Stato Maggiore Eugen Bircher (1882-1956).
In questo contesto si situa l’altro evento-chiave per la nascita dell’EIA, il “processo Conradi”, celebrato a Losanna nel novembre del 1923. Pochi mesi prima, il 10 maggio, un esule russo — ma cittadino svizzero —, Moritz Conradi (1896-1947), discendente di una famiglia svizzera di fabbricanti di cioccolata insediatasi a San Pietroburgo e rovinata dalla Rivoluzione comunista, già volontario nelle formazioni “bianche” nella crociata contro i bolscevichi, acceso anticomunista sia per ragioni ideologiche, sia per ragioni personali — il padre e uno zio erano stato fucilati, pare per errore, dai rossi —, aveva ucciso a rivoltellate all’hôtel Cécil il capo-delegazione sovietico alla Conferenza di Losanna sul Vicino Oriente — conclusasi nel febbraio del 1923 —, Vatzlav Vorovsky (1871-1923), e ferito due altri diplomatici sovietici — nonché probabili membri dei servizi sovietici —, Jean Arens — pseudonimo di Isaac Alter (1889-?) — e Maxim Anatolievitch Divilkovsky.
Un fatto del genere non era di suo straordinario, ma nella piccola Confederazione un omicidio politico non poteva non destare sensazione. Ma vi era di più: Conradi, come emergeva dal processo, per compiere il suo gesto aveva trovato aiuto in ambienti facenti capo all’emigrazione “bianca” e, in particolare, ad Arcadius Pavlovich Polounine (1889-1933), segretario di Georges Lodygensky. Così, l’omicidio, pur derubricato a delitto ordinario (18), diventa in breve un affaire (19), un “caso” politico, intorno al quale si coagulano tensioni e moventi ideologici locali e internazionali, spinte rivoluzionarie e controspinte conservatrici.
Il processo si tiene presso la Corte cantonale di Losanna ed è seguito con appassionata attenzione e grande emozione dall’opinione pubblica svizzera e internazionale. Alla fine l’accusato viene prosciolto perché, nonostante evidenti indizi di colpevolezza, prevalgono le attenuanti, cioè le peculiari circostanze che avevano preceduto e accompagnato il delitto. I giurati accolgono, infatti, la tesi della difesa basate sulla nozione — pur alquanto vaga — di “forza irresistibile”, prevista dall’art. 51, comma 4, del codice penale del Vaud. La brillante arringa finale dell’avvocato difensore, lo stesso Aubert — che, fiutata l’opportunità d’inscenare un processo mediatico al bolscevismo, patrocinava gratuitamente, nonostante la sua maggior competenza non fosse il penale —, si tramuta infatti non solo nell’escamotage che porta all’assoluzione — a sorpresa — di Conradi e Polounine, ma anche in un duro e circostanziato atto di accusa contro il regime bolscevico, che aveva costretto il popolo russo a vivere in condizioni tragiche, spingendolo all’emigrazione e a una vita spesso disperata pur di conservare la libertà.
L’assoluzione con formula piena, il 26 novembre 1923, è salutata con gioia dagli ambienti anticomunisti ma crea un incidente diplomatico fra Berna e Mosca. La popolarità di Aubert ne esce enormemente accresciuta e la gratitudine di Lodygensky fa di lui l’amico di una vita; il testo dell’arringa del 15 e 16 novembre 1923 viene trasformato presto in un efficace pamphlet — uno dei primi a essere pubblicato dall’organizzazione — e in un eccellente strumento propagandistico diffuso a più riprese in migliaia di copie dall’EIA in tutto il mondo.
Dalla “grande paura dei benpensanti” (20) svizzeri e dal convergere delle forze coagulatesi intorno all’affaire Conradi nasce l’Entente. Intorno a essa in breve si concentrano ideali e correnti anticomuniste di ogni provenienza: forze conservatrici, circoli dell’industria e della finanza, ambienti dello Stato elvetico, reti diplomatiche — particolarmente fitte a Ginevra —, associazioni ricreative — come l’influente Club Alpino svizzero — e benefiche, come la Croce Rossa internazionale, esponenti religiosi. All’organizzazione affluiscono con sufficiente regolarità risorse tali da consentire di dispiegare un esteso ventaglio di azioni.
- L’organizzazione dell’EIA
Il centro pensante dell’Entente è il Bureau Permanent con sede a Ginevra: nella Segreteria operano Aubert e Lodygensky e un gruppo di dirigenti di secondo livello fra i quali si segnalano, per l’importanza del ruolo svolto e per la longevità della loro appartenenza, personaggi di estrazione civico-conservatrice quali il colonnello Alfred Odier, attivo presso lo Stato Maggiore dell’esercito federale; l’avvocato Jacques Le Fort (1891-1956); i banchieri Gustave (1878-1962) e René Hentsch (1881-1943); il diplomatico e storico Lucien Cramer (1868-1953), cugino di Aubert; dal 1936, l’ex ambasciatore svizzero a Roma Georges Wagnière (1862-1948); l’avvocato e consigliere vaudese Jean de Muralt (Johannes von Muralt [1877-1947]); il banchiere zurighese Hans von Schulthess (1885-1951); il colonnello friburghese Roger de Diesbach (1876-1938), imparentato con i de Reynold; e Jean-Marie Musy (1876-1952), membro del governo svizzero con delega alle finanze e alle dogane.
Oltre al Bureau, nel tempo nascono un comitato finanziario, una sezione giovanile, una sezione femminile e un Institut International d’Action Morale, Économique et Sociale Antimarxiste. Ulteriori articolazioni sono la Commissione Pro Deo e il Bureau Colonial, cui accenno più sotto.
È praticamente impossibile descrivere nei dettagli la complessa rete che il Bureau Permanent riesce a creare — viaggiando infaticabilmente nei vari Paesi —, sia per la sua estensione e capillarità, sia perché non si mantiene né omogenea, né costante nel tempo. In estrema sintesi, si può dire che i primi Paesi in cui l’EIA approda e si radica maggiormente, dopo la Svizzera, sono la Francia, l’Inghilterra e il Belgio.
In Francia, grazie anche alla francofonia di gran parte dei dirigenti dell’EIA, i rapporti sono fitti e durevoli: ambienti industriali, uomini politici, diplomatici, pubblicisti e militari sono sensibili al richiamo di Aubert e soci. Soprattutto stretti sono quelli con il governo, che frutterà all’organizzazione risorse finanziarie non insignificanti. La Francia è altresì ricca di associazioni a carattere anticomunista di varia estrazione, come le Jeunesses Patriotes e La Féderation Nationale Catholique. L’EIA crea in Francia “[…] due reti. La prima è cattolica e parigina; la seconda è protestante e alsaziana […] composta di personalità apparentate fra loro e alla famiglia Aubert: Frédéric Eccard [1867-1952], Max Dollfus [1864-1937], Arthur [1855-1935] e René Engel [1876-1966]“ (p. 64). “[…] Gustave Gautherot [1880-1948] e Frédéric Eccard [sono i] due uomini politici che fanno da legame fra queste due reti e sono collaboratori stabili dell’EIA dopo la loro entrata in orbita nel 1927″ (p. 65). Gautherot è dal 1927 l’editore e il direttore della rivista La vague rouge, “L’ondata rossa”, con cui l’EIA avvicina l’opinione pubblica francese e attraverso la quale egli si costruisce una carriera parlamentare protrattasi fino all’epoca di Vichy. Ma il maggior esponente dell’EIA è Eccard, protestante e impegnato nella comunità religiosa riformata alsaziana.
In Belgio, Paese coloniale e anch’esso ricco di associazionismo conservatore, l’EIA sodalizza con l’Union Civique Belge, guidata da Oscar Servais, con l’ufficiale Jean Spiltoir dell’Union Civique di Anversa, con Albert Graveline della Légion Patriotique di Bruxelles e con varie associazioni cattoliche.
In Olanda in una prima fase (1924-1927) i rapporti sono stretti con un’associazione di carattere civico non molto diffusa, il National Bond tegen Revolutie, “Lega Nazionale contro la Rivoluzione”. Dopo il 1927 l’incontro con l’ex ministro dell’Economia liberale Willem Treub (1858-1931) apre all’EIA nuovi orizzonti. Nel 1928 Treub, di comune accordo con Aubert, fonda il Bureau Colonial con sede all’Aia allo scopo di estendere i legami con gli ambienti anticomunisti dei Paesi coloniali di orbita olandese. Ma i rapporti nel 1929 si raffreddano e si rompono. All’inizio degli anni 1930 si avvia una nuova serie di rapporti, soprattutto incentrati sulla figura dell’influente pastore protestante olandese Frederik Krop (1875-1945), che apre la via allo Stato Maggiore e ad ambienti conservatori.
L’Inghilterra — dove è nata la madre di Aubert — è un target fra più sentiti dell’EIA anche perché porta dell’enorme impero britannico, ma si rivela terra relativamente poco fertile per le iniziative anticomuniste dell’Entente. Il partner è fin dal 1927 l’Economic League, organizzazione antisocialista legata agl’imprenditori e fondata dall’ammiraglio sir William Reginald Hall (1870-1943).
In Italia la penetrazione dell’EIA è resa meno agevole dall’anticomunismo istituzionale del regime e dal fatto che il governo intrattiene a lungo relazioni tutto sommato distese con l’URSS. Il rappresentante in locodell’EIA è per molti anni il conte fascista Giuseppe della Gherardesca (1876-1968), imparentato alla lontana con il generale Wrangel, per cui è Lodygensky l’incaricato di promuovere l’EIA in Italia. Anche il conte Manfredi Gravina (1883-1932) e Renzo Ferrata, capo dei fascisti ticinesi, aiutano l’Entente a farsi spazio negli ambienti governativi e del Partito unico (cfr. p. 74). La politica dell’EIA opera nel senso di staccare il governo fascista dall’URSS; cosa che sembra riuscire nel 1937, quando l’Italia aderisce al Patto Antikomintern stipulato il 25 novembre 1936 fra Germania e Giappone. Nel 1937 è fondato a Roma un Centro di Studi Anticomunisti, presieduto dal linguista Antonio Pagliaro (1898-1973), che si prefigge anch’esso, in collaborazione con l’Antikomintern di Berlino, di documentare i crimini della Terza Internazionale e contribuisce finanziariamente alla causa dell’EIA.
In parallelo si attua lo sforzo di stabilire contatti con il Vaticano: esso prende avvio nel 1929 dopo i Patti Lateranensi, ma matura solo dopo la crisi dei rapporti fra Chiesa e regime nel 1931, soprattutto grazie all’azione di Maria Cristina Giustiniani Bandini (1866-1959), zia di Gravina e dirigente di associazioni cattoliche femminili, che terrà i rapporti soprattutto con la Commissione Pro Deo dell’EIA (cfr. p. 75).
La Germania, sia per la sua posizione geopolitica e la sua potenza, sia per la lotta condotta nei Paesi Baltici e contro i moti bolscevichi nel Triennio Rosso, è considerata dall’EIA il bastione più potente della lotta contro il comunismo sovietico. Tuttavia anche qui giocano contro Aubert e Lodygensky — che hanno entrambi problemi con la lingua — le relazioni economiche e militari strette dalla Repubblica di Weimar con l’URSS (21). Qualche testa di ponte verso ambienti governativi è comunque stabilita grazie al barone Ludwig von Knorring (1859-1930), segretario di ambasciata a Berlino. Un contatto è preso altresì con la Liga zum Schutz der Deutschen Kultur, fondata nel 1918 dal pubblicista Eduard Stadtler (1886-1945) e attivamente schierata, anche paramilitarmente, contro il KPD, il Partito Comunista Tedesco. Il legame però più fecondo pare sia stato lo scambio informativo fra Entente e servizi d’informazione germanici, l’Abteilung, con l’ufficiale di marina Wilhelm Widenmann (1871-1955) come principale partner e promotore dell’EIA negli ambienti degli Esteri tedeschi (cfr. p. 77).
Quindi, gli Stati Uniti d’America. Il desiderio dell’EIA di espandersi oltreoceano si colloca nella prospettiva di una lotta contro il comunismo su scala globale e rappresenta in qualche misura il sogno proibito di Aubert e Lodygensky. Anche gli Stati Uniti hanno sofferto della “grande paura rossa” negli anni 1918-1921, ma il pericolo del “radicalismo socialista” è percepito più come interno che non come internazionale. All’inizio, fino al 1928, l’EIA fatica a stabilire rapporti di qualche peso in America. Nel 1928 Aubert soggiorna a lungo — due mesi — a New York, Detroit e Washington — con una puntata verso il Canada — per cercare di sbloccare la situazione. Un centro dell’EIA nasce a Detroit in collaborazione con il Committee on National Defense della locale Camera di Commercio e con il Coalition Committee dello Stato del Michigan. Negli anni successivi i tentativi d’impiantarsi continuano, attraverso contatti con la piccola American Legion Against Communism e diffondendo la letteratura anticomunista dell’EIA presso l’FBI e la Library of Congress nella Capitale. Lo sforzo dell’EIA “americana” d’impedire il riconoscimento dell’URSS nel 1933 non avrà esito.
In Spagna — dove approda nel 1936, nella zona controllata dalle forze nazionali — l’EIA riesce a stabilire importanti entrature nell’entouragefranchista. Anzi Franco è un lettore assiduo — nonché un collazionatore, sebbene le sue raccolte siano andate perdute nel sequestro di casa sua a Madrid allo scoppio della guerra civile — dei testi diffusi dall’EIA e vi è chi sostiene che il suo anticomunismo sia stato pesantemente influenzato — addirittura in forma di un vero e proprio brainwashing, un “lavaggio del cervello” — dall’EIA (22). In Spagna sotto la dittatura di Miguel Primo de Rivera (1870-1930) — un altro fan dell’Entente — i contatti di area governativa sono numerosi — il più importante è l’avvocato Luís Andrés y Morera Galicia delle guardie civiche di Barcellona (cfr. p. 81) —, ma con la Seconda Repubblica il radicamento dell’EIA conosce un deciso rallentamento per poi cessare del tutto.
In Portogallo — altra nazione colonialista, quindi di maggior interesse per Aubert e soci — i rapporti all’inizio sono difficili da stabilire e neppure l’avvento al potere del professor António de Oliveira Salazar (1889-1970) modifica la situazione. Ma già nel 1927 si trova l’EIA a sostenere attivamente la repressione antirivoluzionaria condotta dal governo conservatore attraverso un proprio segretariato portoghese, posto sotto l’egida del ministero della Guerra che pubblica una Revista antibolschevista(cfr. p. 83). Nel 1928, per la politica di austerità del governo, i finanziamenti all’EIA cessano e il segretariato chiude i battenti. Rimangono contatti con il movimento cattolico-integralistico delle “camicie azzurre” di Francisco de Barcelos Rolão Preto (1893-1977). Nuovi rapporti vengono intessuti nel 1934 al momento della campagna contro l’ingresso dell’URSS nella Società delle Nazioni, soprattutto attraverso il monarchico, nonché delegato della Croce Rossa, Narciso de Freire de Andrade (1898-1968), imparentato con una famiglia di banchieri ginevrini, i Pictet, che si mantiene in contatto con Lodygensky fino a metà della guerra mondiale e apre all’EIA la porta del quotidiano A voz, diretto dal monarchico cattolico Fernando de Sousa (1855-1942) (cfr. p. 84).
Infine, la fascia di Paesi a ridosso dell’URSS. L’EIA riesce a inserire suoi corrispondenti, per periodi più o meno lunghi, anche nei Paesi slavi e balcanici, baltici, scandinavi, in Romania e in Austria, approfittando della loro stagione d’indipendenza fra le due guerre mondiali e sfruttando soprattutto i legami dell’emigrazione russa in Svizzera con quella degli altri Paesi. In Austria il radicamento dell’EIA sarà più forte grazie all’intensa attività di personaggi come il principe Johann di Liechtenstein (1873-1959), il colonnello barone Ottokar Prohazka, presidente dell’Unione Civica Austriaca, e del colonnello Clemens von Walzel. Non si sottrae all’influsso dell’Entente neanche la Chiesa austriaca, prima con il cardinale arcivescovo di Vienna Friedrich Gustav Piffl (1864-1932), poi con il successore mons. Theodor Innitzer (1875-1955), particolarmente attenti alla campagna dell’EIA contro le persecuzioni religiose e contro la carestia in URSS.
Non mancano contatti anche con Paesi lontani, come il Giappone (23), la Cina nazionalista e il Brasile, dove l’EIA stabilisce contatti stabili con il barone Raul do Rio Branco (1873-?), ambasciatore a Berna, e Odette de Carvalho e Souza (1904-?), futura ambasciatrice. All’incirca ogni anno il Bureau terrà una sessione plenaria internazionale, generalmente presso la sede centrale.
- I contenuti ideologici veicolati
L’EIA nasce come organizzazione laica e aconfessionale, anche se coloro che la promuovono sono d’ispirazione cristiano-evangelica e cristiano-ortodossa. Il suo obiettivo era di “[…] lanciare una seconda crociata internazionale contro il bolscevismo sotto forma non di un intervento militare come nel 1918-1920 ma di una campagna di propaganda su scala mondiale condotta da un organismo privato operante come una centrale d’informazioni e doveva suscitare una intesa intergovernativa capace di distruggere la 3aInternazionale così come sopprimere la sua base territoriale ristabilendo in Russia un regime detto “nazionale”” (24). L’EIA non si limita a smascherare i crimini e gli errori del comunismo e a denunciarne gli errori e le trappole dialettiche, ma si prefigge di difendere i valori che il comunismo nega e distrugge, cioè “la civiltà moderna e le istituzioni proprie di ciascun Paese[e] i principi d’ordine, di famiglia, di proprietà e di patria” (25).
Nonostante il clima in cui vive e di cui subisce gl’influssi, l’EIA si mantiene sostanzialmente indenne da contaminazioni antisemite, cosa che non si può dire di alcuni singoli che hanno militato nelle sue file; ha cioè sempre rigettato le teorie del “giudeobolscevismo” assai in auge nel milieu fascista e nazionalista. Così pure, anche in questo caso nonostante le pressioni talora fortissime del tempo, anche negli anni in cui la battaglia anticomunista pareva monopolizzata da Hitler e da Benito Mussolini (1882-1945), l’EIA, pur evidenziando saldamente un forte impulso conservatore e pur beneficiando di alcuni finanziamenti, non aderisce istituzionalmente ad alcuna iniziativa o centro di potere di tipo fascista e nazionalsocialista. Di certo — ma è cosa naturale e invincibile — non ha sgradito il favore che offriva la situazione generale europea, con la dominanza di Paesi retti da regimi autoritari nati come reazione alla minaccia comunista.
- L’azione svolta dall’EIA
L’azione dell’EIA ha un duplice volto, uno che possiamo definire “di vertice” o “discreto” e l’altro “popolare”. Sotto il primo aspetto, come detto, si sforza di tessere una rete di contatti con personaggi di rilievo pubblico, rivestiti di un qualche potere, formale o fattuale, nella prospettiva di un’influenza sugli eventi politici e sui governi. Grazie alle proprie relazioni, attingendo alle reti della diplomazia e — ove possibile — dei servizi segreti, l’EIA intercetta discretamente informazioni disponibili presso i governi e le fa circolare a beneficio di altri governi — che gradiranno non poco tale servizio —, della propria banca-dati e delle proprie iniziative.
In parallelo, tramite uffici di corrispondenza e centri di propaganda stabiliti nei vari Paesi oppure federando altre organizzazioni anticomuniste, svolge per oltre due decenni un’ampia, capillare e il più delle volte gratuita diffusione delle idee anticomuniste soprattutto attraverso la stampa — edizioni di libri, riviste, opuscoli, guide per l’azione, articoli su quotidiani a grande diffusione, distribuzione di volantini di propaganda, tutti tradotti nelle principali lingue europee — e il nuovo mezzo di comunicazione, la radio. Quindi, organizza convegni, incontri di studio e programmi di conferenze che servono per allacciare relazioni con gli ambienti intellettuali ma anche con i singoli. La componente costituita dai “bianchi” in esilio consente di tenere i rapporti con il mondo russo sovietizzato e con l’emigrazione, nonché di tradurre in russo i materiali di propaganda antibolscevica e in francese e inglese le notizie che filtravano dall’ex impero zarista. La vicenda storica dell’EIA non è marcata da eventi clamorosi. La sua particolarità è proprio quella di svolgere un lavoro intenso e riservato, dentro e fuori le quinte, un lavoro ininterrotto e ramificato d’”impollinazione” e di orientamento in senso anticomunista dell’opinione pubblica, un’opera che non produce frutti vistosi ma si muove in una logica di lungo periodo.
- Qualche lineamento storico
Negli anni dalla fondazione al 1929 prevale nel programma dell’EIA il Leitmotiv della difesa della “cristianità” — mai però definita con rigore di termini — e della denuncia del malessere sociale e dell’immoralità prodotti dal bolscevismo nella società russa: emancipazione dei sessi, abbandono della prole, criminalità e regressione morale a tutti i livelli. Anche se in questa fase sono coltivati i rapporti con le chiese protestanti, particolarmente forti nella Confederazione, il primato resta alla denuncia degli aspetti politici negativi del comunismo.
Un banco di prova per l’EIA è la lotta contro il riconoscimento diplomatico dei Soviet da parte degli Stati Uniti d’America (1929-1933) e della Società delle Nazioni (1934). Se in entrambi i casi fallisce, la sua azione è importante nell’impedire che la Svizzera apra le relazioni con l’Unione Sovietica fino al secondo dopoguerra.
Il cavallo di battaglia dell’Entente è comunque la protesta contro le persecuzioni religiose nell’URSS, in cui l’organizzazione inizia a uscire dall’orbita protestante e ortodossa alla ricerca di contatti con i cattolici. A questo scopo vengono fondati in vari Paesi dei comitati di azione, come il Christian Protest Commitee a Londra, e si organizzano manifestazioni pubbliche come a Parigi nel 1929 e nella Svizzera romanda, culla dell’EIA. Fra i personaggi che emergono in questa fase della battaglia delle idee spicca il pastore Krop e fra le associazioni la Ligue pour le Christianisme, organismo interconfessionale basato a Losanna.
Il nuovo decennio segna un mutato atteggiamento della Santa Sede verso la persecuzione in URSS: di fronte alla distruzione delle chiese attuata dal regime staliniano la Chiesa di Roma — “Ci commuovono profondamente le orribili e sacrileghe scelleratezze che si ripetono e si aggravano ogni giorno contro Dio e contro le anime nelle innumerevoli popolazioni della Russia, tutte care al Nostro cuore, anche solo per il tanto che soffrono”, scrive Papa Pio XI (1922-1939) al cardinale Basilio Pompili (1858-1931), vicario di Roma (26) — indìce nel 1930 una crociata di preghiera per i martiri in URSS che vede l’EIA come attivo supporter. I contatti presi in questo frangente con la Santa Sede diventano sempre più intensi con lo scorrere del tempo. L’EIA sa che conquistarsi la stima della Chiesa Cattolica equivale a trovare il sostegno della più potente centrale ideologica anticomunista al mondo. Sia nei disegni dell’EIA, sia in quelli di più di un ambiente legato alla Santa Sede vi è altresì il disegno di diffondere la “buona novella” in una Russia sempre più radicalmente scristianizzata.
Nel medesimo tempo l’EIA si concentra sulla Germania, contattando sia ambienti religiosi, sia circoli vicini alla “rivoluzione conservatrice”, movimento culturale in quegli anni in ascesa. Ma la penetrazione è tutt’altro che facile e il Bund zum Schutz der Abenlandischen Kultur, con il suo alleato elvetico, deve vincere notevoli opposizioni.
L’ascesa del nazionalsocialismo fa intravedere presto la prospettiva di una rottura fra Germania e Unione Sovietica.
Il 10 ottobre 1933, lo stesso anno dell’ascesa al potere di Adolf Hitler, l’EIA dà vita a Friburgo alla Commissione Pro Deo, premessa per una crociata antibolscevica mondiale in campo religioso. La Pro Deo è un organismo laicale, interconfessionale e autonomo dall’EIA. Fra i membri — selezionati da Aubert e Lodygensky fra gli aderenti all’EIA considerati più idonei — figura Gonzague de Reynold, allora presidente dell’UCEI, l’Union Catholique d’Études Internationales, fondata nel 1925 da George de Montenach, suo cugino: egli partecipa però solo alla prima riunione, quella fondativa, poi scompare, forse distolto dall’interconfessionalità del gruppo e dalla relativa genericità dell’anticomunismo dell’EIA (cfr. p. 240). Altri membri della Commissione sono l’olandese Florentine Pëtronille Aimëe Steenberghe Engeringh (1875-1952), Cristina Giustiniani-Bandini, il capitano Walter Traversari Legge (1874-1949); l’ambasciatore Raul do Rio Branco, il colonnello de Walzer e il dottor Pohlner, in stretto contatto con l’arcivescovo di Vienna, card. Innitzer. Dirigenti ufficiali sono George Lodygensky, Jacques Le Fort e l’abbé Henri Carlier (1895-1951) (cfr. p. 227).
L’attenzione alle persecuzioni religiose è tenuta desta dalla campagna dottrinale e pastorale incentrata sulla regalità sociale di Cristo lanciata nel 1925 da Papa Pio XI con l’enciclica Quas primas.
La Pro Deo si prefigge di fornire aiuti ai credenti in Russia, spedendo loro icone e testi biblici, raccogliendo fondi, organizzando trasmissioni radiofoniche e inviando generi di sussistenza. Uno dei target della propaganda dell’EIA sono le organizzazioni ateistiche militanti diffuse in Europa, soprattutto in Germania. Combattere i senza-Dio organizzati — una Lega con tale nome è fondata da Iemelian Mikhaïlovitch Iaroslavski (pseudonimo di Mineï Israïlevitch Goubelman [1878-1943]) nel 1925 in URSS —, si associa alla denuncia delle persecuzioni religiose che i cristiani patiscono in territorio sovietico e in Paesi come il Messico e, dall’avvento della Seconda Repubblica, in Spagna.
Con l’ascesa del nazionalsocialismo e con la politica fortemente anticomunista dell’Asse nasce l’accusa all’EIA di essere ispirata da ambienti reazionari che subiscono le pressioni dei governi autoritari e totalitari poco animati da motivazioni religiose e più o meno esplicitamente antisemiti. Nella seconda metà del decennio, quando la Terza Internazionale muta linea politica, rompendo con la Germania, e lancia la politica dei fronti popolari, l’EIA è in prima fila nel diffondere informazioni e materiali che smascherano l’ennesima svolta comunista come una nuova insidia per l’Occidente.
In questi anni i rapporti con la gerarchia cattolica s’infittiscono, grazie soprattutto all’azione svolta da mons. Marius Besson (1876-1945), vescovo di Losanna-Ginevra-Friburgo, che avvia una politica di appaisement con le chiese riformate elvetiche e contribuisce ad addolcire le resistenze protestanti alla propensione dell’EIA verso Roma. Personaggi che spiccano nella rete dei contatti con gli ambienti ecclesiali cattolici sono, fra gli altri, Roger de Diesbach, Augustin von Galen O.S.B. (1870-1949) — fratello maggiore del beato cardinale vescovo di Münster Clemens August (1878-1946), uno dei massimi oppositori dell’eugenetica e del neopaganesimo del regime nazionalsocialista — e il canonico John Rast (1895-1981). Alta è la vigilanza contro le manovre della massoneria in campo religioso, che strumentalizzavano gli sforzi ecumenici intrapresi da vari ambienti, non escluso quello conservatore, che schiera su questo fronte Gonzague de Reynold. La Pro Deo si diffonde in breve in Belgio, in Olanda e in Gran Bretagna.
L’EIA, nel suo avvicinamento a Roma, può contare sul sostegno di molti padri della Compagnia di Gesù, fra i quali Ivan Kologrivoff (1890-1955) — ex capitano degli ussari dello zar —; Michel d’Herbigny (1880-1957), futuro vescovo; André Arnou, Bela Bangha (1880-1940), Karl Stark (1901-1964), Joseph Ledit (1898-1986), Joseph Robinne, Jacques de Bivort de la Saudée (1900-?), Joseph Catry, Stanislaus de Lestapis (1905-1999), Edmund Aloysius Walsh (1885-1956) e il preposito generale della Compagnia, il polacco Włodzimierz Ledóchowski (1866-1942). Nel contesto di questa collaborazione nasce l’idea di redigere un manuale per la lotta contro i senza-Dio che fungesse da antidoto a un manuale antireligioso diffuso dal Consiglio Centrale dell’Unione dei Senza-Dio militanti nel 1933: sarà l’Essai d’une Somme catholique contre les sans-Dieu (Spes, Parigi 1936) (cfr. p. 261).
La campagna di denuncia delle persecuzioni religiose nel mondo sovietico ha un momento-clou nella grande esposizione sui senza-Dio organizzata per la prima volta nel gennaio del 1934 a Ginevra. Strutturata in forma di pannelli tappezzati di fotografie, illustrazioni, disegni, ritagli di stampa e slogan, è divisa in cinque sezioni: dottrina marxista e religione; lotta contro la religione in URSS; conseguenze nocive della lotta antireligiosa sulla società russa; lotta antireligiosa fuori dalla Russia; reazione delle organizzazioni cristiane. La mostra circola in Svizzera — escluso il Canton Ticino — fino al maggio del 1935 e ha un notevole successo, con circa sessantamila visitatori in tutto il Paese. Durante le esposizioni nelle città elvetiche sono raccolti fondi consistenti e vendute circa diciottomila brochure illustrative; la mostra va anche in Inghilterra, Francia, Irlanda e Jugoslavia. Si tratta, comunque, di un’esposizione di fattura alquanto artigianale, nulla di paragonabile alla grandeur della mostra organizzata dall’Antikomintern nazionalsocialista a Berlino qualche anno più tardi.
L’EIA e la Pro Deo sono fra le prime agenzie a denunciare la carestia-genocidio perpetrata in Ucraina (cfr. pp. 270-277) e in altre zone dell’URSS dal regime staliniano: saranno i corrispondenti tedeschi Otto Auhagen (1869-1945) — del Bund zum Schutz — nel luglio 1932 (27), e Adolf Ehrt (1902-1975), nonché il loro omologo austriaco Ewald Ammende — giornalista vicino al card. Innitzer — i primi a pubblicarne la notizia e a far confluire informazioni al Bureau Permanent, il quale, a sua volta, le diffonderà attraverso il vasto network dell’Entente (cfr. p. 273). Lo scandalo destato finisce tuttavia presto sepolto e bisognerà attendere una quarantina d’anni prima che la notizia del genocidio bolscevico in Ucraina riaffiori con un minimo di rilievo in alcune ricerche di studiosi canadesi (28). Sarà infatti solo quando uscirà il Libro nero del comunismo (29) che il mondo scoprirà con raccapriccio la colossale tragedia dell’Holomodor, che causerà, secondo stime recenti, circa sette milioni di vittime di tutte le età (30).
Il crimine staliniano rinforza la campagna contro l’ammissione dell’URSS alla Società delle Nazioni su cui l’EIA si misurava in quei mesi.
Dopo la salita al potere di Hitler viene fondato l’Antikomintern (31), un’associazione di obbedienza nazionalsocialista intesa a svolgere propaganda contro l’altro tipo di socialismo, quello internazionalistico, e contro l’URSS. La figura al centro dei rapporti con l’EIA è Adolf Ehrt, aderente al Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi (NSDAP), ma moderato e cristiano evangelico (cfr. p. 307). L’associazione è ispirata sia dal dipartimento della formazione del partito, retto da Alfred Rosenberg (1893-1946), sia dal ministero della Propaganda, con a capo Joseph Goebbels (1897-1945). Oltre a Ehrt collabora con l’EIA Eberhard Taubert (1907-1976), alto dirigente del partito. I due organismi operano in maniera autonoma ma il governo tedesco, attraverso l’Antikomintern, finanzia per diversi anni l’EIA. Il terreno di collaborazione è soprattutto quello della lotta antireligiosa, per cui l’Antikomintern mantiene un rapporto preferenziale con la Pro Deo piuttosto che con il Bureau Permanent. Altro organismo con cui l’EIA lavora è l’importante Internationale Frauenliga gegen Krieg und Bolschewismus, la “Lega internazionale femminile contro la guerra e il bolscevismo”, fondata nel 1936. L’EIA e l’Antikomintern fin dal 1934 coltivano per diversi mesi il progetto di convocare un congresso mondiale anticomunista a Berlino, con lo scopo non dichiarato d’impedire l’ingresso dell’URSS nella Società delle Nazioni. Con questo obiettivo si svolge un importante convegno organizzativo a Feldafing, nei pressi di Monaco di Baviera, dal 4 al 10 novembre del 1936 (cfr. p. 336). Ovviamente l’Antikomintern affrontava il problema del comunismo sovietico nella prospettiva della cultura nazionalsocialista, neopagana e sostanziata di antisemitismo: ma l’EIA in generale resisterà sempre alla tesi che riduceva il comunismo a un complotto giudaico-massonico (cfr. p. 338).
Fra le numerose componenti della battaglia contro il comunismo incentrata sull’EIA i rapporti non sono sempre idilliaci: fra il Bureau Permanent di Ginevra, la Commissione Pro Deo, le sezioni locali, l’Antikomintern tedesco, le altre organizzazioni e leghe anticomuniste, i governi, la gerarchia cattolica, la forte corrente gesuitica, i numerosi pastori e comunità religiose protestanti aderenti al fronte si creano non di rado tensioni dovute alle differenti vedute, alle diverse teologie e alle diverse priorità. Ma si può dire che lo sforzo comune conserva a lungo un carattere di sostanziale convergenza e omogeneità.
Quando, nel 1936, scoppia la guerra di Spagna, l’EIA è in prima linea nell’appoggiare il movimento nazionale, cui fornisce materiali e mette a disposizione il suo panel di relazioni internazionali per facilitarne l’azione contro i repubblicani, fra le cui file la componente comunista acquista sempre più peso e più forte si fa l’infiltrazione di agenti sovversivi e di quadri militari sovietici.
Gli ultimi anni 1930 sono forse quelli in cui la battaglia dell’EIA è meno isolata e maggiormente efficace: sono gli anni dell’enciclica Divini Redemptoris e delle lettere sul comunismo in Messico di Papa Pio XI; gli anni della Cruzada antibolscevica in Spagna; gli anni in cui in quasi tutta l’Europa prevalgono forze di carattere conservatore e nascono regimi autoritari lato sensu “di destra”; gli anni in cui il comunismo cinese sembra soccombere nella guerra civile contro i nazionalisti; gli anni dei processi e delle “purghe” staliniani, che altri e validi argomenti forniscono al bagaglio della propaganda anticomunista.
Il Patto Molotov-Ribbentrop — così detto dai nomi dei ministri degli Esteri dell’URSS e del Reich germanico, rispettivamente Vjaceslav Michajlovic Skrjabin “Molotov” (1890-1986) e Joachim von Ribbentrop (1893-1946) —, con cui il Terzo Reich tedesco e l’URSS proclamavano il 23 agosto 1939 la loro reciproca volontà di non aggressione e avviavano rapporti di collaborazione, gela e disorienta il movimento comunista, ma scompiglia le carte anche alle centrali anticomuniste come l’EIA. Intanto, la collaborazione con gli anticomunisti tedeschi frutta ad Aubert in patria le prime accuse di filonazismo e di subordinazione alle iniziative del governo totalitario tedesco; Aubert denuncia i giornalisti che lo accusano e vince la causa (cfr. pp. 399-400).
Nel secondo conflitto mondiale la Svizzera rimane neutrale, ma i contatti con la Germania s’interrompono; quelli con l’Italia proseguono fino al 1942 (cfr. p. 401); gli altri si fanno vieppiù difficoltosi. Ma la macchina creata da Aubert continua a produrre rapporti sul comunismo nel mondo: in essi affiorano — velatamente, ma realmente — le prime critiche alla dottrina neopagana del nazionalsocialismo, chiamato talora “nazionalbolscevismo”(p. 402), di cui si vede sempre più la similitudine con il totalitarismo comunista; nelle pubblicazioni del 1940-1941 salgono altresì i toni dell’antimassonismo, considerato da molti premessa dell’atteggiamento anticomunista, soprattutto da parte di Lodygensky (cfr. p. 404).
L’Unternehmen Barbarossa, l’Operazione Barbarossa, l’attacco tedesco all’URSS, avviato — con fatale ritardo — nel giugno del 1941, crea speranze e delusioni nel movimento anticomunista. In generale, l’atteggiamento nei confronti della terribile Kampf um eine Weltanschauung condotta dal nazionalsocialismo — che passa per le armi indiscriminatamente tutti commissari politici catturati sul campo — rimane equilibrato, anche grazie alla conoscenza ormai pluriennale dell’ideologia hitleriana e del tipo di anticomunismo che ci si poteva attendere da essa.
- L’epilogo
La Seconda Guerra Mondiale, grazie all’alleanza fra potenze occidentali antifasciste e URSS staliniana, termina con una poderosa avanzata del comunismo sovietico nel cuore dell’Europa, che, se non sarà voluta, sarà quanto meno avallata dagli Alleati (32). Come statuito nelle varie conferenze interbelliche del 1943 a Teheran, in Iran, e del 1945 a Yalta, nella Crimea russa, e a Potsdam, in Germania, al termine del conflitto l’Armata Rossa occupa la Germania fino all’Elba, l’Austria, la Cecoslovacchia, i Paesi Baltici, la Bulgaria e la Polonia, mentre in Jugoslavia — sotto il croato Josip Broz “Tito” (1892-1980) — e in Albania — sotto Enver Hoxha (1908-1985) — s’instaurano regimi comunisti autoctoni.
I cinque anni di guerra hanno mutato radicalmente lo scenario e per l’EIA suona l’ora del commiato. “Quando gli ultimi colpi di fuoco della Seconda Guerra Mondiale — dirà Lodygensky — furono tirati e il mondo del dopoguerra ricominciava a organizzarsi su basi ancora malferme, la gente della mia generazione e ancora di più i miei maggiori fra i quali si trovavano Théodore Aubert e tutti i membri del centro direttivo dell’EIA hanno provato una grande stanchezza. Appariva peraltro chiaro che non ci sarebbe più stato possibile continuare la nostra opera nelle stesse condizioni di prima, cioè in piena indipendenza materiale e morale” (33).
Nel dopoguerra l’EIA è attaccata duramente dalle forze filosocialiste svizzere. Qualunque suo contatto con ambienti anticomunisti legati in qualche modo al regime fascista o al nazionalsocialismo è passato al vaglio della censura antifascista del governo. Nonostante s’instaurino relazioni diplomatiche fra la Confederazione e l’URSS, l’Entente non subisce sanzioni penali.
Lodygensky accusa fascismo e nazionalsocialismo di aver inquinato la battaglia contro il comunismo e di essersi così rivelati, paradossalmente, suoi alleati (cfr. p. 421). “Approfittando di questo clima, la propaganda comunista e i suoi ausiliari occidentali sono riusciti a rendere sospetti di filofascismo e di filonazismo tutti i movimenti anticomunisti perfettamente legittimi, sani e democratici come il nostro” (34).
Nel 1950 le attività dell’EIA praticamente cessano. Tuttavia, sopravvivono spezzoni delle reti tese nell’anteguerra — andrebbe studiato quanto ciò che sopravvive dell’EIA abbia influenzato le organizzazioni anticomuniste del secondo dopoguerra — e legami personali — per esempio fra Lodygensky ed Ehrt, riciclatosi con altri nel Volksbund für Frieden und Freiheit, la “Lega federale per la pace e la libertà”, nella Germania Federale —, anche se l’efficacia complessiva della macchina viene del tutto meno.
- L’anticomunismo “americano”
Ma la lotta contro il comunismo continua anche nel nuovo scenario.
L’URSS, che si spaccia per la vera potenza vittoriosa su Hitler, entro il 1948 crea “democrazie popolari” in Cecoslovacchia, Polonia, Romania, Ungheria, Bulgaria, Germania Orientale e Paesi Baltici. Un “iron curtain” (35), un sipario di ferro, cade sull’Europa dell’Est, separandola dall’area delle libertà democratiche. Nel 1949 l’immenso impero cinese diventa anch’esso una democrazia socialista. Il mondo si divide in due blocchi ideologici contrapposti e ben presto conflittuali: il mondo libero e il mondo del socialismo reale.
Quella che scoppia fra i due blocchi è la Terza Guerra Mondiale, una guerra “fredda”, combattuta non con le armi tradizionali bensì con la propaganda, con lo spionaggio e, ben presto, con la reciproca minaccia di annientamento nucleare. Contro l’impero socialcomunista, dilatatosi fino al Mediterraneo grazie alla miopia degli Alleati, ormai il ruolo di sfida e di contenimento, bon gré mal gré, è affidato alla superpotenza democratica statunitense, che domina gli oceani e i cieli del globo. Una leadership dell’anticomunismo che si fonda dapprima sulla “dottrina Truman” — dal nome del presidente Harry Truman (1884-1972) — con cui gli USA si assumono il ruolo di difensori del mondo libero — e il cui corollario sarà la dottrina elaborata da George Frost Kennan (1904-2005) del “contenimento” dell’espansionismo sovietico —, che porterà alla Guerra di Corea (1950-1953). Quindi sulla politica del roll back — che potremmo tradurre come “rintuzzare attivamente” — degli anni della presidenza di Dwight David Eisenhower (1890-1969), che pure nel 1956, in nome di Jalta e di Potsdam, abbandonerà gl’insorti anticomunisti ungheresi al loro drammatico destino e vedrà governi rossi installarsi a Cuba, in Tibet, nella Corea del Nord e nel Vietnam settentrionale. Infine sulla teoria della “coesistenza pacifica” degli anni della presidenza (1960-1963) di John Fitzgerald Kennedy (1917-1963), che, pur ricca di buone intenzioni, non risparmierà al mondo e agli Stati Uniti d’America la drammatica crisi dei missili di Cuba del 1962, la tragedia della Baia dei Porci — la tentata invasione di Cuba da parte di esuli anticomunisti, sostenuti dagli statunitensi, nel 1961 — e la tragica guerra che devasterà la penisola indocinese, dal Vietnam del Sud al Laos e alla Cambogia, fra il 1960 e il 1975, consegnando tutti questi Paesi all’imperialismo socialcomunista.
Grazie al sostanziale e progressivo ammorbidimento dell’intransigenza anticomunista di Washington, che prende inizio alla fine degli anni 1950, in coincidenza con il prevalere nella politica americana dell’ideologia liberal, il comunismo — sfruttando specialmente il processo di decolonizzazione avviato in quegli anni — può continuare a penetrare con ogni mezzo in Africa — conquistando le ex colonie portoghesi e l’Etiopia —, in Afghanistan, nel Cile socialista di Salvador Allende (1908-1973) e in Nicaragua, conseguendo risultati così eccellenti che, all’incirca a metà degli anni 1980 — gli anni dell’apogeo dell’impero socialcomunista —, gran parte del planisfero terrestre risulterà tinta di rosso o di “rosa”.
Comunque, lo Stato nordamericano, soprattutto nei primi anni del dopoguerra, promuove apprezzabili iniziative di controinformazione anticomunista su larga scala — incentrate sul metodo antidemocratico dei comunisti piuttosto che sui princìpi e sui valori naturali da essi negati e, quindi, di minore efficacia — ed è fra i primi a fornire dati affidabili sulle vittime prodotte dall’utopia comunista a livello mondiale (36).
- Conclusioni
Che la macchina contro-rivoluzionaria messa in piedi da Aubert abbia nuociuto significativamente all’Internazionale Comunista è poco probabile. Certo, aver sensibilizzato tenacemente gli ambienti politici mondiali contro il pericolo del comunismo non è stato un piacere fatto a Zinov’ev e compagni. Tuttavia, non pare che la Rivoluzione mondiale ne abbia risentito in qualche misura nella sua marcia — peraltro, per fortuna o provvidenzialmente, a un certo punto arrestatasi — verso la conquista del globo.
Credo comunque prematuro — troppo esigui sono tuttora i materiali documentari disponibili — tentare di formulare un giudizio complessivo sulla vicenda dell’EIA. Certo, la sorte subita dalla sua memoria nei decenni successivi alla cessazione delle attività è piuttosto eloquente per capire i rapporti di forza. E ci dice che l’operazione-EIA ha avuto i suoi momenti di auge fra le due guerre, ma, in sostanza, è finita nel cimitero delle esperienze sconfitte: il suo nemico le è sopravvissuto, più vivo e vegeto che mai — almeno in apparenza — per almeno quattro decenni, anche se l’utopia comunista alla fine ha dovuto fare i conti con la realtà e — almeno nella sua versione russa — si è dissolto, anche se per nulla estinto.
Forse l’eredità più tangibile dell’EIA è quella di non aver fatto spegnere, anzi di aver irrobustito, almeno in alcuni ambienti ancorché sempre più marginalizzati, la coscienza della “intrinseca perversità” — per usare le parole di Papa Pio XI nell’enciclica Divini Redemptoris del 1937 — del comunismo ateo e materialista e di aver fatto balenare che l’esigenza di contrapporsi a esso non era solo individuale ed episodica.
Forse — ancora — la sua esperienza è servita nei tentativi di creare leghe anticomuniste da parte di ambienti ispirati dal governo americano come l’Anti-Bolshevik Bloc of Nations nel 1946, l’Asian People’s Anti-Communist League negli anni della Guerra di Corea e, infine, nel 1958, dalla fusione delle due con altre organizzazioni (37), la potente e diffusa World Anti-Communist League (WACL) — dal 1966 World League for Freedom and Democracy —, schierata a più riprese a sostegno della politica statunitense “ufficiosa” in teatri “caldi” come l’America Latina.
Sono sopravvissuti brandelli di azione anticomunista esplicita e tematica — al di fuori della macchina propagandistica americana e dell’azione culturale religiosa e politico-conservatrice (38), cui l’anticomunismo dottrinale è intrinseco — forse legati all’EIA, particolarmente in Francia. Ricordo, fra le iniziative del genere con cui sono entrato in contatto in passato, il bollettino informativo dell’Istituto per gli Studi e le Informazioni di Politica Internazionale di Parigi Est&Ouest, tradotto trimestralmente in italiano negli anni 1960 e 1970 con il nome di Documenti sul comunismo a cura del giornalista e scrittore cattolico Emilio Cavaterra, forse l’unico riferimento apprezzabile allora per la battaglia culturale anticomunista nel Paese dove esisteva il più forte partito filosovietico dell’Occidente.
Così pure esiste fra il 1970 e il 1990 a Parigi la CIRPO, Conference Internationale des Résistants dans les Pays Occupés, organizzazione indipendente diretta dall’ex membro dell’intelligence francese Pierre Faillant de Villemarest (1922-2008), intesa a dar voce nel mondo libero ai numerosi movimenti di resistenza esistenti all’interno dei Paesi comunistizzati e in contatto con la WACL (39). Ma la voce delle istanze anticomuniste, nonostante l’ingigantirsi del pericolo nel secondo dopoguerra, diventa sempre più esile. Anzi, in Europa matureranno anni in cui dichiararsi apertamente anticomunisti equivarrà a sentirsi accusare di fascismo e, quindi, essere messi ipso facto ai margini della politica, se non incorrere in sorti peggiori.
Oggi, dopo il fatidico triennio 1989-1991, caduta la tensione per il venir meno di uno dei poli, sia il comunismo sia l’anticomunismo tendono a essere rimessi a fuoco maggiormente dagli ambienti accademici. La caduta del regime comunista sovietico ha consentito agli studiosi occidentali e di Paesi ex comunisti di accedere agli archivi dell’Internazionale Comunista e, dunque, di potersi avvalere di quella fonte essenziale ma permanentemente proibita agli studiosi e ai propagandisti degli anni dell’EIA. Determinanti — anche se non del tutto sfruttate dalla storiografia — sono state le ricerche di studiosi russi già oppositori del regime, che hanno approfittato del periodo successivo all’ascesa al potere di Boris Nikolaevič El’cin (1931-2007) e della messa fuori legge del partito comunista sovietico per attingere agli archivi dei servizi segreti, il KGB, civile, e il GRU (40), militare: da qui sono nati gli archivi creati e conservati online da Vladimir Konstantinovič Bukovskij (41) e i ricchi “dossier Mitrokhin” (1922-2004) (42).
Avrebbe senso — oggi possiamo chiederci al termine di questo breve excursus — una realtà come l’EIA?
Quasi trent’anni fa, nel 1984, Pierre de Villemarest, intervenendo a Milano a un convegno sulle resistenze nei Paesi sovietizzati organizzato dalla CIRPO e da Alleanza Cattolica, forse memore dell’EIA, ebbe a dire: “È stato provato che organismi privati, diretti con cura, orientati verso obiettivi precisi e senza fare concessioni, vigili di fronte a provocazioni e a infiltrazioni, possono dare un aiuto efficace a quanti, lottando per riconquistare le loro libertà, nello stesso tempo combattono per preservare le nostre. Azioni concrete, di estrema utilità per quanti oggi resistono, hanno successo nella misura in cui sono condotte contro il socialcomunismo con gli stessi metodi e con la stessa discrezione di quelle compiute dai socialcomunisti” (43). E sono parole valide allora come oggi. Il comunismo sia come dottrina, sia come regime non è finito. Tuttora milioni di persone vivono all’interno di Stati in cui il marxismo-leninismo domina, sebbene in certa misura metamorfizzato, e il partito egemonizza l’intera società.
Oggi, tuttavia, il genere di Rivoluzione incarnatasi nelle idee di Karl Marx (1818-1883) e di Lenin — quella che la dottrina cattolica contro-rivoluzionaria identifica come Terza Rivoluzione (44) —, pur presente, non è più quello dominante. Dopo la demolizione dell’impero socialcomunista nel 1989-1991, il nostro tempo è contrassegnato da fenomeni rivoluzionari meno nitidi e monolitici, che pongono l’accento su altri temi: non vi è più una Terza Internazionale, non vi è più una centrale in tesi unica di propagazione dell’utopia ugualitaria. Oggi vi sono dieci, cento, mille Internazionali ciascuna delle quali coltiva e propugna “una” Rivoluzione: ai nostri giorni il medesimo processo che ha espresso la Terza Internazionale si è frantumato in mille rivoli, in cento agenzie di diffusione, in mille mitologie diverse, tutte però convergenti a demolire ciò che resta di esterno a presidio di una sana vita individuale e, di conseguenza, la gerarchia stessa delle potenze dell’anima — sensibilità, ragione e volontà — all’interno dell’individuo stesso. Nel secondo decennio del terzo millennio cristiano è quindi impensabile una centrale unica che presuma tematicamente di organizzare la reazione di chi crede nella famiglia, nella proprietà privata e nella religione. Oggi solo una realtà plurisecolare e universale come la Chiesa cattolica può pensare di svolgere una contro-azione e una contro-terapia che intercettino, spieghino e combattano i mali ideologici del mondo contemporaneo, incluso ciò che resta del comunismo e ciò che distilla il solvente più profondo dell’ideologia comunista — il relativismo materialista — all’interno delle visioni in cui si consuma l’agonia fantasmagorica della modernità.
Ma, se non si vuole á la Charles Maurras (1868-1952) pensare alla Chiesa solo in senso naturalistico e ricorrere a essa unicamente come espediente politico, occorre crederla non solo una e cattolica — cioè universale — ma anche santa e apostolica.
Note:
(1) Cfr. un inquadramento generale in Giovanni Cantoni, L’Insorgenza come categoria storico-politica, in Cristianità, anno XXXIV, n. 337-338, settembre-dicembre 2006, pp. 15-28; una sintesi nel mio Le Insorgenze. L’Italia contro Napoleone (1796-1814) (Quaderni del Timone), Art, Novara 2011; e un approfondimento in Sandro Petrucci, Le insorgenze: linee interpretative, in Francesco Pappalardo e O. Sanguinetti (a cura di), 1861-2011. A centocinquant’anni dall’Unità d’Italia. Quale identità?, Atti del convegno organizzato da Alleanza Cattolica a Roma il 12-2-2011, Cantagalli, Siena 2011, pp. 37-69.
(2) Cfr. Aleksandr Isaevič Solženicyn, Ego, trad. it., Einaudi, Torino 1996, e il mio La Vandea russa di Tambov, in IDIS. Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale, Voci per un “Dizionario del Pensiero Forte”, in Il Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, Roma 11-4-1997, consultabile con il titolo L’insorgenza anticomunista di Tambov (1920-1921)anche all’indirizzo Internet: <http://www.alleanzacattolica.org/idis_dpf/voci/t_insorgenza_tambov.htm> (gl’indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 31-3-2013).
(3) “Bolscevìco […] [dal russo bol’ševik “maggioritario”] […]. Appartenente alla frazione di maggioranza del partito socialdemocratico russo costituitasi durante il secondo congresso (Londra, 1903), che rappresentava, sotto la guida di Lenin, la corrente più rivoluzionaria e intransigente, in opposizione a quella più moderata dei menscevichi” (Vocabolario Treccani online, voce Bolscevico, <http:// www.treccani.it/ vocabolario/ tag/ bolscevico>).
(4) Cfr., in italiano, Dominique Venner, Baltikum. La storia dei Corpi franchi in Germania, trad. it., Ciarrapico, Roma 1981; ed Ernst von Salomon (1902-1972), I proscritti, trad. it., Baldini Castoldi, Milano 2008.
(5) Cfr. Adam Zamoyski, 16 agosto 1920. La battaglia di Varsavia, trad. it., Corbaccio, Milano 2009 (cfr. la recensione di Franco Roberto Maestrelli, in Cultura&Identità. Rivista di studi conservatori, anno I, n. 2, Roma novembre-dicembre 2009, pp. 87-90), e G. Cantoni, Così la Polonia cristiana fermò Lenin, in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, Roma 13-8-1995.
(6) Cfr. Renato Cirelli, La guerra civile russa (1917-1920), in IDIS. Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale, Voci per un “Dizionario del Pensiero Forte”, a cura di G. Cantoni e con presentazione di Gennaro Malgieri, Cristianità, Piacenza 1997, pp. 209-214.
(7) Cfr. Marina Gorbov, La Russie fantôme: l’émigration russe de 1920 à 1950, L’Age d’Homme, Parigi 1995.
(8) Sulla tragedia dei rimpatri forzati delle formazioni militari anticomuniste — russe e jugoslave — inquadrate dai tedeschi e fatte prigioniere dagli Alleati, cfr. le numerose opere del conte Nikolai Dmitrievich Tolstoy-Miloslavsky, fra i quali Victims of Yalta (Hodder and Stoughton, Londra 1979); Stalin’s Secret War (Jonathan Cape, Londra 1981) e The Minister and the Massacres (Century Hutchinson, Londra 1986); cfr. anche una sintesi in Marco Respinti, 1945, la strage degli slavi anticomunisti, in IDIS. Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale, Voci per un “Dizionario del Pensiero Forte”, in Il Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, Roma 6-6-1997, consultabile con il titolo Crimini di guerra degli Alleati nel 1945 alla pagina <http:// www.alleanzacattolica.org/ idis_dpf/ voci/ c_ crimini_ guerra_ alleati.htm>, e Maggio-giugno 1945: il rimpatrio forzato dei cosacchi e altri crimini di guerra “eccellenti”, in Cristianità, anno XXIII, n. 245, settembre 1995, pp. 13-20; Roberto de Mattei, Schiavi di Mosca e vittime di Yalta, ibid., anno VIII, n. 60, aprile 1980, pp. 9-12; Michael Lees, The Rape of Serbia. The British Role in Tito’s Grab for Power 1943-1944, Harcourt Brace Jovanovich, San Diego (California) 1990; nonché l’opera dello storico ed europarlamentare conservatore inglese lord Nicholas William Bethell (1938-2007), The last secret. The delivery to Stalin of over two million Russians by Britain and the United States, con introduzione di Hugh Trevor-Roper (1914-2003), Basic Books, New York 1974.
(9) L’Union Nationale nasce da una fusione, avvenuta il 24-6-1932, dell’Ordre Politique National, fondato da Oltramare nel 1930, e dell’Union de Défense Économique.
(10) Oltramare nel 1940, quando la Francia viene occupata dai tedeschi, si sposta a Parigi dove, con il pseudonimo di Charles Dieudonné, coopera a diverse iniziative culturali dei nazionalsocialisti e del regime di Vichy. Incriminato per collaborazionismo in Svizzera e condannato a morte dai francesi, dopo il 1950 espatria verso la Spagna franchista e poi verso l’Egitto dove, nel 1953, si pone al servizio del regime di Gamal Abd al Nasser (1918-1970). Torna nel 1958 a Ginevra, dove chiude i suoi giorni.
(11) Cfr. il sito Internet della biblioteca di Ginevra <http://www.ville-ge.ch/bge/collections/manuscrits-fonds-archives-privees.html>, che fa riferimento a circa 160 cartoni di verbali di sedute del Bureau Permanent e a circa duemila cartoni di documenti e pubblicazioni propagandistiche varie. Cfr. anche Jorge Gajardo, Jean-François Fayet, Mauro Cerutti, Michel Caillat, Une source inédite de l’histoire de l’anticommunisme: les archives de l’Entente internationale anticommuniste (EIA) de Théodore Aubert (1924-1950), in Matériaux pour l’histoire de notre temps, vol. 73, Nanterre 2004, pp. 25-31, disponibile anche all’indirizzo Internet <http:// www.persee.fr/ web/ revues/ home/ prescript/ article/ mat_ 0769-3206_ 2004_ num_ 73_ 1_ 964>.
(12) Cfr. Stéphanie Roulin, Un credo anticommuniste. La commission Pro Deo de l’Entente Internationale Anticommuniste ou la dimension religieuse d’un combat politique (1924-1945), Antipodes, Losanna 2010. Tutti i riferimenti fra parentesi nel testo rimandano a quest’opera.
(13) Cfr. un primo risultato delle ricerche in M. Caillat, M. Cerutti, J. F. Fayet e S. Roulin (a cura di), Histoire(s) de l’anticommunisme en Suisse – Geschichte(n) des Antikommunismus in der Schweiz, Chronos, Zurigo 2009.
(14) Cfr. S. Roulin, Gonzague de Reynold: un intellectuel catholique et ses correspondants en quête d’une chrétienté idéale (1938-1945), all’indirizzo Internet <http:// doc.rero.ch/ lm.php? url=1000, 41, 2, 20061115150224-OG/ Memoire_ 175_ Stephanie_ Roulin.pdf>.
(15) Sugl’Illuminati di Baviera cfr., fra l’altro, Augustin Barruel [S.J. (1741-1820)], Memoires pour servir a l’histoire du Jacobinisme, revus et corrigés par l’auteur en 1818, introduzione di Christian Lagrave, indice dei nomi di Isabelle Geffroy, nuova ed., 2 voll., Diffusion de la Pensée Francaise, Chiré-en-Montreuil (Vouillé) 1973; trad. it. parz. del vol. II in Idem, Gli illuminati di Baviera. Una setta massonica del Settecento tra congiura e mistero, con introduzione di Daniele Sironi, Mondadori, Milano 2004.
(16) Sul mondialismo cfr., fra l’altro, Jacques Bordiot (1900-1983), Une main cachée dirige, Documents et témoignages, 2a ed. rivista e corretta, Éditions du Trident, Parigi 1993; Idem, Le Pouvoir occulte, fourrier du communisme. Vague rouge sur l’Europe, Éditions de Chiré, Chiré-en-Montreuil (Vouillé); e Yann Moncomble (1953-1990), L’irrésistible expansion du mondialisme, Faits et documents, Parigi 1981. Sui finanziamenti di ambienti “mondialistici” alla Rivoluzione d’Ottobre, cfr. il mio Le fonti finanziarie del comunismo e del nazionalsocialismo, in Quaderni di “Cristianità”, anno I, n. 1, Piacenza primavera 1985, pp. 39-52.
(17) Cfr. la serie di quattro documentari — sebbene alquanto sbilanciati a sinistra — sulla lotta politica nella Svizzera romanda negli anni 1920 e 1930 e su Oltramare all’indirizzo Internet <http://www.rts.ch/emissions/temps-present/1286476-geneve-le-temps-des-passions-i.html>.
(18) L’omicidio politico avrebbe dovuto essere giudicato dalla Corte Federale di Berna, ma viene assimilato a un omicidio “ordinario”, quindi giudicato dalla corte cantonale, in quanto pare che l’esponente sovietico, per ragioni non note, fosse privo di accreditamento diplomatico.
(19) Cfr. Annetta Gattiker [Caratsch], L’affaire Conradi, Herbert Lang, Berna-Francoforte 1975.
(20) Il riferimento è al titolo dell’opera — di altra tematica — di George Bernanos (1888-1948), La grande paura dei benpensanti, trad. it., Edizioni dell’Albero, Torino 1965.
(21) Sulla stretta collaborazione fra URSS e Repubblica di Weimar — protrattasi fino alla vigilia della rottura del Patto Molotov-Ribbentrop nel 1941 — cfr., fra l’altro, il mio Le fonti finanziarie del comunismo e del nazionalsocialismo, cit.
(22) Cfr. Herbert R[utledge]. Southworth, Conspiracy and the Spanish Civil War. The Brainwashing of Francisco Franco, Routledge, Londra 2002. “Pare[…] che la lettura delle pubblicazioni dell’EIA era diffusa fra certe categorie di ufficiali spagnoli, amici e poi compagni di cospirazione di Franco” (ibid., p. 139). L’opera contiene un notevole numero d’informazioni sull’EIA e sulla sua azione al tempo della guerra civile spagnola a favore dei nazionalisti.
(23) Cfr. lo studio preliminare di Beatrice Penati, borsista dell’Università di Friburgo in Svizzera, Un point de vue genevois sur l’anticommunisme japonais (1924-1941), all’indirizzo <http:// www.academia.edu/ 197730/ Un_ point_ de_ vue_ genevois_ sur_ lanticommunisme_ japonais_ 1924-1941>.
(24) M. Caillat, L’Entente Internationale Anticommuniste de Théodore Aubert et ses archives, in Traverse. Zeitschrift für Geschichte-Revue d’Histoire, anno II, n. 2, maggio-agosto, Chronos, Zurigo 2006, pp. 12-18 (p. 13), disponibile all’indirizzo Internet <http:// retro.seals.ch/ digbib/ view? rid=tra-001:2006:2::19>.
(25) Dalla risoluzione finale dell’assemblea fondativa del 24-6-1924, in Archives EIA. Conférences du Conseil International, 1924-1926, 1ereConférence-Paris-23/24 juin 1924, Biblioteque Publique et Universitarie de Géneve, ibidem.
(26) Chirografo di Papa Pio XI al cardinale Basilio Pompilj, del 2-2-1930, in Acta Apostolicae Sedis. Commentarium officiale, anno e vol. XXII, parte I, Tipografia Poligotta Vaticana, Roma 1930, pp. 89-93 (p. 89).
(27) Cfr. Otto Auhagen (1869-1945), Wirtschaftslage in der Sowjetunion im Sommer 1932, in Osteuropa. Zeitschrift für die gesamten Fragen des europäischen Ostens, anno VII, Berlino luglio 1932, pp. 644-655, cit. a p. 273, nota 834.
(28) Cfr. Oksana Procyk, Leonid Heretz e James E. Mace, Famine in the Soviet Ukraine 1932-1933. A Memorial Exhibition, Harvard College Library, Cambridge (Massachusetts) 1986; Roman Serbyn e Bohdan Krawchenko, Famine in Ukraine, 1932-1933, Canadian Institute of Ukrainian Study Press, University of Alberta, Edmonton 1986; e Oleksa Voropai, The ninth circle. In commemoration of the victims of the famine of 1933, Harvard University, Ukrainian Studies Fund, Cambridge (Ma) 1983.
(29) Cfr. Stephane Courtois, Nicolas Werth, Jean-Louis Panne, Andrzej Paczkowski, Karel Bartosek (1930-2004), Jean-Louis Margolin e Mark Kramer, Il libro nero del comunismo. Crimini, terrore, repressione, trad. it., Mondadori, Milano 1998.
(30) Cfr., in particolare, Robert Conquest [pseud. di George Robert Ackworth], Raccolto di dolore. Collettivizzazione sovietica e carestia terroristica, trad. it., Fondazione Liberal, Roma 2004.
(31) Su questo organismo, cfr., fra l’altro, Lorna L[ouise]. Waddington, The Anti-Komintern and Nazi Anti-Bolshevik Propaganda in the 1930s, in Journal of Contemporary History, anno XLII, n. 4, Londra ottobre 2007, pp. 573-594.
(32) Solo negli anni del secondo mandato presidenziale di George Walker Bush si sono colti sintomi di un ripensamento o, comunque, di una valutazione meno ideologica della scelta filosovietica degli Alleati democratici nel 1941-1945; cfr. il mio commento Il male che abbiamo sconfitto in Storia&Identità. Annali Italiani online, all’indirizzo Internet <http:// www.identitanazionale.it/ docu_ y006.php>.
(33) Discorso di Georges Lodygensky pronunciato a San Paolo del Brasile il 15-9-1966, in Hoover Institution Archive, Stanford University of California, Lodygensky Papers, box 1, cit. a p. 419.
(34) Idem, Face au communisme. Le movement anticommuniste international. 1923-1950, (memorie), trascrizione da nastro magnetico inedita, 2 voll., 1964, Hoover Institution Archive, Stanford University of California, Lodygensky Papers, box 1, vol. II, p. 83; edizione rivista Face au communisme. 1905-1950. Quand Genève était le centre du mouvement anticommuniste international, Slatkine, Ginevra 2009.
(35) L’espressione è più antica, ma l’uso più celebre è quello che ne fece Winston Churchill (1874-1965) — che pure la impiegò più volte in precedenza — in un discorso al Westminster College di Fulton, nel Missouri, il 5-3-1946: “From Stettin in the Baltic to Trieste in the Adriatic an “iron curtain” has descended across the continent” (The Sinews of Peace, a cura di Mark A. Kishlansky, Harper Collins, New York 1995, pp. 298-302 [p. 300]).
(36) Cfr. il rapporto di alcuni parlamentari statunitensi su URSS, Cina e Vietnam, pubblicato in Italia nel 1973 da un’editrice di destra: [R.] Conquest, [Richard Louis] Walker [1922-2003], [Stephen T.] Hosmer, [James Oliver] Eastland [1904-1986], Il costo umano del comunismo, trad. it., Edizioni del Borghese, Milano 1973.
(37) La North American Regional WACL Organization (NARWACL); l’European Council for World Freedom (ECWF); l’African Organization for Freedom and Democracy (AOFD); la Federación de Entidades Democráticas de América Latina (FEDAL); il Middle East Solidarity Council (MESC) e la World Youth Freedom League (WYFL). La WACL ha 130 capitoli, opera in un centinaio di Paesi e pubblica la rivista trimestrale Freedom Digest.
(38) Segnalo, fra le organizzazioni di maggior rilievo che hanno indossato campagne anticomuniste, quelle, molteplici, riconducibili alla Chiesa dell’Unificazione del reverendo coreano Sun Myung Moon (1920-2012); sul suo anticomunismo, cfr. M. Respinti, Ricorderemo il Rev. Moon soprattutto per la sua strenua lotta al comunismo, 4-9-2012, <http://www.loccidentale.it/node/118355>.
(39) Cfr. C[iaran]. O’Maolain, The Radical Right. A World Directory, Longmans, Londra 1987, p. 89; e Pierre Faillant de Villemarest, Le ragioni della Conférence Internationale des Résistances en Pays Occupés, in Cristianità, anno XII, n. 116, dicembre 1984, pp. 7-10.
(40) Sul GRU, cfr. P. Faillant de Villemarest, GRU, le plus secrèt des services soviétiques. 1918-1988, en collaboration avec Clifford A[ttick]. Kiracoff, Stock, Parigi 1988; su cui cfr. la mia recensione in Cristianità, anno XVI, n. 163-164, novembre-dicembre 1988, pp. 10-13.
(41) Cfr. il sito web all’indirizzo Internet <http://www.bukovsky-archives.net>; sulla vicenda di Bukovskij cfr. il mio Nei sotterranei del secolo XX: “Gli archivi segreti di Mosca”, in Cristianità, anno XXVII, n. 294, ottobre 1999, pp. 7-22.
(42) Cfr. Christopher Andrew e Vasilij Mitrokhin, L’Archivio Mitrokhin. Le attività segrete del KGB in Occidente, trad. it., Rizzoli, Milano 2007; sul tema cfr. Mauro Ronco, Ottobre 1999: a margine del “dossier” Mitrokhin, in Cristianità, anno XXVII, n. 294, ottobre 1999, pp. 3-6.
(43) P. Faillant de Villemarest, Le ragioni della Conférence Internationale des Résistances en Pays Occupés, cit., p. 10.
(44) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009) con materiali della “fabbrica” del testo e documenti integrativi, con presentazione e cura di G. Cantoni, Sugarco, Milano 2009, pp. 50-51.